Perché la Spagna? Perché Barcellona? L’interrogativo che ci si è posti sin dalle prime ore dopo l’attacco avvenuto nella capitale dalla catalogna, non può certo trovare facile risposta, specie all’indomani di un giorno durante il quale, come solitamente avviene durante una situazione critica, la confusione era elevata. Le informazioni che al solito circolano nell’immediato non fanno altro che aumentare il caos: un furgone o due? Quanti erano i terroristi? Erano o non erano asserragliati all’interno di un ristorante? L’uomo identificato per aver affittato i furgoni era stato arrestato o si era presentato spontaneamente al commissariato di Girona denunciando il furto dei documenti?
A bocce “quasi” ferme, si può rileggere quanto accaduto tracciando alcune linee interpretative che denotano, da un lato, il verificarsi di quanto era probabile e propagandato, ovvero un attacco in al-Anadalus, dall’altro, nuovi elementi organizzativi del Daesh, che ha rivendicato l’attacco, che meritano di essere indagati a fondo in chiave preventiva.
L’attentato di Barcellona arriva a freddo, in un momento in cui la Spagna forse non si sentiva un target primario. Poco esposta dal punto di vista di politica internazionale nella lotta la terrorismo, la penisola iberica però non aveva mai abbassato il livello di allerta innalzato praticamente al massimo da dopo gli attacchi di Parigi. La nuova guerra ibrida, finalizzata all’esportazione del terrorismo in maniera delocalizzata e pervasiva non ha risparmiato la nazione spagnola che conta un numero decisamente inferiore di foreign fighters partiti per la Siria e l’Iraq rispetto ad altri Paesi europei, teatri dei recenti attentati. La teoria che vede più esposti agli attacchi del Daesh i paesi combattenti sul campo (Francia, Gran Bretagna,…) vacilla e si mostra più un’utile narrativa per Daesh nel movimentare i suoi uomini che una proficua interpretazione della minaccia.
Ma la Spagna, da parte sua ha aperto in Europa i grandi attentati del ventesimo secolo con quello avvenuto a Madrid nel 2004. Altra sigla che aveva guidato le operazioni, Al- Qaeda in quel caso, con la quale il Daesh in questo nuovo attentato in territorio europeo cerca proprio di dialogare, utilizzando anche le modalità organizzative stesse delle operazioni come strumento di comunicazione tra i diversi attori del terrorismo islamista. A Barcellona, quello che è andato in scena ha sempre più le caratteristiche di un assalto su ampia scala, organizzato da una vera e propria cellula radicata sul territorio e composta da almeno una decina di terroristi. Andiamo con ordine:
- La notte prima dell’attentato alla Rambla un edificio di Alcanar, località della costa tra Barcellona e Valencia, veniva semi-distrutto a causa di una potente esplosione causata dalla deflagrazione di alcune bombole a gas. Fonti catalane riferivano in seguito che la deflagrazione poteva essere stata scatenata anche da “sostanze distinte dal gas”.
- Il pomeriggio del giorno seguente un furgone si scagliava sulla Rambla di Barcellona uccidendo 13 persone e ferendone un centinaio. Veniva poi identificato un secondo furgone, ritrovato nella zona di Vic, entrambi affittati da un soggetto maghrebino in seguito identificato come Driss Ouakbir.
- Intorno alle 2 del mattino a Cambrilis, una località turistica a circa 120 km a sud di Barcellona, nella zona di Tarragona, un’Audi A3 con a bordo cinque terroristi armati si scagliava contro la folla ferendo sette persone prima di venire bloccato da un mezzo del mosos d’escuadra. Ne nasceva un lungo conflitto a fuoco con conseguente abbattimento dei quattro terroristi che vestivano tra l’altro cinture esplosive (non chiaro se finte o vere ma comunque fatte deflagrare in modo controllato dagli artificeri).
- Nella notte tra giovedì e venerdì viene reso noto che la polizia catalana è alla ricerca di quattro individui che si sarebbero occupati della logistica degli attacchi.
Da ciò si può dedurre in primis che si tratta di un piano ben organizzato con target su più fronti ed entrambi ad alta concentrazione di turisti in pieno periodo estivo. Le cellule erano tra loro coordinate e avevano a disposizione mezzi, basi logistiche, armi e sapevano come muoversi sul territorio.
Risulta di particolare interesse l’esplosione di Alcanar, forse un errore che potrebbe aver spinto il resto della rete ad accelerare i tempi ed entrare subito in azione.
Non più dunque l’operato di un singolo soggetto autonomo, armato di coltello, che si scaglia contro la folla per poi scendere e colpire i passanti, come avvenuto in diversi precedenti casi in Europa. Questa volta l’azione è coordinata e i terroristi erano in possesso di armi da fuoco che però, stranamente, non hanno scaricato contro la folla. L’unico elemento in comune resta, se vogliamo, l’utilizzo delle auto lanciate contro la folla. Auto che, esattamente come nel caso dell’attentato di Westminster del marzo 2017 e quello di Nizza del luglio 2016, sono state prese in affitto. Ciò non può non far riflettere sulla facilità con la quale gli automezzi possono essere affittati senza quei controlli che sono oggi necessari, come dimostrano i fatti.
