Tanto clamore per Zarqawi morto fa sicuramente parte del circuito mediatico che “giea attorno” al terrorismo di matrice islamica e non riguarda solo l’ “importanza” del leader di al Qaeda.
Le informazioni mostrano come Abu Musab al Zarqawi avesse avuto, negli ultimi tempi,
suggerimenti da parte di altri leader di al Qaeda affinché uscisse dal pantano iraqeno.
Sicuramente Zarqawi è stato in Iraq un capace organizzatore militare del terrorismo, e
pertanto la sua eliminazione – non c’era alcun interesse a catturarlo da parte americana – può essere definita un successo. Tuttavia, il suo ruolo coesivo si era sicuramente ridotto in questi mesi quando le lotte in Iraq hanno sempre più assunto i contorni di uno scontro tra fazioni etnico-politiche-religiose sganciate dalla mission di al Qaeda. Inoltre, non poche frizioni si erano create tra la banda di Zarqawi e i sunniti, che lo appoggiavano, in relazione a episodi di racket e di estorsioni locali che li vedevano in competizione. Così come gli attacchi ad alcune moschee lo avevano portato a rompere con gli sciiti. E già prima aveva perso buona parte dell’appoggio della popolazione, a causa dei continui attacchi che perpetrava contro i civili.
Abu Musab al Zarqawi era, dunque, già da tempo “un morto che cammina”, solo o quasi, destinato a sublimarsi per la causa fornendo un altro martire oppure a lasciare l’Iraq. In tale contesto, una taglia da 25 milioni di dollari forniva ulteriori spinte. Le spinte di al Qaeda a lasciare il paese erano, dunque, comprensibili perché la competenza di questo personaggio sarebbe stata più utile riutilizzarla in un contesto di terrorismo internazionale ri-localizzato, piuttosto che in un Iraq sempre più orientato a cambiare “pelle” negli scontri: da terrorismo a guerriglia a guerra civile; da palcoscenico
globale a internazionale ad americano. La risposta di Zarqawi è stata “unica”: sempre in prima persona lontano dai media, il 26 aprile 2006 appare in un video di ben 34 minuti con un “messaggio al popolo”. Poi ricompare in audio il 28 aprile attaccando il Pakistan. Infine, ai primi di maggio circola un blob con le scene tagliate in post-produzione dal primo video. Tale rarissima apparizione mediatica sembra il colpo di coda di chi vuole recuperare visibilità perduta – stile “isola dei famosi” – ma fornisce anche informazioni preziose. Il risultato, infatti, conferma la perdita di spessore del personaggio tra il pubblico mostrandone la faccia che lo rende identificabile e i luoghi riconoscibili in cui si muove.
Il lavoro di ricerca del progetto ITSTIME, che si preoccupa proprio di monitorare e
analizzare la comunicazione mediatica della jihad, ha sottolineato le contiguità dei luoghi comparando i video trasmessi precedentemente con quelli dell’attacco alla base del gruppo terrorista. In pratica, da maggio si poteva sostenere che Zarqawi “fosse morto”, anche se probabilmente più per mano di un cacciatore di taglie che per un raid U.S. Ancora una volta, dunque, la comunicazione appare come risorsa complessa, in un campo e nell’altro, che è utile mantenere al centro delle analisi sul terrorismo.
Cosa succederà adesso?
Il sostituto è già pronto. Ma non è molto importante, se non riesce a recuperare quanto perso da Zarqawi in termini di peso organizzativo militare e politicamente centrale tra le
fazioni in campo. La cosa non è in sé scontata né facile per alcuno. In ogni caso, la situazione in Iraq non cambierà perché il livello di conflitto è ormai più orientato dai differenti gruppi etnico-religiosi, con un progressivo aumento di partecipazione della criminalità opportunista organizzata, che non dalla presenza di al Qaeda. La sopravvivenza di quest’ultima, al contrario, sembra ormai più legata a un suo rilancio sulla scena internazionale in altri contesti geografici.
Marco Lombardi