The Islamic State (2015) è il libro a cura del califfato da poco pubblicato e al vaglio delle intelligence. Si tratta di 100 pagine di testo, in un inglese non perfetto, lanciato come EBook, con numerose informazioni su IS. Il volume è stato lanciato ail 15 gennaio da alcuni account twitter conosciuti e periodicamente “bannati”, poi rilanciato sui forum intorno al 20 gennaio e ripreso, oggi, da molti media occidentali.
Tuttora il volume è in “promozione” su numerosi siti con lanci di questo genere:
Il volume è articolato in 5 sezioni:
Leadership (pg 8 -21): dove si descrive il comando di IS, i suoi obiettivi e le strategie utilizzate per sfuggire agli attacchi.
Soldati (pg. 22 – 50): dove si descrive come entrare nei territori controllati, quale tipo di training è utilizzato, la catena di comando e controllo e la vita quotidiana del combattente.
Servizi (pg. 51 – 64): dove si informa che lo Stato presto conierà moneta e che sono a disposizione servizi pubblici gratuiti per il trasporto, l’educazione e la sanità.
Media (pg. 65 – 86): dove si esplicita la strategia e i mezzi di comunicazione del Califfato, con particolare attenzione ai social media, che vengono analizzati sulla base del gradimento che i messaggi di Is hanno suscitato nel mondo occidentale.
Il futuro (pg. 87 -100): dove lo stato colpirà… inclusi i missili sull’Europa e l’Italia che è chiesto ad AQIM di inviare.
Una interessante pubblicazione, certamente di propaganda ma non solo, sulla quale ITSTIME sta lavorando.
Dal punto di vista della comunicazione, Islamic State 2015 è un prodotto interessante: benché non particolarmente raffinato per la qualità che forse è inferiore a quella dei magazine quasi fosse “affrettato”, utilizza spesso informazioni e infografiche che provengono dai media occidentali ricontestualizzate nella prospettiva del Califfato. Di quest’ultimo, infatti, non racconta nulla di nuovo ma mette a sistema quanto già circola in rete su IS diventando così sia uno strumento utile per chi “IS lo cerca” sia uno strumento di propaganda della sua proposta statuale.
Il capitolo sulla comunicazione chiarisce, indirettamente, le stesse ragioni di questa nuova produzione mediale. A pagina 76 scrive “lo Stato Islamico ha imprigionato e poi decapitato diversi giornalisti e attivisti dei paesi occidentali non islamici, molti dei quali dopo si sono rivelati essere spie o ex-soldati. Tuttavia, più tardi (2014) lo Stato islamico ha cambiato la sua posizione diventando molto più trasparente con i giornalisti. Ha permesso loro di muoversi nello Sato islamico e d vedere i servizi che rende disponibili alla sua gente”. Trasparenza, dunque, è la chiave strategica: riorganizzare i contenuti, che nulla di nuovo svelano agli addetti ai lavori, in un framing interpretativo coerente con la visione del Califfato da riproporre al pubblico occidentale più ampio e, soprattutto, a possibili nuove reclute. In quest’ottica si inserisce il lavoro di Cantlie e quello del giornalista tedesco Todenhoefer le cui posizioni, anche critiche, sono per esempio ricontestualizzate nel testo come esempio proprio di trasparenza di IS, premiante di per sé – e a ragione – secondo la lettura acuta della regia islamista.
Merita, a tal proposito, leggere quanto si trova alle pagine 80 e 81 del libro, sotto al titolo “The Islamic State Online”:
“E’ sorprendente notare che lo Stato islamico non dispone di un proprio sito web. Il suo intero network propagandistico consiste delle seguenti tipologie mediatiche:
- Video editati professionalmente (es. al-Furqan, al-Hayat)
- Account sui social media (es. su Twitter)
- EBook e magazine (es. Dabiq)
Il mondo dello Stato Islamico Online è simile al suo concreto mondo reale, dove ogni cosa è decentralizzata. Esempio: così come nella vita reale nessuno sa dove il Califfo Ibrahim (Abu Bakr al-Baghdadi) si trova, allo stesso modo nessuno può trovare un sito web centrale che possa essere visitato per trovare lo Stato Islamico ‘e i suoi contenuti’. Questo è assi importante perché nascondendo il luogo in cui si trova il Califfo Ibrahim, nessuno può facilmente assassinarlo. Allo stesso, non avendo un sito web nessun può attaccarlo e cantare vittoria online.
I contenuti (video, ebook, social media) dello Stato Islamico sono distribuiti per tutta internet. Così come le diverse province dello Stato islamico sono distribuite in diverse località. Ciascuna provincia ha la sua responsabilità nel produrre i sui video e account sui social media per condividere il suo successo. Decentralizzando tutto rispetto alla leadership centrale, qualora una provincia venisse sconfitta online o offline, la leadership e soprattutto il progetto di leadership che contraddistingue il Califfato sarebbe ancora sicuro a continuerebbe a crescere in qualche altro posto.
Hastags: qualora un membro dello Stato Islamico volesse promuovere una causa o lanciare un messaggio, che usi hastag (quali: #AllEyesOnISIS) per promuovere la campagna, lanciare un messaggio o informare di una nuova edizione.
Quello che vediamo è che se anche i musulmani hanno provato a parlare dell’Islam alla gente nei passati 20 anni, ci sono state più ricerche per “Islamic State” su YouTube negli ultimi 3 anni, che per “Islam” da quando YouTube esiste.
Ciò dimostra che il mondo ha cominciato a cercare intorno all’Islam più adesso che esso è una concreta entità (uno Stato) che quando era una semplice idea……”
Come si vede, queste poche righe, in un inglese abbastanza approssimativo, tracciano per mano del Califfato un ritratto che già emergeva dalle analisi che erano state compiute… ma in questo caso assumono la forza del’ “autoritratto”: il Califfato si racconta per quello che dice di essere – forse per quello che è – , che è anche molto simile a quello che noi – non suoi appartenenti – diciamo esso sia.
Comunicativamente si tratta di una azione forte, ancora una volta stabilizzante rispetto alla identità statuale che vuole affermare, potenzialmente attrattiva verso le nuove reclute e anche “destabilizzante” per il pubblico occidentale, che interrogato attraverso i medesimi codici simbolici a lui abituali è costretto a rompere l’immagine stereotipata del “jihadista beluino” con il quale facilmente identificava il nemico “altro da sé”, lontano, distante, non comunicante.
La via della trasparenza e della pluralità dei media, articolata nella complessa regia di IS, sta combattendo proprio quello stereotipo che, facilitando l’identificazione del nemico, è proprio il primo nemico per il Califfato che vuole essere Stato: una entità con cui si può avere una relazione.