Il recente scandalo delle intercettazioni illegali nato all’interno di Telecom, ci porta a fare alcune considerazioni generali riguardanti il delicato rapporto tra sicurezza e nuove tecnologie. Occorre innanzitutto ricordare che il fenomeno della sorveglianza elettronica non è affatto una novità. In ambito nazionale il caso FIAT scoppiato nel 1971 aveva già messo in luce alcune pericolose tendenze derivanti da ingenti archiviazioni di dati ai danni dei dipendenti.
Nell’agosto di quell’anno, infatti, la magistratura torinese sequestrò nella sede FIAT delle schede riguardanti ben 350.000 persone. Esse contenevano dati sensibili sui dipendenti, sui sindacalisti nonché i nomi degli informatori dell’industria: si tratta, come ricorda Stefano Rodotà nel suo “Elaboratori elettronici e controllo sociale” (1973), di una delle più importanti schedature private di cui si abbia notizia in Italia. In questi giorni si venuti a conoscenza di una seconda rete di sorveglianza della quale fatichiamo a capire la portata. Certamente siamo in presenza di qualcosa di molto più vasto rispetto alle schedature degli anni ’70 a causa delle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. Come ha affermato lo stesso ex Garante della privacy il 23 settembre sulle pagine de “La Repubblica”, le tecnologie moltiplicano gli effetti di un controllo sempre più invasivo: “ecco, allora, la nascita di banche date illegali e parallele rispetto a quelle pubbliche e private. Il passaggio ad agevoli schedature di massa dalle quali non è al riparo nessun cittadino”. E ancora Rodotà sottolinea che “il nuovo scandalo rivela come in questi anni sia cresciuta la vulnerabilità sociale senza che siano stati finora prodotti adeguati anticorpi istituzionali, sociali, culturali.” Non solo concordiamo con Rodotà nel ritenere che manchi una metabolizzazione da parte dell’intera società nei confronti dei fini conseguibili attraverso le nuove tecnologie, ma ci spingiamo oltre con una domanda che, fino ad ora, non sembra aver ottenuto risposte appropriate: qual è il confine tra il legittimo bisogno di sicurezza dei cittadini e il diritto alla riservatezza? Non vogliamo entrare nel merito dei fatti recenti, ci interessa piuttosto sviscerare il nocciolo di una questione troppo spesso evitata. La corsa ai mezzi di controllo elettronico è iniziata, come abbiamo ricordato in precedenza, molti decenni fa. E’ tuttavia innegabile che una vera e propria spinta tecnologica sia iniziata soltanto da pochi anni, così come non è possibile non riflettere sullo spartiacque che ha contribuito all’accelerazione finale ovvero l’incertezza globale post-11 settembre. Il nuovo millennio ha segnato l’entrata nella società iper tecnologizzata e iper controllata alla quale oramai sembriamo essere rassegnati. Sembra del tutto normale, per i cittadini vulnerabili della nuova era, lasciare tracce ovunque (attraverso acquisti online o tramite bancomat) ed essere sotto il perenne controllo di occhi e orecchi elettronici. In fondo, si agisce in nome della nostra incolumità. La sacralità della sfera personale, di comunicazioni protette, di libertà di movimento senza confini si stanno trasformando in utopie postmoderne senza senso. Grazie ai telefoni cellulari siamo localizzati in modo preciso, attraverso la videosorveglianza la localizzazione si accompagna a un’identificazione che non lascia alcun dubbio e persino le fidelity cards che utilizziamo nei supermercati tracciano dei profili costantemente aggiornati delle nostre preferenze da consumatori. La volontà di sapere di foucaultiana memoria si è avverata e ci siamo trasformati, come ha più volte ribadito David Lyon, in una società di sospettati e sospettabili. “Dopo l’11 settembre, non solo chiunque è un potenziale sospetto, ma chiunque è una potenziale spia” (Lyon 2005:54). Le spinte verso la “costruzione di una società del controllo totale” (Rodotà 2006: 92) sono state così forti, da aver spazzato via ogni considerazione di tipo etico e morale. Fino a che punto è lecito controllare? La risposta, purtroppo, non siamo in grado di darla, proprio perché il confine al quale accennavamo poc’anzi è troppo sfumato per essere chiaramente visibile. Abbiamo bisogno di recuperare delle dimensioni a “misura d’uomo” per non calpestare dei diritti che dovrebbero essere ritenuti inviolabili. L’affanno tecnologico ha contribuito ad un generale entusiasmo nei confronti degli ultimi dispositivi elettronici. Senza temere di ricadere in un discorso deterministico, riteniamo sia nostro compito delineare le prime avvisaglie di una deriva tecnologica che non ha tenuto conto delle conseguenze sui cittadini. Nessuna tecnologia è neutra, nemmeno quella utilizzata per concrete esigenze di sicurezza. Sarà bene ricordarcene prima che scoppi l’ennesimo scandalo intercettazioni.
Chiara Fonio