Oggi a Baghdad il terrorismo ha ammazzato oltre 40 cittadini iraqeni in coda per arruolarsi nel nuovo esercito del Paese: giovani che – lo abbiamo sentito nelle dichiarazioni – sono orgogliosi di servire l’Iraq nel cammino per un futuro migliore. Oggi al Palazzo di Vetro, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, durante una conferenza stampa, dichiara che è «Ovviamente molto preoccupato per la situazione sul terreno in Iraq. Sono grato al Consiglio di sicurezza per avere inserito (nella risoluzione) che potremo andare quando “le circostanze lo permetteranno”…a tutt’oggi le circostanze non lo consentono e stiamo valutando la situazione con grandissima attenzione».
L’Onu chiuse la propria rappresentanza a Baghdad dopo l’attentato dell’agosto scorso, in cui perse la vita anche l’inviato speciale di Kofi Annan, il brasiliano Sergio Vieira de Mello. In quegli stessi giorni, in cui UN si ritirava, una piccola delegazione dell’Università Cattolica partiva per l’Iraq, per raggiungere Sulaimany, via Amman e Baghdad. In queste ultime settimane il dibattito internazionale e politico sul ruolo chiave che le Nazione Unite devono avere in Iraq ha infuocata le platee europee, e non solo. Ma la realtà quotidiana supera ogni accordo, evidenzia tutti i limiti, sottolinea “le cose” che schiacciano “le parole”: si ri-propongono interrogativi sulla capacità e possibilità di intervento dell’Istituzione Internazionale nelle reali situazioni di crisi. Si tratta di una riflessione grave che il Resto del Mondo, a partire dalla realtà Iraqena, è chiamato a fare sulle Nazioni Unite. L’invocato Governo Planetario UN è impotente, imbelle e incapace ad affrontare le situazioni difficili che il nuovo assetto globale propone. Al di là delle difficoltà politiche, che necessariamente e giustamente anticipano ogni accordo determinante una azione, si ergono come ostacolo invalicabile le rigide norme di sicurezza e di ingaggio che tutelano gli interventi UN. Tra gli addetti ai lavori – basta chiederlo a qualcuna delle numerose ONG presenti nelle aree difficili – le regole sulla sicurezza che UN adotta sono ben più restrittive di quelle delle ONG stesse. Di massima si può dire che UN arriva per ultimo e va via per primo quando le cose volgono al brutto. Questo 17 giugno 2004 mostra a tutti lo stato delle cose. Come può questa Istituzione, con questi codici, intervenire a nome del Mondo nelle aree di crisi? Come seriamente possono chiedere, forze politiche consapevoli dello stato delle cose, un intervento di UN nelle aree di crisi? La situazione in Iraq sta peggiorando e andrà peggiorando. L’obiettivo – più volte ripetuto nei miei interventi – è quello di “garantire instabilità” colpendo ogni forma iniziale di ordine istituzionale: non si tratta di resistenza, che non c’è mai stata: i bahatisti sono morti con Saddam, continuerò a ripeterlo. Ma si tratta di terrorismo, inteso come la forma presente e deterritorializzata di guerra. Se è compito di UN garantire la sicurezza è UN che deve adeguarsi alle nuove forme di in-sicurezza, adottando gli strumenti strategici più funzionali e modificando le proprie regole di intervento. Altrimenti sarà inevitabile: la sicurezza è un bisogno primario della gente e se non ci pensa UN a garantirla, nascerà la domanda prepotente perché altro diventi paladino di una quotidianità “abitabile”.
Marco Lombardi