Alcune iniziative messe in atto da Stato Islamico nelle ultime settimane potrebbero indicare l’alba di una nuova fase per il gruppo terroristico. Tre episodi in particolare sembrano suggerire una riorganizzazione generale in atto nel “califfato”:
- – il freno posto alla comunicazione non ufficiale;
- – la riconfigurazione dei wilayat (province) in Siria e Iraq;
- – “l’offensiva ibrida” nel sud della Siria.
Gestire la comunicazione spontanea
Come già sottolineato sia nei mesi scorsi che nelle ultime settimane, la comunicazione non ufficiale è stata nell’ultimo anno un attore fondamentale per Stato Islamico. Nel tempo tuttavia vari autori di questa categoria sono passati dall’essere entusiasti sostenitori del gruppo specie nel momento del bisogno (come dopo la caduta di Raqqa l’ottobre scorso) al portare avanti delle proprie agende, arrivando a tratti a sostituire le minacce mosse da Stato Islamico con altre elaborate autonomamente. Questo è accaduto per esempio durante i Mondiali di calcio in Russia appesa passati: gli appelli quotidiani a colpire da parte di questi autori non hanno trovato riscontro nelle azioni di Stato Islamico, il quale ha così subìto da un lato un duro colpo alla propria reputazione e dall’altro ha visto ancora una volta il proprio brand sfruttato più o meno direttamente da attori che non rispondono a nessuna forma di controllo. Fatto forse ancora più destabilizzante, sembra che alcuni degli autori più influenti come Wafa’ Media Foundation abbiano preso parte a lotte interne al gruppo, contribuendo ad acuire tali divisioni col loro operato. Forse per ovviare a questa situazione, il 14 luglio IS ha emanato un comunicato nel quale ha ribadito la distinzione tra comunicazione ufficiale e spontanea ma si è spinto anche oltre, invitando a non produrre materiale né a collaborare con e per canali non ufficiali. Diffidare tali canali implica bruciare i ponti dietro di sé e “rompere” con un alleato che per quanto erratico in passato si era rivelato una risorsa fondamentale. Sembra quindi che tale iniziativa – diversa da altre simili avvenute in passato – sia un tentativo di imporre una maggiore centralizzazione, un necessario tirare le redini per ribadire la propria autorità. Tuttavia, come si suggerirà nelle conclusioni, potrebbe trattarsi anche del prodromo di un’azione più estesa e ambiziosa, un creare il “silenzio in scena” prima di un’azione decisiva: il primo tassello della riorganizzazione parte quindi dai margini più esterni del gruppo.
Riorganizzazione comunicativo/amministrativa dei wilayat
Per anni Stato Islamico ha amministrato il proprio territorio dividendolo in province e regioni, pubblicizzando il più possibile come al loro interno fossero garantiti servizi, legge, ordine e virtù. Nel solo teatro siro-iracheno, il cuore del precedente “califfato 2014-2017”, fino al 20 luglio 2018 si potevano contare fino a ventitré province: da questa data in avanti ve ne sono solo due, al-Iraq e al-Sham, corrispondenti grosso modo ai territori coperti dai precedenti wilayat tra Iraq e Siria.
Figura 1: divisione indicativa dei wilayat in Siria e Iraq nei primi anni del “califfato”
Sebbene alcuni comunicati avessero già suggerito indirettamente questo cambiamento, il primo vero spartiacque è avvenuto il 20 luglio con la pubblicazione del numero 140 di al-Naba (il settimanale online di Stato Islamico e una delle sue voci ufficiali). In questo numero infatti si mostra chiaramente un’infografica dove i diversi wilayat nel Siraq presenti nel numero 139 hanno lasciato spazio a due territori “comprensivi”, i wilayat al-Iraq e al-Sham.
Figure 2,3,4,5, da sinistra verso destra: grafici al-Naba delle rivendicazioni IS nelle diverse province e territori.