E’ poi evidente un cambio di visione della strategia del terrore, non più nutrita dall’ideologia dello “shahid”, del martire pronto a immolarsi per raggiungere il paradiso, ma piuttosto di soggetti che pianificano attentamente l’attacco scegliendo il sito e le modalità più idonee a massimizzare il numero di vittime ma che poi si danno alla fuga, piccoli nuclei operativi con l’obiettivo di colpire e fuggire seguendo un piano ben definito di fuga. In tale contesto quindi bisogna ripensare il concetto di sicurezza delle diverse aree, non solo in termini preventivi ma anche di gestione dell’emergenza. Insieme quindi alla necessità di indagare a fondo le modalità di organizzazione della cellula che ha agito per capirne la natura logistica e le modalità di pianificazione per ridurre la possibilità che si possano ripetere attacchi simili, è altrettanto fondamentale ribadire e aumentare la consapevolezza circa la necessità di trovare delle modalità di messa in sicurezza e di riduzione del danno nel caso in cui tali fatti si verifichino.
La pianificazione degli attacchi fa presumere alla definizione di una catena di comando e controllo parzialmente decentralizzata rispetto al territorio del Siraq, ma centralizzata al suo interno. La centralizzazione, e quindi l’esistenza di una regia centrale, all’interno delle (presunte) tre cellule di Rambla, Cambrills e Alcanar è un’ipotesi più che concreta. L’articolazione dell’attacco, i diversi mezzi, lo studio della fuga verso un luogo sicuro, l’immeditata rivendicazione e la presenza di altri componenti di altro nucleo pronti ad attaccare, rappresentano importanti elementi che fanno pensare ad uno spostamento verso tattiche e strategie militari, creando piccoli nuclei operativi centralizzati nei vari territori, con appoggio di nuclei logistici silenti perfettamente addestrati a studiare vie di fuga e soluzioni operative, definendo al meglio le operazioni e salvaguardando la vita di chi le compie.
Lo stesso presunto autore Moussa Oukabir sarebbe arrivato in Spagna una decina di giorni fa dal Marocco, un tempo utile per essere istruito dall’eventuale coordinatore [reclutatore] tattico-operativo (tattico in quando istruttore del piano sul territorio spagnolo; operativo in quanto ponte tra il coordinamento degli attacchi e il reclutamento). Allo stesso tempo, le similitudini con gli attentati di Parigi fanno emergere un precedente dal punto di vista dell’esistenza di una regia.
Così come a Parigi si erano attivati diversi gruppi con molteplici target, in Spagna seppur in tempi diversi la cellula di Rambla colpisce nel tardo pomeriggio per poi lasciare spazio ore più tardi al gruppo di Cambrills fermato durante l’esecuzione dell’attacco dalle autorità spagnole. Ad Alcanar, la notte prima, l’esplosione della palazzina completa il quadro evidenziando una delle probabili diverse safe house dislocate sul territorio spagnolo e l’eventuale pianificazione di un ulteriore attacco tramite esplosivi.
Resta certamente difficile tra trovare una collocazione nella attuale situazione di allerta generalizzata e diffusa la situazione in cui si è presentata la Rambla agli attentatori: la totale assenza di barriere e di mezzi di polizia lungo l’area pedonale, hanno certamente agevolato il compito al nucleo di terroristi che, verosimilmente, hanno avuto modo di studiare il miglior punto di attacco all’area, definendo a priori le vie di fuga utilizzando un altro mezzo.
Ma come difendersi da questa minaccia?
Non parliamo volutamente di nuova minaccia poiché il vettore rimane sempre il medesimo, con la medesima esposizione al rischio. Ciò che viene evidenziato invece da questo nuovo scenario “operativo” sono le nostre vulnerabilità di sistema.
Nonostante i warning ricevuti nei mesi scorsi e i diversi attacchi compiuti sempre utilizzando dei mezzi, ad una prima analisi sembra essere assente qualsiasi tipologia di misura di sicurezza passiva nell’area dell’attacco. Questo particolare evidenzia come il concetto “lesson learned” sembra sia stato del tutto trascurato a Barcellona, famosa per il divertimento sfrenato e senza particolari regole stringenti. L’implementazione di misure di sicurezza passiva dovrebbe essere un must quasi automatico, per particolari eventi o per grandi zone pedonali (target fino ad ora prediletto). Accanto a questo, è necessario definire piani di gestione della crisi, individuando le aree maggiormente esposte ad attacchi ed elaborando singoli piani di sicurezza da attuare in funzione del target colpito, della sua localizzazione, garantendo le risorse necessarie a mettere in sicurezza non solo l’area colpita ma tutta la città. Desta non poca preoccupazione, infatti, che a distanza di poche ore dall’attacco, nel comune di Vic, a 70 km da Barcellona, sia stato ritrovato uno dei mezzi segnalati e utilizzato per la fuga che è riuscito ad uscire dai primi “anelli” di sicurezza che sarebbero dovuti essere predisposti all’interno della città.
