Un rilancio nella questione degli ostaggi era prevedibile: a meno che, dietro alla plateale richiesta di manifestazioni contro la guerra e il governo italiano, non fossero in corso altri risolutivi processi di negoziazione con chi detiene gli ostaggi. Ciò che merita attenzione è la richiesta di intervento per la liberazione di prigionieri iraqeni detenuti in Kurdistan. Ero in Kurdistan alcuni mesi fa, a Sulaimani ho incontrato Sarkut Hassan Jalal, capo della sicurezza, e il primo ministro kurdo.
Grazie a loro ho parlato anche con alcuni terroristi di Ansar al Islam, il gruppo integralista legato ad al Qaeda, probabilmente alcune delle persone di cui oggi si chiede la liberazione (cfr. le interviste in queste pagine). La situazione – per quanto ne so non è molto cambiata ultimamente – è tale per cui sono nel complesso pochi (qualche centinaio) i prigionieri bahatisti o terroristi detenuti. I secondi, solitamente, sono consegnati alle truppe americane. Il ricatto rivolto all’Italia, pertanto, è “curioso”. La richiesta di liberare prigionieri iraqeni detenuti in Kurdistan non ha senso. Se valutata rispetto all’oggettivo profilo dei prigionieri là confinati, possiamo dire che i bahatisti più interessanti non si trovano là. Al contrario, alcuni e pochi interessanti personaggi di Ansar al Islam potrebbero essere nell’area Nord: se questo fosse l’obiettivo non esplicito della richiesta, allora l’intera vicenda degli ostaggi dovrebbe essere inquadrata in una prospettiva diversa rispetto a quella mediatizzata finora. Cioè dovrebbe essere inserita in un’operazione terroristica e non di guerriglia. D’altra parte, la citazione del Kurdistan nel rialzo della posta suggerisce questa prospettiva, insieme ad alcune notazioni “tecniche” sulla gestione del sequestro (per esempio: la sicura presenza di una “mente internazionale” dietro all’intera operazione). Infatti, il Kurdistan finora “è stato a guardare”: da sempre schierato su posizioni moderate e di supporto alla coalizione, istituzionalmente “laico e aperto”, il suo coinvolgimento potrebbe mirare a rompere un delicato equilibrio costringendo proprio il Kurdistan a entrare in gioco in maniera troppo definita e schierata rispetto alle opportune strategie di cautela che la situazione consiglierebbe a questa regione. Insomma, sembra leggere dietro alla richiesta in questione, un più complesso disegno politico orientato a generare la massima destabilizzazione possibile nel paese. Il rilancio della posta, dunque, evidenzia la complessità di una situazione che non prevede il semplice coinvolgimento di bande armate nostalgiche, patriottiche e poco organizzate. Ma al contrario, qualora gli orientamenti delle richieste fossero confermati nelle prossime ore, si dovrebbe pensare alla manovra di una mente politica capace, determinata e pericolosa. In sintesi, secondo la mia opinione personale, sarei portato a credere alla progressiva saldatura tra ex bande bahatiste e terrorismo di al Qaeda sotto la direzione del più competente assassino di questi anni: Al Zarqawi.
Marco Lombardi