Venerdì sera una cellula di jihadisti del gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP, i meglio noti “Talebani pakistani) ha lanciato un attacco suicida contro il quartier generale della polizia di Karachi, un complesso strettamente sorvegliato che ospita dozzine di edifici amministrativi e residenziali. Centinaia di agenti vivono infatti all’interno del compound con le loro famiglie. I suoni di spari ed esplosioni hanno scosso la città pakistana per diverse ore e soltanto in tarda nottata è arrivata la conferma da parte delle autorità locali della fine delle operazioni di “pulizia” che hanno coinvolto polizia, esercito ed anche forze paramilitari.
Secondo le ultime informazioni fornite dalle autorità pakistane, il bollettino sarebbe di due agenti di polizia, un ranger e un civile deceduti ed altri 14 feriti. Gli attentatori rimasti uccisi nell’attacco sarebbero due mentre un terzo si è fatto esplodere all’interno di uno degli edifici della polizia. Altre fonti parlano di cinque terroristi uccisi, ma nessuna conferma al momento. Tehreek-e-Taliban Pakistan ha successivamente rivendicato l’attacco con un messaggio inviato via Whatsapp ai giornalisti:
“I nostri martiri mujahideen hanno attaccato gli uffici della polizia di Karachi. Arriveranno maggiori dettagli”.
Tehreek-e-Taliban Pakistan è un’organizzazione “ombrello” fondata nel dicembre del 2007 dal defunto Beitullah Mehsud che include diversi gruppi operanti prevalentemente nelle zone tribali pakistane al confine con l’Afghanistan e che riceve sostegno dai Talebani afghani.
Le dinamiche
Secondo quanto emerso, i terroristi sarebbero arrivati attorno alle 19:30 ore locali a bordo di due auto, poi ritrovate con gli sportelli ancora aperti, davanti all’ingresso posteriore del compound; erano travestiti da agenti di polizia e una volta all’interno hanno iniziato a sparare indiscriminatamente contro tutti per poi infiltrarsi ai piani più alti e in particolare verso gli uffici del comandante.
Il numero stimato di terroristi, armati con fucili automatici, granate e giubbotti esplosivi, va da 8 a 10 e questo significa che se tre sono rimasti uccisi, nulla si sa dei rimanenti membri della cellula.
La centralissima zona di Saddar, dove si trova il quartier generale della polizia, è considerata particolarmente sicura e ad elevata sorveglianza in quanto ospita banche, uffici governativi, centri commerciali e scuole private; le auto in zona sono frequentemente fermate per controlli e perquisizioni. Dunque, se da una parte non è difficile far entrare armi a Karachi, una metropoli con elevato tasso di criminalità e teatro di traffici di ogni tipo, dall’altra sorprende come i terroristi siano riusciti ad introdursi in una zona così attenzionata, pesantemente armati, senza incappare in alcun controllo, sfuggendo al monitoraggio notoriamente esteso ed invasivo dell’intelligence interna pakistana, aspetto sottolineato da diversi analisti.
Va tra l’altro evidenziato che i terroristi conoscevano bene la struttura interna del quartier generale, si sono diretti subito verso gli uffici del comando e questo fa pensare che vi sia stato un sopralluogo preventivo o quanto meno che la cellula sia riuscita ad avere informazioni precise dall’interno.
Risulta di particolare interesse anche la tattica di vestirsi con abiti della polizia in modo da sfuggire ai controlli o quanto meno di ritardarli e lasciare così ai terroristi un margine di tempo addizionale per aprire il fuoco o attivare l’ordigno.
Il contesto
L’assalto al quartier generale della polizia di Karachi arriva due settimane dopo che un attentatore suicida, anche in quel caso travestito da agente, si era fatto esplodere all’interno di una moschea di Peshawar frequentata da personale della polizia, nel nord-ovest del Paese, uccidendo una sessantina di persone e ferendone più di cento. Da novembre scorso il Pakistan è diventato teatro di un’ondata di attacchi perpetrati da TTP che ha deciso di porre fine al cessate il fuoco col governo di Islamabad e riprendere la lotta. Il governo pakistano aveva provato a convincere i Talebani afghani a sospendere il sostegno al TTP ma senza successo. L’offensiva arriva tra l’altro in un momento in cui il Pakistan si trova a dover fare i conti con una gravissima crisi economica e questo il TTP lo sa molto bene.
A gennaio il National Security Council pakistano aveva del resto reso noto che Islamabad non aveva alcuna intenzione di negoziare altri cessate il fuoco e che il governo avrebbe risposto con piena forza ad eventuali azioni violente del TTP. Il Pakistan lanciava poi un monito a “quei Paesi che offrono santuari e aiuti ai terroristi”, un chiaro riferimento all’Afghanistan talebano.
Gli attacchi nei confronti di polizia ed esercito fanno parte di una strategia messa in atto dal nuovo leader, Noor Wali Mehsud, a partire dal 2020, che mira a non colpire civili ma soltanto personale governativo e forze di sicurezza. L’obiettivo è quello di riqualificare l’immagine del gruppo agli occhi della popolazione ed allontanarlo dal modus operandi dell’Isis.
L’attacco di venerdì sera è un grosso colpo per TTP che ha così alzato il livello dello scontro, non solo arrivando a colpire nel cuore della capitale finanziaria e industriale pakistana ma anche un obiettivo di tutto rilievo, il quartier generale della polizia, gli uffici del comando, in una zona ad alta sorveglianza. Stavolta non si è trattato di attaccare un luogo di culto nel nord-est del Paese, non lontano dalle zone tribali, ma un hard-target nell’estremo sud, un centro nevralgico del Paese.
L’attentato, oltre ad avere un forte impatto sia sul piano istituzionale e sia su quello mediatico, evidenzia anche come TTP abbia fatto un salto di qualità e sia ora in grado di colpire lontano dalle proprie roccaforti, disponendo di reti ben più ampie di quanto si potesse pensare. Resta poi il mistero, almeno per ora, su che fine abbiano fatto i restanti terroristi. Intanto tutto il Paese è in massima allerta e ci si attende una dura risposta da parte del governo di Islamabad.