Il paradosso forse più stupefacente, in questi ultimi anni di emergenze e crisi globali, è racchiuso proprio all’interno di due parole, apparentemente distanti, che rappresentano però alcuni dei bisogni umani fondamentali nella società digitale interconnessa: cibo e tecnologia dell’informazione.
Se dovessimo “riscrivere” la famosa piramide proposta dallo psicologo Abraham H. Maslow, sarebbero entrambi da posizionare al primo posto. Non possiamo vivere in modo sano senza una adeguata alimentazione. Non possiamo soddisfare i nostri bisogni sociali, culturali, politici senza un’adeguata connessione e una solida infrastruttura tecnologica digitale.
Basta osservare il nostro stato psicologico quando siamo da troppo tempo a stomaco vuoto o troppo separati da smartphone e computer. Cibo e tecnologia sono di fatto fonti di energia dal punto di vista biochimico da un lato, informazionale dall’altro. Supportano il nostro corpo e la nostra mente, proteggono la nostra salute e il nostro sapere.
Eppure, oltre tre miliardi di persone oggi vivono in gravi situazioni di povertà alimentare e/o tecnologico-informativa.
Dopo le recenti crisi, quella economica e pandemica, siamo ormai oltre la modernità liquida. È arrivato il momento di fare i conti con gli effetti entropici del modello di sviluppo che ha dominato il passaggio di secolo.
L’attuale conflitto Russia-Ucraina ha poi ulteriormente aggravato la situazione.
Lo scontro all’interno dell’Europa sta generando nuove emergenze sociali e mondi paralleli. Attraverso violenza psico-politica ed economica o narrazioni ad hoc contro “vinti” e “vincitori”, dove misinformazione e social network rappresentano i principali strumenti di propaganda per rafforzare una comunicazione-informazione unidirezionale, difficile da contrastare e verificare.
Il monopolio dell’informazione o la scarsità di mezzi tecnologici nei paesi coinvolti, e non solo, favoriscono una maggiore mediatizzazione e politicizzazione della guerra, e di conseguenza una violenta polarizzazione della sfera pubblica.
All’interno di questi “mondi tribali narrati” si aggiunge poi un altro gravissimo problema, quello legato alla scarsità di cibo e il conseguente aumento dei prezzi sul mercato globale.
Il conflitto ucraino ha bloccato le filiere globali, facendo schizzare i prezzi di cibo, carburante e fertilizzanti a livelli mai visti. L’indice FAO dei prezzi alimentari, che monitora i prezzi di una serie di beni di consumo a livello globale, ha fatto registrare un picco storico a febbraio e poi di nuovo a marzo 2022. Tale aumento è stato dettato dall’incremento dei prezzi di cereali e oli vegetali, conseguenza dell’impatto della guerra sulle filiere produttive. Russia e Ucraina sono due tra i principali Paesi esportatori di cereali come grano, granturco e mais, oltre che di oli vegetali come l’olio di semi di girasole.
Citando i due sociologi italiani, Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, è sempre più evidente come stiamo entrando nella “Supersocietà”, un inedito intreccio tra processi già in corso da tempo, che si caratterizza per la convergenza di tre dimensioni: la stringente interdipendenza tecno-economica su scala globale; il nesso inestricabile tra azione umana e biosfera; l’assorbimento sempre più spinto della soggettività nel processo di autoproduzione sociale.
A differenza della globalizzazione la supersocietà non tende a costruire un processo uniforme, bensì una integrazione non lineare che spinge verso una maggiore verticalizzazione aumentando le disuguaglianze e aprendo le porte a nuovi scontri inter-comunitari.
Attualmente fame e (mancanza di) informazione- tecnologia sono dunque fonti di conflitto, nuovi shock globali, ma allo stesso tempo, rappresentano i principali bisogni e problemi delle nostre società. Bisogni da soddisfare, problemi da risolvere per andare oltre la crisi della supersocietà. Per questo è molto importante non solo rispondere alle esigenze umanitarie odierne, ma anche investire nello sviluppo e nella creazione di sistemi resistenti e flessibili.