A tutti questi aspetti operativi si affianca parallelamente la dimensione comunicativa dell’attacco, tanto rilevante per sollevare aspetti aggiuntivi di analisi che attengo all’organizzazione del Daesh nel momento in cui è massima la perdita di controllo dei territori del califfato. È infatti il testo della rivendicazione dell’attacco, diffuso dall’agenzia Amaq a definire, in maniera ormai replicativa, le ragioni dell’attacco perpetrato da “soldati dello Stato Islamico in risposta alla partecipazione della Spagna alla coalizione internazionale”. La propaganda batte sempre sulle motivazioni più di pancia, quelle che possono contribuire anche a radicalizzare altri soggetti, e l’offensiva della coalizione ha di fatto sempre offerto un ottimo spunto per questo tipo di discorso. Resta però interessante rilevare l’intenzione del Daesh di influenzare gli esiti delle elezioni nei paesi occidentali. Francia e America sono stati spesso il bersaglio di operazioni comunicative specifiche proprio in relazione all’attacco ai seggi e ai canditati. La Catalogna si appresta al referendum e questo non può essere completamente ignorato quando si guarda alle reali motivazioni che possono aver decretato la spinta ad agire in Spagna e in particolare nella regione sudorientale. Solo al termine delle consultazioni referendarie si saprà quale può essere stato il vero peso che l’attacco di Barcellona ha avuto nel risultato elettorale ma è già stato riscontrato in passato che dopo un attacco, temi caldi per il dibattito politico come quello dell’immigrazione, non tardano a polarizzare le posizioni in campo: il contrasto tra la Barcellona “città aperta” promossa in questi ultimi mesi e l’effetto dell’attacco di ieri produrrà certamente un effetto politico stridente.
Altra comunicazione di tipo generalista che può aver condizionato e supportato il lavoro del gruppo entrato in azione a Barcellona è, ad esempio, una nuova esortazione contenuta in un video prodotto dal Daesh, “For You oh Dawla Supporters”, nel quale si esortano i reclutatori in tutto il Dar al-Kufr, l’Occidente, a sottolineare l’importanza della creazione di cellule che eseguissero le istruzioni impartite. Quindi una sorta di esecutori di direttive, più o meno specifiche, imposte anche semplicemente attraverso la propaganda. Ed è forse in questi termini che va letto quanto contenuto nell’ultimo numero della rivista del Daesh, Rumiyah 12, che esorta a riappropriarsi dei luoghi simbolici dell’Islam, ricordando che la Spagna fin dalle prime apparizioni pubbliche del califfato era rappresentata sotto la sua bandiera nera.
Infine, resta quantomeno degna di nota la reattività con la quale la propaganda si è mossa a supporto dell’azione. In pochissimo tempo, come se nulla fosse successo dall’inizio dell’anno ad oggi a Raqqa o Mosul, la compagna comunicativa del califfato ha prodotto grafiche, anche elaborate e specifiche per i fatti spagnoli, che esaltavano gli attacchi ponendo interrogativi sulla scarsa efficacia delle misure di sicurezza e di intelligence. Anche se una parte di questo materiale può essere stato preparato in anticipo e customizzato all’occorrenza con le immagini di Barcellona è lecito chiedersi se la centrale della comunicazione, il cuore pulsante dello spirito che anima il Daesh e che è diventata l’arma più potente della guerra ibrida, sia ancora nei territori del Siraq o non abbia trovato dimora presso una zona più “tranquilla”, magari proprio in nord Africa da dove si attende il nome del nuovo califfo, dalla quale può dare vita ai prodotti mediatici che hanno contraddistinto la strategia del terrore di Daesh senza i fischi delle bombe sopra la testa.
Questa stessa reattività è stata dimostrata nella immediata rivendicazione dell’attacco di oggi a Turku, in Finlandia, perpetrato con coltello alla mano al grido di Allah è Grande. Un evento questo finlandese che apre a ulteriori riflessioni.
La prima riguarda l’effetto domino, temuto, che potrebbe essersi innescato dopo Barcellona: come se a un tratto le instabili tessere del mosaico avessero cominciato a cadere, una dopo l’altra. E’ stato questo Barcellona? E’ stato d’avvio l’incitamento comunicativo del Daesh, di questo ultimo mese, ad affondare i coltelli nei Paesi dei kuffar? In queste ore il web, i canali Telegramm non fanno che moltiplicare, rilanciandoli, gli incitamenti al jihad globale. Certo è che non ci si sta avviando alla fine del terrorismo islamista, ma al termine di una sua stagione che porterà a un altro cambiamento di pelle.
E questo porta alla seconda questione, alla riorganizzazione che il terrorismo finora conosciuto come Daesh sta subendo. Proprio la citata grande reattività comunicativa sembra sottolineare l’emergere di una ancora più flessibile catena di comando e controllo, delocalizzata rispetto ai territori di cui il Califfato manteneva il dominio e, soprattutto, ancora più centrale nel mantenimento e nella gestione del potere di indirizzo e orientamento al jihad globale.
Fine agosto difficile, autunno in avvicinamento, inverno freddo, purché non sia di paura.