Le ricadute sulla struttura IS non sono lievi. Anche con la maggior parte dei territori in Siraq ormai perduti e pur non disponendo della libertà cui godeva negli anni scorsi, il gruppo ha ampiamente dimostrato di avere ancora operativi e capacità sul territorio: per sopravvivere, tali risorse devono essere tuttavia guidate e soprattutto tenute sotto controllo per evitare diserzioni e defezioni – come già avvenuto – e per ricostruire le proprie forze in un nuovo formato. Abbassare di grado le regioni nell’heartland di IS e porle al di sotto di due unità allo stesso livello delle altre sul globo comporta una delicata ridistribuzione del potere (almeno formale) in un momento critico come quello che IS sta vivendo in questi mesi, senza contare che in questo modo in teoria anche territori una volta principi come quelli di Raqqah o Ninawa (Mosul) potrebbero ora trovarsi subordinati per importanza a territori prima “periferici” come in Yemen o Libia.
Tale travaglio non deve essere stato indolore né durante la preparazione né dopo il suo annuncio. La stessa comunicazione ufficiale ci dà segnali di resistenze se non di lotte interne: nel tempo il territorio East Asia (nel sudest asiatico e concentrato soprattutto tra Filippine e Indonesia), uno dei più attivi sin dalla conquista di Marawi nel 2017, è assurto al rango di wilayah (al-Naba 140) salvo poi essere “degradato” già la settimana seguente; percorso inverso invece per la provincia IS in Somalia. Per rafforzare tale nuovo assetto i vertici IS hanno calato un asso: la casa mediatica al-Hayat, una delle voci ufficiali più direttamente collegate alla leadership e silente da febbraio 2018, ha infatti pubblicato due video nei quali presenta diverse azioni compiute dal gruppo, ribadendo la divisione tra wilayah e distretti nel teatro siro-iracheno e quindi teoricamente ponendo la firma definitiva a tale riassetto. La struttura di comando e controllo locale, per quanto logorata, non può tuttavia aver accettato passivamente un cambiamento del genere – indubbiamente necessario per ottimizzare le forze ma radicale e foriero di scontri di autorità in seno alle forze IS, specialmente tra quelle dei territori primigeni del gruppo e le marche esterne. Ultima ma non da meno, la scelta dei nomi Iraq e Sham per le nuove province: queste richiamano infatti uno dei precedenti nomi di IS, cioè “Stato Islamico in Iraq e Sham”, indicando quindi a seconda dei punti di vista un improvvido passo falso del gruppo o un tentativo di “legittimare” tali territori all’interno del nuovo assetto.
“L’offensiva ibrida” nel sud della Siria
In queste settimane le forze IS nella Siria sudoccidentale sono state spinte all’angolo verso un’area triangolare di confine con Giordania, Israele e Libano. Nonostante una violenta sortita lanciata dal gruppo il 25 luglio che ha lasciato sul campo circa 200 persone e la cattura di diversi ostaggi, i suoi operativi si sono trovati tra l’incudine e il martello e respinti ripetutamente verso (e in seguito da) i confini sopracitati. Questi i fatti militari tout court, ma l’impegno profuso da IS ha permesso di temperare l’ennesima sconfitta ammantandola già settimane prima del suo compiersi con un’aura di vittoria: da qui la denominazione di “offensiva ibrida”, attiva sia sul fronte fisico che comunicativo e in cui IS eccelle.
