Secondo i dati presentati dal rapporto European Union Terrorism Situation and Trend Report (TE_SAT 2018)[1] nel 2017 si è verificato un totale di 207 attacchi terroristici falliti, neutralizzati o completati, dei quali 137 di natura etno-nazionalista/separatista, 33 jihadista, 24 estrema sinistra e 5 estrema destra.
È interessante notare che i numeri riportati rappresenterebbero una decisa frattura della tendenza al decremento registrata dall’attività terroristica europea durante i precedenti 3 anni, transitando da un picco di 226 incidenti nel 2014, a 193 nel 2015 fino a 142 nel 2016.
Nel 2017 si è infatti registrato un aumento degli episodi terroristici sul suolo Europeo del 45% rispetto all’anno precedente, dato che confermerebbe la grave e crescente minaccia rappresentata odiernamente dal terrorismo.
Analizzando il report di Europol e superando la fondamentale analisi statistica, emergerebbero alcune riflessioni di particolare interesse:
- Il terrorismo – nella sua dimensione separatista, jihadista, anarchico insurrezionalista, etc. – risulterebbe essere null’altro che lo sfogo di diverse specificità ideologiche attraverso il denominatore comune dell’atto violento. Tale traduzione violenta e condivisa permetterebbe così di transitare il fenomeno da una dimensione particolare, propria della singola matrice ideologica, ad una universale, più affine ad una manifestazione globale che appare necessitare di un quadro interpretativo più ampio, quale quello recentemente fornito dalle varie forme dell’estremismo violento. All’interno del contesto delineato il Daesh, attore ibrido e rivoluzionario, sembra aver prontamente compreso la transizione descritta avviando un cambiamento morfogenetico del fenomeno terroristico, trasformandolo in uno strumento semplificato, virale, a portata di chiunque e capace di attrarre, tradurre e sfogare una pluralità di disagi, frustrazioni e patologie. Una concreta universalizzazione del terrorismo come rimedio ai problemi dell’attuale mondo globale. Oltretutto, la puntuale interpretazione, da parte del sedicente Califfato, dell’evoluzione del contesto internazionale all’interno del quale opera, risulta essere stata cruciale. Le prospettive di sviluppo globale per il 2030, così come delineate dal US Office of the Director of National Intelligence (DNI)[2] sottolineano infatti un potenziale e generalizzato incremento del conflitto, che si declinerebbe attraverso varie nature: politica, economica, socio-culturale, climatica o geografica che sia. Quello che è importante rilevare è che tali cause, all’apparenza indipendenti, si dimostrerebbero altresì interdipendenti, venendo accomunate all’interno di un’emergente scenario di insurrezione globale contro le problematiche strutturali proprie della società post-industriale. Moto insurrezionale che verrebbe agevolato dalla vulnerabilità di una governance mondiale impegnata nel passaggio da egemonia a multipolarismo e che troverebbe nel “nuovo” terrorismo innescato dal Daesh un mezzo efficace.
- Il report mette inoltre in evidenza (p.17) il ruolo che nel corso degli anni si è andato via via strutturando di alcune organizzazioni no profit o presunte tali, circa le funzioni di reclutamento di giovani uomini nell’ambito di gruppi jihadisti. L’utilizzo di associazioni benefiche per scopi terroristici non è una novità, al Qaeda le avrebbe invero ampiamente utilizzate con finalità di finanziamento[3]. Questo però rappresenta un fatto importante alla luce dei cambiamenti epocali, che si stanno vivendo in questi ultimi anni. Infatti i princìpi cardini quali solidarietà e coesione sociale, che sono stati alla base della costruzione degli Stati nazionali e hanno permeato le loro politiche pubbliche e sociali nonché le loro identità sullo scenario internazionale, stanno sperimentando una fase importante di revisione. La credibilità e la fiducia in questo settore fondamentale delle società contemporanee sono minate per l’appunto da un utilizzo meramente teleologico di alcune loro attività. Viviamo infatti in un un periodo storico per il quale il fine e la matrice di una idea, trascendono l’azione concreta che può, come spesso accade, essere anche in dissonanza rispetto alla linea di principio dichiarata. Questo processo a livello cognitivo collettivo genera profonda instabilità e prepara terreno fertile per la proliferazione di atteggiamenti polarizzati, altamente conflittuali a prescindere dalle loro intrinseche ragioni, che in molti casi vengono infatti addebitate in un secondo momento. Così facendo si risponde più all’ansia pubblica di definire un quadro motivazionale certo entro il quale la persona o un gruppo devono necessariamente agire, che non all’effettiva comprensione del fenomeno.
- Seguendo un approccio olistico interpretativo, si può sostenere che la densità morale intesa come intensità e qualità delle relazioni sociali stia radicalmente cambiando, producendo una crescente anomia sociale sia nel mondo reale sia in quello virtuale, che si traduce in forme di polarizzazione sempre più trasversali nei metodi e meno caratterizzate in termini ideologici. Idea questa sostenuta dallo spunto offerto nella sezione dell’estremismo politico di sinistra del report, che riporta un cambiamento organizzativo nelle strutture gerarchiche di tali organizzazioni (p. 49), ma un mantenimento della presenza sul territorio attraverso l’occupazione abusiva di case o la strutturazione di centri sociali. L’attenzione per il territorio però traspare anche in alcuni gruppi peculiari e a volte autoctoni dell’estrema destra, che vedono proprio in una certa tipologia di quartiere e di urbanizzazione contemporanea (rif. Mappa sottostante), lo scenario di una nuova hybrid warfare, caratterizzata da una frammentazione della minaccia sempre più polarizzata in termini di azioni, ma non sempre di motivazioni.
Concludendo possiamo presentare alcune tendenze per gli anni a venire:
- parcellizzazione della minaccia con focus sui metodi e sulle finalità, meno sulle motivazioni che spingono a tali azioni
- multipolarizzazione di persone o gruppi sociali, che avranno sempre più la forma costituita di un movimento sociale con le pecualiri caratteristiche di violenza, interdipendenza, cambiamento sociale, flissibilità organizzativa
- lo scenario urbano sarà sempre più centrale per questi fenomeni: sia nella loro fase di realizzazione, sia per il loro potenziale di incubatore. A questo proposito il World Urbanization Prospects 2018[4] bene illustra il potenziale distruttivo di una simile minaccia estremista e multiforme in contesti altamenti urbanizzati e per i quali quindi, la resilienza urbana diventerà una strategia fondamentale di governance
- la comprensione di fondamentali dinamiche umane assumerà sempre più maggiore rilevanza, sottolineando l’importanza del metodo interpretativo fornito dall’intelligence socio-culturale
[1] https://www.europol.europa.eu/activities-services/main-reports/european-union-terrorism-situation-and-trend-report-2018-tesat-2018
[2] https://globaltrends2030.files.wordpress.com/2012/11/global-trends-2030-november2012.pdf
[3] https://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/charitable-organizations-and-terrorist-financing-a-war-on-terror-status-che