Questa mattina (7 luglio 2005) Londra è stata squassata da tre esplosioni in metropolitana e una in superficie. La cronaca degli eventi terribili riempie le reti mediatiche, internet è intasata e i canali satellitari saturi, nell’attesa diffusa di non potere avere che notizie peggiori – rispetto a morti e feriti – mano a mano che passa il tempo. La città è paralizzata: fermi i trasporti, ferme le comunicazioni telefoniche, paura rispetto all’incertezza sul fatto che non ci siano altre esplosioni.
Poche ore dopo l’attentato di Madrid, scrivevo di prendere tempo prima di azzardare ipotesi sulle responsabilità degli attentati. A Madrid le componenti Eta e “Al Qaeda” si bilanciavano. Oggi, proprio perché Londra viene dopo Madrid, a poche ore di distanza la matrice terrorista islamica sembra evidente.
Le analogie con la capitale spagnola sono tante: l’attacco è coordinato; colpisce una grande città in orario di punta nel cuore del sistema dei trasporti; gli attentati coincidono con significativi eventi politici e mediatici. Le analisi tecniche sugli esplosivi e le modalità di innesco potranno dirci qualche cosa di più tra qualche tempo, insieme alle certe rivendicazioni via internet, da valutare con molta cura rispetto alla “firma” che offriranno e alle probabili minacce che conterranno.
Per ora è comparsa una rivendicazione – smentita dopo qualche tempo – sul sito di Qal3ah, che è connesso a Sa’ad Rashed Mohammad Al-Fagih, considerato appartenente ad Al Qaida e alla jihad da circa dieci anni. Fagih – saudita con residenza a Londra – ha fornito supporto logistico agli attentati alla ambasciata americana in Africa nel 1998 e poi si è occupato di mantenere la comunicazione via rete tra i jihadisti. Queste operazioni rimandano alla sua organizzazione “MIRA” e, appunto, a un’altra identità in rete denominata “Il Castello” o Al-Qal3ah. Di più, la pista informatica porta a islah.org e miraserve.com, che non sono registrati a nome di Al-Fagih o di MIRA, tuttavia re-indirizzano al sito di MIRA (islahi.net). Inoltre attraverso le informazioni di registrazione dei domini portano a Al-Fagih, attraverso la “charity” di Hamas con base in Gran Bretagna, denominata Interpal. Pertanto, almeno il luogo virtuale in cui la rivendicazione ha avuto manifestazione è congruente.
Con questi attentati gli obiettivi comunicativi di ogni azione terroristica, molto bene realizzati nelle operazioni della jihad di questi ultimi anni, emergono con chiarezza nella scelta del tempo dell’azione, l’avvio degli incontri del G8 e la festa per Londra olimpica e nei luoghi, il sistema dei trasporti. Tra l’altro, un sistema estremamente sorvegliato e accreditato di elevati standard di sicurezza che, insieme al livello di sofisticata coordinazione delle esplosioni, dimostra la notevole capacità operativa raggiunta dei terroristi in terra europea. Non solo, ma le ultime informazioni sembrano evidenziare uno stato di allarme grave scattato a Londra poco prima delle esplosioni che è stato almeno in grado di limitare i danni.
Inoltre, gli intenti mediatici si sposano con gli obiettivi politici: la minaccia evidente ai paesi del G8, la voglia di “rubare la scena” e porsi come attori nel dibattito, le conseguenze destabilizzanti sulle borse europee. A medio termine, probabilmente, gli effetti negativi si moltiplicheranno: necessario irrigidimento del sistema dei controlli, minor uso dei sistema dei trasporti da parte dei cittadini, aumento della diffidenza tra le comunità etniche, ecc. In pratica si innescano quei processi di massima destabilizzazione per i sistemi politici ed economici occidentali.
In conclusione: un attacco terroristico molto ben riuscito. Che, nuovamente a causa delle fortissime similitudini operative e strategiche con Madrid, ormai fa pensare a una Jihad europea, fatta di cellule autonome ma coordinate da una centrale comune situata nel nostro continente.
Tutti noi vorremmo poter non parlare di guerra, invece la guerra irakena è ormai in Europa, da tempo, anche se si cerca di negarlo o di esorcizzarlo: Baghdad sta diventando una città europea!
Cosa fare? La risposta è un’ulteriore domanda, se non cambiano le ragioni di fondo che generano il terrorismo: chi sarà il prossimo?
Tuttavia, questa evidente considerazione non esime dall’attivare strategie specifiche. Purtroppo, queste stesse strategie incidono profondamente sulla quotidianità della nostra vita e sui processi vitali dei nostri sistemi sociali: la sicurezza attraverso il controllo presuppone rigidità, al contrario i nostri sistemi ad alta interdipendenza richiedono flessibilità. Maggiori controlli in aeroporto sono tollerabili fino a quando le inevitabili code non incidono sul ritmo degli affari; l’auto-riduzione nell’uso de mezzi pubblici è possibile fino alla prima urgenza; il sospetto reciproco, che crea tensione, è governabile nella misura in cui la relazione è poco significativa. Insomma: securizzare con i soli metodi di controllo per un lungo periodo porta necessariamente a trasformare le abitudini individuali e collettive del nostro mondo. Possiamo accettarlo? Io non credo. Pertanto, oltre alla via politica da perseguire, si deve cominciare ad assumere la consapevolezza individuale di essere esposti a rischi – tra cui il terrorismo-, che si affrontano con la testa e l’intelligenza, senza fare “d’ogni erba un fascio” ma neppure senza escludere possibilità quando esistono evidenti convergenze statistiche che indicano alcuni profili degli autori.
Allo stesso modo, è sempre più urgente il coordinamento tra i paesi europei perché il ruolo dell’intelligence è fondamentale “per giocare d’anticipo”: l’unica vera carta che abbiamo a disposizione per ridurre i danni.