Palmira offre una grande scenografia e, come ci si poteva aspettare, IS lo ha subito scoperto per la sua comunicazione strategica. Subito dopo la sua conquista, il Califfato (il 20 di maggio scorso) aveva vietato l’ingresso alle rovine archeologiche ai residenti locali. Uno di loro, Abo Ali, dichiarava: “After Daash took control in Palmyra they prevented citizens from entering the ancient city. They promised us that they are not going to destroy any of it, but we knew that they would not keep their promise.” Infatti, il 23 maggio viene distrutta la statua conosciuta come il Leone di al Lat, del Primo Sec. AC, come viene riferito da Maamoun Abdelkarim direttore delle antichità siriane. Negli ultimi giorni di giugno, Wilayat Homs aveva pubblicato le foto della distruzione di due tombe vicino al sito indicate da IS come “simboli politeisti” da distruggere. Il 2 luglio viene dato risalto alla distruzione di sei statue, a colpi di mazza, che IS dichiara essere state sequestrate a un “cacciatore di tesori” pronto a rivenderle sul mercato internazionale. Il documento allegato mostra questa distruzione.
Ma Palmira è da sempre anche una perfetta location per gli spettacoli: fino a prima della guerra siriana “suoni e luci” e altri spettacoli artistici erano abitualmente messi in scena tra quelle antiche rovine. Oggi viene messa in scena per l’usuale comunicazione del terrore, che tra i teatri millenari trova il risalto mediale che IS cerca: l’ultimo documento in tal senso è il video lanciato il 4 luglio in cui 25 soldati, sembrano siriani, vengono ammazzati con un colpo in testa da giovanissimi jihadisti. Dunque attrattività doppia: uno scenario attraente per una esecuzione di per sé attraente perché coinvolge i “cub” del Califfato. I giovani, in mimetica, sullo sfondo dell’antico colonnato cappeggiato da un grande stendardo nero, tirano il grilletto di fronte alla folla che riempie gli spalti: il “panem et circenses” dei nemici “romani” all’ennesima potenza mediatizzato da Daesh. Il tutto bene si inquadra nell’attualizzazione coerente con quanto già visto, allora tra le rovine di una città moderna distrutta, quando venne inscenata la macabra uccisione col fuoco del pilota giordano. Un video che non poteva non essere rilanciato dai media globali come si aspettava e cercavano i jihadisti.
Al di là del successo mediatico che rientra nelle strategia comunicative del Califfato nero, la questione dei bambini soldato di IS è assai preoccupante: determina la sopravvivenza di Daesh al di là di ogni tempistica che ne presupponga l’immediata – insperabile e difficilmente possibile – sconfitta sul campo. Infatti, come dimostrano le esperienze con i bambini soldato in altri contesti di sfruttamento, il recupero di questi minori educati, socializzati, indottrinati alla violenza è lento, difficoltoso e non certo. Tutto ciò porta a preoccuparsi assai di più per il futuro di questi giovani jihadisti piuttosto che per il loro immediato impiego in campo perché quel futuro è la possibile perdurante minaccia di IS ben oltre la sua permanenza istituzionale su un territorio.