Lo studio del terrorismo è il nostro modo per fargli guerra. Non è l’unico mezzo per annientare la piaga, ma è il nostro. Nel farlo abbiamo spesso analizzato i comportamenti dei carnefici; ma oggi vogliamo porci nei panni delle vittime.Quando si parla di Daesh, le narrazioni più “trendy”, dal punto di vista mediatico, favoriscono pochissimo una comprensione vittimologica degli eventi, focalizzandosi molto spesso sul danno, sul danneggiatore, e molto meno sul danneggiato. Sociologicamente parlando, la retorica mediatica del “rifugiato siriano” è molto ambigua: assume come proprio oggetto le vittime del terrorismo, ma attribuisce a queste dei numeri prima che dei volti, generando uno spostamento dell’etichetta di danneggiato, da chi fugge a chi accoglie. E se l’Occidente crede di essere la vittima primaria del terrorismo, allora vuol dire che non ha ancora compreso il terrorismo stesso.
Il sociologo Bauman ha affermato che “stiamo già in una situazione cosmopolita ma ci manca drammaticamente una consapevolezza cosmopolitica“[1]. L’Europa sta barattando questa inconsapevolezza con la frammentazione della sua Comunità, schiacciata dal peso della frana umanitaria.
Siamo molto consapevoli delle vittime di casa nostra, è giusto così, ed è bene ricordarsele. Ma che consapevolezza abbiamo quando si tratta di chi viene colpito al di fuori dei nostri confini? La domanda non vuole essere retorica, ma analitica.
È normale, infatti, che si dia rilevanza agli accadimenti del mondo secondo dei criteri di prossimità, sia essa spaziale, culturale o di altro tipo. Autopreservazione e risparmio delle risorse cognitive dettano l’agenda di ciò che è importante e di ciò che invece non lo è. Ma siamo sicuri che l’uomo moderno, immerso nella società globalizzata, dove tutto è connesso, possa permettersi di fare discriminazioni così nette? Non sto facendo appello ad un cosiddetto dovere morale; il suggerimento implicito è invece quello di rivalutare, anche egoisticamente, quali siano i danni che stiamo subendo senza accorgercene, nell’inconsapevolezza che le distanze ormai non contano quasi più nulla. I confini perdono di senso, e questa guerra è completamente diversa dalle precedenti: ogni danno non è una semplice ferita, è una metastasi.
Siamo molto consapevoli delle vittime di casa nostra, e, ribadisco, è bene ricordarsele. Nel marzo di quest’anno l’Europa ha subito un terribile attentato, proprio nel suo cuore: era il 22, a Bruxelles, 32 morti[2]. Della Turchia si ricorda un kamikaze, anche qui jihadista di Daesh, che si fece brillare il 19 marzo a Istanbul, nelle vie dello shopping del centro (4 morti).
In quello stesso mese, meno di 9 settimane fa, fuori dai confini europei, accadeva questo:
- 2 marzo, 18 morti (auto bomba), Siria, distretto di Quneitra, villaggio di al-Isha[3];
- 4 marzo, 16 morti (sparatoria), Yemen, governatorato di Aden, città di Aden[4];
- 6 marzo, circa 60 morti (camion bomba), Iraq, governatorato di Babil, città di Hillah[5];
- 7 marzo, circa 60 morti di cui 36 terroristi (raid armato), Tunisia, governatorato di Medenine, città di Ben Gardane[6];
- 20 marzo, 24 morti (kamikaze), Iraq, governatorato di al Anbar, città di Anbar[7];
- 25 marzo, 41 morti (kamikaze), Iraq, governatorato di Babil, città di Iskandariya[8];
- 25 marzo, 26 morti (tre kamikaze), Yemen, governatorato di Aden, città di Aden[9];
- 26 marzo, 28 morti di cui 10 terroristi (10 kamikaze), Iraq, governatorato di al Anbar, base militare di al Asad[10].
Quelli appena enumerati sono solo gli attentati attribuiti unicamente a Daesh, con fondata certezza o ragionevole sospetto, con il coinvolgimento di almeno 15 vittime non appartenenti al sedicente stato islamico, nel solo mese di marzo 2016. Sono esclusi dall’elenco tutti gli attentati compiuti in altri periodi e da altri gruppi terroristici.
Cifre ben più spaventose fanno riferimento alle vittime di altri periodi, come quelle dell’incursione di Daesh, nell’agosto 2014, in Iraq settentrionale, distretto di Sinjar (un’area grande circa il doppio della provincia di Milano): le stime parlano di 2000-5000 morti[11].
E a proposito di questa battaglia, dopo aver parlato di numeri, vi proponiamo un volto.
