Melbourne: terrorismo a Natale anche in Australia – by Matteo Vergani

All’alba del 23 Dicembre, 400 agenti della polizia del Vittoria, della polizia federale e dei servizi segreti interni hanno condotto arresti e perquisizioni in 5 quartieri a nord di Melbourne, sventando quello che il primo ministro Turnbull ha definito il complotto terroristico più grande mai pianificato sul suolo australiano. Gli agenti hanno trovato esplosivi artigianali in via di fabbricazione e hanno arrestato inizialmente sette persone, rilasciandone poi tre e mantenendone quattro in custodia. Gli arrestati sono tutti di circa 20 anni: il più grande ne ha 26, il più giovane 21. Sono tutti cittadini Australiani, e tutti nati in Australia tranne uno, nato in Egitto.

L’attacco che stavano pianificato sarebbe stato nello stile di quello avvenuto nel Novembre 2015 a Parigi: esplosioni (probabilmente anche attacchi suicidi) seguiti da sparatorie e uccisioni all’arma bianca nel centro della città, con l’obiettivo di seminare il panico. Un attacco che richiede competenze logistiche non indifferenti, non da ultima la capacità di costruire ordigni esplosivi artigianali e di recuperare i componenti. Un livello di complessità e preparazione maggiore rispetto a uccisioni all’arma bianca o al lancio di veicoli sulla folla, e che richiede anche una notevole convinzione ideologica e robustezza psicologica.

Il gruppo di presunti attentatori è composto da due fratelli, Ibrahim e Hamza Abbas, e da un loro cugino, Abdullah Charaani. Spesso succede che piccoli gruppi di individui legati da forti amicizie e relazioni parentali si radicalizzino fino al punto di passare all’azione, soprattutto se vivono in un ambiente in cui le convinzioni più estreme sono accettate e “normalizzate”. Le sorelle degli Abbas hanno espresso la loro vicinanza agli arrestati su Facebook definendo gli arresti una montatura, il che suggerisce che il loro ambiente famigliare abbia supportato le loro convinzioni ideologiche, anche se non fosse stato a conoscenza degli attacchi.

I fratelli Abbas e la loro cellula erano sotto sorveglianza da anni, insieme ad altre centinaia di persone nel solo stato del Vittoria. Secondo i media Australiani[1] sono circa 300 gli individui monitorati: questo suggesrisce l’intenso lavoro dell’intelligence Australiana, che spesso viene supportato da informazioni provenienti dalle comunità Musulmane stesse. Questo sistema di intelligence , prevenzione e collaborazione con le comunità finora si è rivelato molto efficiente: questo è stato il dodicesimo attacco sventato in Australia a partire dal Settembre 2014, quando le autorità hanno alzato il livello di allerta terrorismo. Da allora, 57 persone sono state accusate di reati legati al terrorismo e 25 operazioni sono state condotte sul territorio Australiano.

Non è un caso che sia il premier del Vittoria Andrews, sia il primo ministro australiano Turnbull, hanno sottolineato che questi sono “atti criminali” che “nulla hanno a che fare con religione o con ideologia”.[2] Entrambi i politici, insieme ai vertici di polizia, nel commentare la vicenda sui media hanno cercato di isolare gli attentatori dalla comunità Musulmana in Australia, che secondo i dati del censimento del 2011 conta circa 500mila persone, circa il 2,2% della popolazione. Le autorità hanno esplicitamente sottolineato che gli individui che conducono questi attentati non hanno nulla a che fare con l’Islam e le comunità Musulmane in Australia non sono parte “del problema” del terrorismo, ma sono parte della “risoluzione del problema”. Gruppi come l’ISIS vorrebbero ovviamente creare divisioni e polarizzare la società Australiana, creando un conflitto tra i Musulmani e il resto degli Australiani. Lo sforzo per contrastare l’ISIS deve necessariamente passare dal rifiuto di questa poarizzazione, e da una maggiore integrazione e fiducia tra le comunità e le autorità.

Per questo motivo, la gestione delle operazioni di contrasto al terrorismo deve prestare attezione alle relazioni con le comunità, ai modi in cui i singoli agenti conducono le operazioni, e alle conseguenze di queste azioni suimedia. Per esempio, la famiglia di uno degli individui coinvolti nel raid e subito rilasciato, Zakaria Dabboussi, ha denunciato che la polizia ha indebitamente usato metodi brutali. Secondo la famiglia Dabboussi la violenza della polizia era senza motivo, poichè nessuno stava resistendo all’ingresso degli agenti.[3] Le reazioni della famiglia sono state riprese dai media, e questo dibattito rischia di alimentare tensioni nelle comunità Musulmane, e intaccare la fiducia tra la popolazione e gli agenti. Senza la quale, il sistema anti-terrorismo australiano sarebbe molto meno efficiente di com’è ora.

[1] http://www.theage.com.au/victoria/melbourne-terror-raids-why-police-moved-on-christmas-terror-suspects-20161223-gthdu5

[2] http://www.abc.net.au/news/2016-12-23/police-foil-alleged-christmas-day-‘terrorist-plot’-in-melbourne/8143762

[3] http://www.9news.com.au/national/2016/12/23/13/24/brothers-involved-in-melbourne-terror-raids-claim-police-brutality