Andando con ordine: mentre le forze siriane avanzavano verso la città di Dernaa le truppe affiliate a IS nella regione hanno ricevuto un’investitura ufficiale da parte dei vertici. Prima tramite comunicati ufficiali e poi con un apposito video, la regione è divenuta l’ultimo wilayah (denominato “wilayah Hawran”) ad essere proclamato sul campo prima dell’accorpamento del 20 luglio già descritto. Il giuramento di fedeltà ad al-Baghdadi (una sorta di atto di vassallaggio collettivo) è stato incorporato il 25 luglio in un video intitolato “Gloriosa vittoria” e sembra aver stabilito un legame tra truppe e territorio. Atto pericoloso, in quanto il gruppo ha orrore delle “autonomie territoriali” e al contrario di al-Qaeda propugna per quanto possibile un ferreo controllo sui suoi operativi distaccati per il mondo invece che presiedere una federazione di gruppi diversi. Tale pericolo è stato tuttavia corso probabilmente perché si era consci dell’imminente sconfitta: wilayah Hawran infatti è stata presto fortemente indebolita ma non prima di aver conquistato diversi villaggi e lanciato la micidiale controffensiva sopra citata che ha mietuto centinaia di vittime tra i civili. La “gloriosa vittoria” cui il titolo fa riferimento è stata quindi celebrata prima che le soverchianti forze siriane avessero il sopravvento, permettendo un ultimo colpo di coda e strappando l’ultima parola anche in campo comunicativo – elemento fondamentale soprattutto in questo periodo di generale arretramento delle sue forze.
Verso nuove “Flames of War”?
Guidare mediaticamente la “vittoriosa sconfitta” di una provincia appena formata, ribadire alla comunicazione spontanea il proprio ruolo, riorganizzare l’intero heartland del “califfato” rischiando ulteriori lotte sia al suo interno che con gli altri territori: solo una leadership forte può cercare di guidare una qualsiasi di queste iniziative, per non parlare dell’avviarle tutte e tre nell’arco di un paio di settimane. Prese nel loro insieme queste direttrici potrebbero quindi indicare una riorganizzazione estesa all’interno di Stato Islamico, un tentativo necessario per sopravvivere dopo mesi di continui arretramenti e incertezze che stanno dissanguando il gruppo terroristico sul campo, nella sua reputazione e nella sua identità.
Il punto è chi stia guidando questa riorganizzazione: da una parte non è escluso che in seno ai vertici e lungo la catena di comando si stia combattendo una silenziosa lotta interna per il futuro del gruppo; dall’altra è possibile che i vertici abbiano deciso o siano stati costretti dalle circostanze ad agire per rilanciare la propria causa, sebbene risulti non chiaro il perché attendere questo momento e non attuarlo ad esempio durante il Ramadan o inaugurarlo con attacchi ai Mondiali in Russia o in altri Paesi occidentali. È possibile che il silenzio in parole e azioni durante questi due eventi fosse una pausa forzata prima del rilancio e quindi anche un inganno per far credere di essere incapace di grandi iniziative.
A complicare la situazione sono poi alcuni episodi recenti che possono essere letti secondo entrambe le ipotesi. Tra i più significativi: il richiedere di rinnovare la propria fedeltà ad al-Baghdadi nei mesi passati, la recente morte del figlio in circostanze oscure durante una presunta operazione inghimasi e passata quasi sotto silenzio, la crescente attenzione comunicativa verso le marche esterne a scapito del teatro di Siraq, i profondi dissidi teologici arrivati sino alle più alte sfere del gruppo. Queste ed altre possono essere lette secondo le due facce della medaglia, potenzialmente indicando un rilancio pianificato o i sintomi di una lotta interna, facendo oscillare la probabilità ora verso una interpretazione ora verso l’altra.
Quali che siano le menti alla guida di tale riorganizzazione, vi è il pericolo che dopo essersi riconfigurato “in loco” il nuovo IS passi a una fase successiva e getti di nuovo lo sguardo sulle nostre società. Una nuova ondata di attentati porrebbe infatti un sigillo almeno formale sul ritorno del terrore in Occidente e potrebbe costituire una sfida forse ancor più pericolosa di quella che si è dovuta affrontare negli anni scorsi: oltre al pericolo dei foreign fighter di ritorno, il “nuovo IS” potrebbe far leva su tutti quei simpatizzanti che non hanno potuto o inizialmente voluto accorrere in Siraq durante l’ascesa di IS e che ora aspettano l’occasione per “redimersi” e contribuire alla causa.