Si tratta di Nadia Murad Basee Taha, ragazza 21enne, di cultura yazida che ha avuto la sfortuna di essere una vittima di Daesh, ma la fortuna di poterlo raccontare.
Mercoledì 4 maggio 2016, ha parlato a Milano, portandoci la sua esperienza.
Kocho, il villaggio dove Nadia ha vissuto, è situato nel sopracitato distretto di Sinjar, nord Iraq, vicino alla Siria, a meno di 200 chilometri a ovest di Mosul.
Kocho, fu uno dei diversi villaggi attaccati: è stato circondato dai miliziani di Daesh il 4 agosto del 2014, e successivamente invaso il 15 dello stesso mese. Nadia ci racconta come i terroristi abbiano subito ucciso gli 800 uomini presenti: padri, figli e fratelli degli abitanti del paese. Successivamente hanno strappato i bambini dalle loro famiglie per “fargli il lavaggio del cervello e assoldarli nel loro esercito”. Poi è toccato alle donne: quelle adulte, ultra 45enni, venivano il più delle volte uccise, come sua madre; le altre, le ragazze, venivano portate via dal paese, com’è successo a lei e a sua sorella. Così Nadia e altre 150 ragazze sono state condotte a Mossul, per essere vendute al mercato degli schiavi. Separata dalla sorella perché “acquistate da due uomini diversi” è stata obbligata ad avere rapporti sessuali con il suo proprietario. Dopo queste vicende non ha più rivisto la sorella, nè il resto della sua famiglia. Racconta come, molto spesso, “le ragazze cercano di suicidarsi o tentano la fuga”. Talvolta vengono uccise comunque nel tentativo di scappare; altre volte vengono catturate di nuovo e subiscono ulteriori sevizie.
“Una volta ho provato a scappare, ma quando mi hanno trovata mi hanno portato in una stanza, con sei miliziani, e hanno continuato a commettere atti orrendi sul mio corpo finché non ho perso conoscenza.”
Nadia, nel novembre del 2014, dopo tre mesi di sevizie e torture, e dopo diversi tentativi di fuga falliti, è riuscita a sfuggire alle mani di Daesh, trovando dapprima l’accoglienza di una famiglia della zona (“che avrebbe potuto riportarmi dai miliziani, ma non l’ha fatto”), e successivamente in un campo profughi tedesco. Ora ha ottenuto lo status di rifugiato, vive in Germania, e si sta prodigando per raggiungere i diversi paesi europei (tra cui, proprio in questi giorni, l’Italia) per portare il suo racconto e la sua denuncia, come ha già fatto di fronte alle Nazioni Unite.
I sopravvissuti del terrorismo non devono essere considerati come sporadici mattoni di un infelice muro che ci separa dai teatri geografici più conflittuali. Dobbiamo vederli come miracoloso tunnel in fondo al quale scrutare, studiare e raggiungere il nemico per combatterlo.
La conoscenza di queste vicende deve spingere in modo reciproco il dibattito pubblico e quello politico, favorendo uno sguardo realmente globalizzato che non si limiti a guardare solo le vicende nostrane, e che possa pertanto superare quella visione miope convinta di squadrare il problema mentre ne fissa solo l’ombra distorta.
Chiudo con un concetto che ormai più volte abbiamo ripetuto:
l’Europa, come il resto del mondo, deve prendere una decisione in questa guerra: combattere unita, o morire frammentata.
[1] http://openmigration.org/idee/intervista-a-zygmunt-bauman/
[2] http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-22/bruxelles-due-forti-esplosioni-all-aeroporto-082710.shtml?uuid=ACKyscsC
[3] http://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-syria-idUSKCN0W41VO
[4] http://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2016/03/04/yemen-attaque-sanglante-d-un-hospice-catholique-a-aden_4876977_3218.html#8k9W3ZysVHOITL2U.99
[5] http://www.aljazeera.com/news/2016/03/60-killed-iraq-suicide-bombing-160306132812862.html
[6] http://www.aljazeera.com/news/2016/03/60-killed-iraq-suicide-bombing-160306132812862.html
[7] http://www.ibtimes.co.uk/isis-offensive-kills-least-24-iraqi-troops-suicide-bombing-more-us-marines-dispatched-1550641
[8] http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2016/03/26/attentato-uno-stadio-sud-baghdad-bilancio-sale-morti_Zqf2KFNaVppIjRDR7Ze5WN.html
[9] http://www.reuters.com/article/us-yemen-security-idUSKCN0WR1EZ
[10] http://www.aljazeera.com/news/2016/03/isil-suicide-attackers-storm-army-base-iraq-160326120309877.html
[11] http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/islamic-state/11160906/Isil-carried-out-massacres-and-mass-sexual-enslavement-of-Yazidis-UN-confirms.html