Rapiti nel Jebel Uweinat – by Marco Lombardi

La questione dei turisti europei rapiti in questi ultimi giorni di settembre in Egitto ha tenuto tutti con il fiato sospeso: l’incertezza degli autori del rapimento, l’incertezza delle mosse diplomatiche in atto e il fascino dei luoghi lontani ha mobilitato, ha incuriosito e interessato. Cerchiamo di capire cosa è successo e dove… aggiungendo qualche considerazione.


Il rapimento è avvenuto, o comunque ha interessato, la montagna delle piccole sorgenti: il Jebel Uweinat. Si tratta di un massiccio-isola nel cuore del deserto dove Libia, Egitto e Sudan si incontrano. Ha una estensione di circa 1.050 km quadrati e la cima più elevata è Cima Italia (1934 m.). E’ un lugo importante e mitico: importante perché dispone di quattro piccole sorgenti, unici punti d’acqua in un raggio di 400 chilometri; mitico perché nelle sue valli potrebbe nascondersi l’antica oasi di Zerzura, come recenti spedizioni italiane guidate da Stefano Laberio hanno cercato di dimostrare.

Il Jebel era, per tutte questa ragioni, da sempre noto ai carovanieri, ma venne
ufficialmente scoperto il 28 Aprile del 1923 dal principe e diplomatico egiziano Ahmed
Hassanein Bey che per primo ne fissò la posizione. Uweinat si trova a circa 300 chilometri a sud est della grande oasi di Cufra, base italiana dal 1931: infatti proprio in quell’anno è Ardito Desio a essere il primo geologo italiano a visitare il Jebel per conto della “Missione Scientifica della Reale Accademia d’Italia a Cufra”. Nel 1933 la missione geotopografica IGM guidata dal Capitano Marchesi completa in otto mesi di lavoro la prima mappa 1:100.000 del Jebel Uweinat. Come se non bastasse a evocare suggestioni e curiosità, il massissio è ricco di grotte e incisioni rupestri ancora da scoprire impresa in cui si è cimentato – negli anno Trenta – l’esploratore ungherese Conte Laszlo Almasy, la cui vita avventurosa è raccontata nel film “il paziente inglese”.

I nostri turisti giravano da quelle parti.
Conosco l’area e ho attraversato più volte il Sahara libico: siamo in un contesto di confini virtuali, tra grandi dune di sabbia, dove tuttavia il controllo sostanziale (anche se non formale) del territorio è abbastanza sicuro. Le pattuglie libiche piuttosto che egiziane si muovono rapide e prestano attenzione ai movimenti che avvengono nel deserto. Tutto sommato non è facile passare innoservati. Inoltre, Cufra può essere considerato un importante hub dei traffici di cose e uomini tra Libia, Sudan e Ciad: da qui partono grandi truck mercedes a sei ruote motrici che in due giorni attravesano la regione, in direzione sud, trasportando clandestini, alcol e quanto può fare commercio. Insomma è un’area desertica cruciale. Il Jebel, inoltre, può offrire buon riparo e nascondiglio: i mezzi meccanici devono restare ai suoi bordi e solo a piedi è concesso, con difficoltà, di penetrarvi. Oppure dal cielo. Un posto dove ci si può nascondere, ma quasi una prigione da cui poi è difficile scappare. Qui sembra siano finiti turisti prigionieri e rapitori. Devo riconoscere che l’interesse massimo era capire, per chi si occupa come me di sicurezza e terrorismo, se i rapiti sarebbero diventati merce di scambio. Modalità di sequestro e gestione oltre che zona di esecuzione avevano fatto subito pensare alla azione di banditi piuttosto che di terroristi. Ma la questione era: i banditi – trafficanti sprovveduti che volevano fare più soldi oppure sbandatati alla ricerca di soldi facili o ancora pseudo ribelli sudanesi – avrebbero gestito fino in fondo la questione a fronte di una possible richiesta di cessione da parte qaedista?
Già, perché il Sahara è oggi interessato dalle azioni di Al-Qaeda del Maghreb Islamico. Ormai si tratta di un gruppo consolidato e autore di numerosi attacchi in area maghrebina. Per esempio è intervenuto immediatamente dopo il colpo di stato in Mauritania, dell’agosto 2008, invitando la popolazione a cogliere l’occasione per instaurare uno stato islamico, accusando Usa, Francia e Israele di essere
dietro al golpe. Si tratta di una delle nuove formazioni regionali nelle quali si sta
riorganizzando Al-Qaeda, come avviene nel Caucaso, in Iraq e in Sud Est Asiatico, che
stanno ristrutturando le strategie del terrorismo. Col rapimento la questione era: AQMI si
farà avanti per comprare i rapiti. La posta è interessante: al di là degli occidentali, merce di scambio mai disdegnata soprattutto da questi gruppi locali, ci sono gli egiziani con i quali i conti sono aperti. Ma a quanto pare ciò non avviene e oggi, 29 settembre, il rapimento si risolve con il rilascio. La considerazione positiva – al di là del rilascio – è proprio quella di avere mantenuto la vicenda nel contesto del banditismo: AQMI non è arrivata fino al Jebel Uweinat, il paio di migliaia di chilometri di sabbia che si distendono tra le basi algerine e i confini egiziani hanno protetto i malcapitati. Al-Qaeda non ha ancora una penetrazione sufficiente nei traffici del banditismo né un potere tanto diffuso da attrarne le intenzioni. AQIM, similmente alle radici locali che l’hanno generata, si espande verso il sud algerino, entra in Mauritania e nei paesi nord occidentali, sconfina in Akakus libico, si allunga nel Tenerè fino al Mali. Ma non ha ancora occupato il Sahara che sembra restare una no man land anche per i qaedisti. Almeno per ora…

Marco Lombardi