Quanto accaduto all’Hotel Rigopiano due giorni fa porta necessariamente con sé, una riflessione circa la gestione dell’emergenza e la così tanto nominata “resilienza”.
Molti infatti rimangono gli aspetti da verificare, ma che se accertati getterebbero un’ombra in più sia sulle reali responsabilità e mancanze, sia sulla prevenzione e risposta all’emergenza.
In un simile dramma, la gravità della concomitanza di eventi naturali quali il terremoto, la valanga e i loro effetti quali il black out rimangono un aspetto di rilievo per qualsiasi analisi in merito.
Altro da dirsi invece per la gestione dell’emergenza, che almeno fino ad oggi sembra essere stata affetta da alcune mancanze di una certa importanza:
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le allerte meteo probabilmente non considerate o sottovalutate: è da settimane infatti che la situazione meteorologica nel Centro e sud Italia è critica
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le allerte e gli allarmi dati dalle persone in Hotel o da chi erano riusciti a sentire per l’ultima volta telefonicamente o via WhatsApp: sembra che a questo proposito ci sia stata una sottovalutazione della grave situazione di pericolo e rischio, rimandando l’invio dei soccorsi sulla base di altre priorità
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la scarsità dei mezzi spazzaneve e la lentezza con la quale sono stati recuperati da altre zone
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elementi più strutturali invitano anche a riflettere sulla struttura stessa dell’Hotel, sia per l’adeguatezza della sua posizione, sia per il momento di apertura: alcune fonti (ancora da verificare) segnalano infatti che l’Hotel sarebbe dovuto essere aperto nella stagione estiva, ma non in quella invernale
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rimane ancora un mistero la competenza per la manutenzione della strada di collegamento fra l’Hotel e il paese sottostante: era una strada privata? Provinciale? Statale? Certo permettere un accumulo di muri di neve alti 4 metri per 10 km deve fare riflettere
E’ certo che in Italia dopo un simile evento catastrofico, nell’ambito della gestione dell’emergenza nazionale, non sarà più possibile parlare di resilienza o per lo meno non come è stata fino ad ora concepita e sistematizzata.
Il concetto stesso e le sue declinazione nel crisis management prevedono, che in un contesto emergenziale e di disastro vi sia uno spazio metodologico e operativo per interventi di ripristino.
Sappiano tutti, che la reale forma del sistema colpito nella pre – emergenza non potrà essere ricostruita, ma avevamo la libertà di pensare che una risposta resiliente poteva fare la differenza per la fase successiva di ricostruzione.
Già dal terremoto di Amatrice di agosto 2016 e poi quello di ottobre 2016 avevamo intuito che la situazione nel Centro Italia fosse drammaticamente connotata, ma la tragedia dell’evento dell’Hotel Rigopiano segna un punto di cambiamento nella gestione delle crisi e nell’inclusione delle competenze di resilienza: ora conosciamo la differenza fra una situazione di disastro e gli spazi aperti di risposta all’evento e ricostruzione secondo un approccio resiliente ed una catastrofe conclamata, che non lascia possibilità di resilienza alcuna, ma che invece trasforma quella preziosa abilità in una cieca forma di resistenza ottusa.
Resistenza diventerà quindi il nuovo paradigma con il quale poter analizzare e comprendere le portate distruttive e la forza di cambiamento totale di una catastrofe, che non lascia apertura alla speranza.
Una resistenza quindi di fronte a tutte le umane mancanze – qui il fato così spesso citato per i precedenti terremoti di Amatrice e Accumuli non c’entra- che perdurano e anzi si incancreniscono e si intestardiscono esattamente come le componenti di un sistema allo sbando, senza obiettivi, ma con l’unico scopo di essere resistente di per sé.
Non è con la resistenza che si risponde e si gestisce una emergenza, per quanto letale possa essere: la resistenza ottusa non permette quel grado di flessibilità e dinamicità necessari per operare in condizioni emergenziali.
La realtà è che sta mancando tutto: dai sistemi di allerta, all’evacuazione (adeguatamente formulata e proposta), alla prevenzione e alla gestione stessa: è un sistema esso stesso in crisi e non da poco tempo, ma media e politici hanno sempre preferito riferire sull’adeguatezza della macchina dei soccorsi nell’immediato post- evento.
Una macchina per l’appunto in panne o resistente a seconda delle prospettive, come quell’unico spazzaneve ad aprire la strada ai mezzi di soccorso: un’immagine che rimarrà sintomo e segno di un dramma, che pone nuove sfide al crisis management e all’appropriatezza della resilienza in contesti critici.