Un comunicato ufficiale datato 14 luglio 2018 di Stato Islamico (IS) potrebbe indicare una svolta decisiva nella strategia comunicativa del gruppo terroristico, ancora in trasformazione dopo la caduta di Raqqa nel 2017.In poche righe infatti IS sembra ripudiare tutta quella schiera di produttori autonomi di propaganda che dall’attentato a La Rambla a Barcellona nell’agosto 2017 erano diventati parte essenziale del fronte mediatico, dopo essere stati considerati in passato quasi delle comparse. In realtà il comunicato non impedisce di continuare a supportare la sua causa ma raccomanda di interrompere la produzione e la diffusione di materiale per e tramite canali non ufficiali. Di fatto tuttavia questa raccomandazione non si riduce a mera nota tecnica ma pare avere quasi un sapore giuridico che esautora quei canali amplificatori che pure sembravano essenziali per la strategia “post-Barcellona”. Grazie a loro infatti il califfato avrebbe potuto in linea teorica contare su una produzione spontanea, flessibile e capillare in grado di moltiplicare gli sforzi della comunicazione ufficiale. Tale risultato si è concretizzato in una viralità in grado di spronare nuovi attentati, come avvenuto nelle varie serie di attacchi imitativi nel 2017 quale appunto Barcellona (a cui sono seguiti Turku, Surgut e Bruxelles): assalti lanciati in rapida successione tra loro ma senza legami operativi importanti tra gli attentatori.
Il ruolo dei supporter era poi diventato fondamentale dopo la caduta di Raqqa e Marawi nell’ottobre 2017, quando la produzione mediatica era precipitata a livelli mai visti prima. In quel caso sono stati proprio i simpatizzanti a costituire uno spontaneo “polmone d’acciaio” della comunicazione IS e a mantenere la presenza di IS – seppur surrogata – a un livello accettabile.
Perché allora Stato Islamico sembra rinunciare a questa risorsa?
È già capitato in passato che IS abbia cercato di porre le distanze tra il proprio apparato comunicativo e gli autori simpatizzanti, tuttavia è il momento in cui tale distanza viene rimarcata a indicare un possibile mutamento nella strategia comunicativa IS. Infatti i bersagli del comunicato non sono gli autori in quanto tali ma i canali di diffusione, strumenti sembrati adatti in un periodo di trasformazione come quello attuale.
Questo sembra confermare la formazione di una frattura sempre più marcata tra centro e periferia della comunicazione IS. Diverse le possibili motivazioni: per loro stessa natura gli autori spontanei non rispondono (almeno nelle fasi iniziali) al comando ufficiale e conducono azioni autonome che non sempre seguono le linee auspicate da IS. In più occasioni infatti tali azioni (ulteriormente amplificate dai media occidentali) hanno creato aspettative verso determinati obiettivi salvo poi essere frustrate dall’inattività – come successo per i Mondiali in Russia appena conclusi e per le minacce a Roma e al Vaticano nel 2017. Non solo: alcuni autori, come Wafa’ Media Foundation, sembrano essere divenuti nel tempo (anche se temporaneamente) veri punti di riferimento per altri autori minori, scavalcando di fatto la centralità e l’autorità che IS pretende. Stato Islamico potrebbe aver deciso quindi che da risorsa da sfruttare i canali non ufficiali e gli autori con cui collaborano siano divenuti una spada a doppio taglio o, come nei due casi appena citati, addirittura di Damocle: il gruppo terroristico ha dimostrato di poter sopravvivere anche con una produzione mediatica minima e con poche azioni concrete, tuttavia quello su cui non può transigere è il monopolio del proprio brand reputazionale, da mesi invece implicitamente sfruttato da una pluralità di autori.
In futuro potrebbero quindi aprirsi due scenari. Il primo vede un proseguire di IS sulla linea dell’accentramento sempre più marcato e senza soluzione di continuità, teso a mantenere l’autorità e di cercare di imporre una sorta di monopolio mediatico. Tale intransigente scelta parrebbe tuttavia miope: una volta concessa tanta e tale autonomia ai simpatizzanti per così lungo tempo è improbabile che questi facciano un passo indietro, soprattutto dopo il ruolo che hanno rivestito dopo la perdita di Raqqa. Conseguenza diretta di tale scenario sarebbe probabilmente che almeno parte dei simpatizzanti continui a produrre e diffondere materiale – come già avvenuto con l’autore Al Faqeer Media nei giorni successivi il comunicato – e quindi mettere ulteriormente in dubbio non solo l’autorità ma anche l’autorevolezza di IS.
Il secondo considera una linea tendente al compromesso, dove la comunicazione ufficiale prenda le redini per rimarcare la propria centralità in un primo momento per poi concedere spazio “legittimo” ad alcuni canali privilegiati e di comprovata affidabilità e/o malleabilità. Tale opzione sembra più praticabile, consistendo sostanzialmente in un concedere diversi livelli di ufficialità (come avvenuto in altri casi, ad esempio per l’agenzia “ufficiosa” Amaq) a fronte della presa di coscienza di aver dato vita a un fenomeno non (più?) controllabile.