La rotta balcanica dei rifugiati che cercano asilo in Europa sta rubando da alcuni mesi le prime pagine alla tragedia dei migranti che attraversano il mar Mediterraneo nello stretto di Sicilia e in quello di Gibilterra. Esattamente come la regione da cui prende il nome questa nuova rotta nasconde in se veri e propri paradossi che sfuggono all’opinione pubblica del vecchio continente e, molto spesso, per ragioni di interesse politico o per semplice disinteresse, vengono ignorati perfino dai media.
Si tratta di una via che viene percorsa da persone completamente diverse da quelle che attraversano il sud del Mediterraneo. A differenziarli è la stratificazione sociale, la capacità economica, i paesi d’origine e l’appartenenza religiosa. Dalle mie visite sul terreno ho potuto personalmente appurare che la maggioranza dei migranti ha buone capacità economiche. A Belgrado tutti gli alberghi di rango medio, medio-alto sono occupati fino all’ultimo posto letto. Coloro che sono riusciti ad arrivare nella capitale serba dopo aver attraversato la Turchia, dopo essere entrati in zona Schengen in Grecia e dopo averla lasciata con la speranza di rientrarvi entro breve attraverso il confine Ungherese, cercano delle camere fornite di doccia per poter riposare. Le autorità locali consce di tale fenomeno hanno autorizzato gli alberghi ad accettare i cosiddetti rifugiati purché questi possano vantare documenti verosimilmente regolari. I vari direttori d’albergo con cui ho potuto parlare mi hanno confermato tutti all’unisono che i migranti pagano il prezzo pieno della camera in anticipo senza battere ciglio. A coloro che non possono essere accettati per mancanza di documenti di identificazione – ma che sarebbero disposti a pagare prezzi anche maggiorati pur di dormire in un letto- non rimane invece che piantare la propria tenda nei parchi della città. La Serbia non li caccia. Non li spinge a forza ad attraversare il confine sia esso croato o ungherese. Il governo di Belgrado sta cercando in questi giorni d’ottenere il massimo dalla data situazione: ciò significa il maggior finanziamento possibile per immigrato da parte dell’UE in modo da incamerare la maggio liquidità possibile e gestire i flussi in uscita in maniera da diventare un partner indispensabile per tutti i paesi. Il paradosso d’essere una zona di semplice transito tra una zona Schengen e l’altra spiega la calma e il sangue freddo con cui la Serbia gestisce una problematica che sul medio termine può portarle effettivamente benefici politico-economici. Gran parte dei potenziali rifugiati in cammino attraverso i Balcani una volta arrivati in Ungheria, Croazia o Slovenia dichiara candidamente che ha solamente un desiderio: ovvero quello di proseguire verso l’Europa cioè verso la Germania. Vi è tuttavia un gruppo di persone, composto in maggioranza da mussulmani sunniti, che ha chiaramente deciso di non voler abbandonare questa regione e opta per una permanenza stabile in Bosnia Erzegovina. Il governo di questo instabile stato, che negli ultimi anni ha perso un milione di abitanti, conta d’ospitare nei prossimi mesi circa 33.000 rifugiati. I migranti hanno chiare in mente le loro mete di destinazione. Personalmente mi sono sentito dire che loro mai e poi mai chiederebbero asilo in Grecia o in Croazia poiché sono paesi poveri in confronto al benessere di cui godevano in “Siria” e che non accetteranno alcuna restrizione pur di giungere alla meta. La cosa pare venga messa in pratica al momento in Slovenia – dove sono giunte le prime migliaia di migranti che stanno così modificando la rotta che prima prevedeva come obbligatorio il passaggio attraverso l’Ungheria – in modo tale da forzare i cordoni della polizia pur di giungere allo scontro per richiamare l’attenzione dei media oppure facendo avanzare i bambini appositamente vestiti in maniera trasandata. Nei campi allestiti dalla Croce Rossa e dalle altre NGO autorizzate si sta scoprendo che la maggior parte delle persone falsificano i documenti pur di potersi dichiarare Siriani. Grandi sono le quantità di iracheni, afgani e perfino uzbeki tra le fila dei richiedenti asilo. E’ stato detto loro che passare per siriano è garanzia di asilo e di accettazione nell’ UE (leggi: Germania) e se non sono riusciti a comprarsi un passaporto falso con le insegne di Damasco devono perdere ogni documento di identificazione. Uno dei paradossi più incredibili è che tra coloro che perdono i documenti vi sono anche migliaia di cittadini del Kosovo, del Montenegro, della Bosnia Erzegovina e della Macedonia. I cittadini dei cosiddetti Balcani Occidentali non nutrono alcun ottimismo nella stabilizzazione o nella ripresa economica della regione. Preferiscono abbandonarla puntando sul caos creato dai rifugiati e sull’incapacità dell’Unione Europea a prendere decisioni sensate.
I responsabili politici dell’Unione stanno dimostrando ancora una volta in pochi anni – dopo la crisi finanziaria- di non avere la minima competenza a gestire momenti di tensione e soprattutto di non avere una chiara visione politica della comune convivenza. All’ultimo Forum Strategico di Bled (Slovenia) Donald Tusk ha chiesto capacità di azione e solidarietà ai partner europei ma non ha minimamente accennato al fatto che a Bruxelles qualcuno ha compreso le dimensioni geopolitiche dello scenario creatosi ed esploso con una precisione da orologio svizzero nel momento più opportuno. Mentre le reti criminali del medio oriente lucrano e si autofinanziano, la regione viene svuotata dalle persone che potrebbero rappresentare un possibile ostacolo all’ulteriore destabilizzazione della regione. A loro viene venduto un miraggio europeo che in verità viene costretto a gestire una massa di immigranti tale da poter far deflagrare la società. Destabilizzare l’Europa non è un desiderio ascrivibile solamente all’Isis. Troppe sono le poste in gioco ai nostri confini perché le grandi potenze non ne vedano le connessioni. Sottoposta alla prova del nove l’UE sta mostrando nuovamente la propria impotenza. Il sistema di Schengen, fondamento della libertà di circolazione di cui tanto andiamo fieri, è vicino al collasso, la politica interna è divisa sul da farsi, la politica estera comune chiaramente non esiste e l’afflusso indiscriminato in mancanza di una gestione della crisi organizzata porterà a tensioni sociali potenzialmente distruttive. I Balcani in questo momento ridiventano il luogo dove si incrociano diversi destini e in cui la colonizzazione proveniente da sud prende il posto in maniera calcolata delle persone che lasciano i propri paesi d’origine. Se a ciò sommiamo il fatto che vi sono ancora decine di questioni di confine irrisolte tra i vari paesi della ex-Jugoslavia, che talvolta proprio a causa di ciò i rapporti sono al limite della buona creanza anche tra stati membri dell’UE quali ad esempio Slovenia e Croazia e che le grandi potenze internazionali, da sempre, mantengono ivi dormienti focolai di possibili tensioni, possiamo facilmente immaginare che la rotta balcanica non è stata scelta o fatta iniziare per caso. Parafrasando Shakespeare “c’è del marcio” nei Balcani.