Il barometro della spettacolarizzazione pandemica segna brutto tempo. Inevitabile. La morte di una ragazza di diciotto anni è uno schiaffo in piena faccia. La morte, poi, di una ragazza di diciotto anni in stato di buona salute avvenuta a seguito di un atto medico pone decine di interrogativi.
Interrogativi scientifici per comprendere che cosa sia veramente accaduto e se siamo di fronte a un nesso causale (proper hoc) o soltanto temporale (post hoc). Ovvero si deve stabilire se c’è un chiaro nesso di causa ed effetto. Acclarato questo si dovrà identificare l’elemento che ha scatenato la reazione e definire con chiarezza il meccanismo fisiopatologico sotteso. La scienza procede per gradi e ha i suoi tempi.
Interrogativi etici (questi sono i più dolorosi). L’evento s’è determinato in un bilancio costi e benefici adeguati? In altri termini l’atto medico (che come tale comporta sempre un rischio) andava compiuto perché i benefici attesi erano superiori ai possibili effetti dannosi?
E’ abbastanza imbarazzante, sotto l’aspetto scientifico, il momento in cui viviamo. Assistiamo, infatti, allo spettacolo di tifoserie tra pro e contro, ascoltando giustificazioni antitetiche che sono reciprocamente scagliate come anatemi. Giustamente le conoscenze scientifiche si corroborano con l’aumentare dei casi e delle osservazioni ma il cambiare criteri e scrivere procedure differenti ogni quindici giorni, induce a pensare che ci troviamo di fronte a una sperimentazione su vivo più che a una campagna sanitaria.
L’effetto che i vaccini hanno avuto sulla storia della medicina e sul benessere dell’umanità sono reali e sotto gli occhi di tutti, non serve parlarne. L’impatto che il SARS- Co- V- 2 ha determinato in tutto il Mondo e la forza distruttiva che ha e che continua a dimostrare è altrettanto incontrovertibile. Dobbiamo però chiederci se questa campagna-spettacolo vaccinale si poggi su basi scientifiche o su altro.
Chi scrive è stato vaccinato (senza saltare la fila) contro il SARS-Co-V-2, con il vaccino oggi maledetto; in sostanza nessun effetto collaterale da dichiarare. In altri anni sono stato vaccinato anche contro la febbre gialla e il colera a causa della frequentazione di località geografiche non proprio salubri; un atto importante perché il rischio di contrarre una di queste patologie era sicuramente superiore ai possibili effetti collaterali delle vaccinazioni specifiche. Con me, fino a ora, è sempre stato applicato un criterio sanitario adeguato: prevenire una patologia particolarmente grave per la mia persona tramite la vaccinazione.
Perché lo stesso criterio di “buon senso medico” non può essere applicato, ora, verso ogni singolo? I dati clinici dicono che la fascia di popolazione adulto/anziana è quella che soffre maggiormente, se interessata dalla malattia, indicano inoltre che le persone con patologie croniche, neoplastiche, disabilità e con preesistenti affezioni polmonari sono quelle che devono essere messe in sicurezza (se colpite dal virus il tasso di mortalità è alto). I dati scientifici attestano che i giovani manifestano scarsa sintomatologia ma che possono essere “portatori” del virus. E’ conoscenza consolidata della virologia e cronaca del SARS-Co-V-2 che un virus riproducendosi muta e mutando può cambiare la propria patogenicità, arrivando anche ad aggirare difese immunitarie già predisposte.
Sulla necessità di vaccinare le fasce a rischio non esiste dubbio. Sull’opportunità, invece, di vaccinare le fasce di persone che, se affette da COVID non manifestano patologia, la discussione dovrebbe essere più lunga e articolata. Ogni atto medico dev’essere ponderato.
Verosimilmente non vaccinare le fasci più giovani consente al virus di diffondersi e di mutare ma non esiste altra possibilità che quella di sottoporli a un atto medico (vaccino) per loro non necessario (da un punto di vista clinico) e provare a contrastare la diffusione con altri mezzi? E’ una tassa sociale, per gli adolescenti, quella del vaccino? Se così fosse avrebbe una logica ma va dichiarata sostenendo l’incapacità sanitaria e politica di trovare un’altra via.
In questi sedici mesi sembra che le soluzioni da adottare siano sempre e comunque “totali”. Siamo passati dal tutto chiuso al vaccino per tutti. Una delle prime lezioni che si riceve quando ci si accosta al letto del paziente è antica e saggia: “ante omnia non nocere”; prima di tutto non recare danno. I precetti di Ippocrate e della Scuola salernitana sono ancora validi così come l’insegnamento di Maimonide (conosciuto come filosofo ma che praticò anche la professione medica) che esortava i suoi seguaci a lavarsi le mani prima di passare da un paziente a un altro (seicento anni prima che si scoprissero virus e batteri mentre all’epoca il contagio era attribuito ad arie malsane e malie varie).
La medicina è un’arte che si avvale di dati scientifici; questo significa che è un’opera umana e non divina. Agiamo e pensiamo come persone che camminano sul suolo terrestre e non come profeti che vaticinano dall’iperuranio. Rimaniamo umani, assistiamo i pazienti, difendiamo i deboli, non sostituiamoci a Dio.