Sono sotto processo nei Balcani alcuni esponenti dell’Islam radicale accusati di propaganda e reclutamento di volontari da inviare in Siria e Iraq a combattere nelle file dei jihadisti. In Bosnia il principale imputato è Bilal Bosnic, predicatore wahhabita, ex miliziano dell’unità “El-Mujahed” durante la guerra di Bosnia e noto anche per la sua costante presenza sia sul web che in diversi centri islamici europei. In Albania sono invece in tribunale Genci Balla e Bujar Hysa, imam nelle moschee Unazes Ze Re e Mezezit, a Tirana, arrestati nel marzo 2014 assieme a una decina di altri membri dell’organizzazione. Entrambe le reti, sia quella bosniaca che quella albanese, sono risultate influenti anche nel reclutamento di volontari provenienti dall’Italia.
Filone bosniaco
In Bosnia è alla sbarra il predicatore Bilal Bosnic, arrestato lo scorso settembre assieme ad alcuni seguaci, in un’operazione della SIPA. Durante il processo, il predicatore bosniaco è stato fronteggiato da Sefik Cufurovic e Rifet Sabici, padri di due ragazzi da lui reclutati, i quali hanno spiegato al magistrato come i figli si siano improvvisamente radicalizzati dopo aver iniziato a frequentare il predicatore wahhabita. Ibro, figlio di Sefik, non parlava più con suo padre perché fumava e non pregava, dunque per il figlio era un infedele. In un’altra occasione Ibro aveva stracciato tutte le sue foto in quanto nel wahhabismo è vietato raffigurare gli essere umani.
Ibro Cufurovic e Suad Rabic sono entrambi partiti per unirsi alle file dell’ISIS; il secondo risulta morto mentre sul primo non si sa molto, a parte una telefonata fatta a casa nella quale ha chiesto a sua madre di raggiungerlo in Siria per sposare un jihadista.
Bosnic era noto a livello internazionale e gestiva una network di estremisti che si estendeva ben oltre i confini della Bosnia; non a caso, il predicatore si recava frequentemente in paesi come l’Austria, la Svizzera, il Belgio e anche in Italia, dove è stato ospite di alcuni centri islamici a Pordenone, Cremona, Bergamo, Siena e Roma. E’ proprio in alcuni dei suoi tour italiani che Bosnic è entrato in contatto con l’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic e il macedone Munifer Karamaleski.
Tra gennaio e marzo 2014 erano stati segnalati i decessi dei due volontari, da tempo residenti in provincia di Belluno. Mentre nel caso di Mesinovic la morte risulta accertata da documentazione fotografica, nel caso di Karamaleski non vi sono ancora prove evidenti che possano confermarne il decesso.
I due avevano lasciato l’Italia tra il novembre e il dicembre 2013; Mesinovic ha transitato prima per la Germania, dove ha parenti, per poi recarsi in Bosnia e da lì verso la Siria, portando con se anche il figlio di tre anni, tutt’ora in Siria con delle famiglie di jihadisti.
Karamaleski pare si sia invece recato in Macedonia prima di partire anche lui per la Siria. Secondo Gianluca Dal Borgo, sindaco di Chies d’Alpago, Karamaleski prima di raggiungere la Siria si era fatto cancellare dall’anagrafe del comune raccontando di voler tornare in Macedonia assieme a moglie e figli.
A Pordenone, Bosnic era stato segnalato nel giugno 2013 ed è stato egli stesso, in un’intervista al Corriere della Sera di Bergamo, a confermare di aver conosciuto Mesinovic e di condividere la sua scelta di combattere per il jihad; fatto documentato anche da una foto del predicatore assieme a Mesinovic e Karamaleski scattata presso un centro islamico di Pordenone. E’ plausibile pensare che Bosnic conoscesse già Mesinovic poichè suo padre era stato ucciso durante la guerra di Bosnia e lo stesso Ismar aveva combattuto quando ancora minorenne.
Altro elemento entrato in contatto con Bilal Bosnic è il trentunenne macedone Elmir Avmedoski, scomparso da Gorizia da circa un anno; lo scorso dicembre al macedone è stato revocato il permesso soggiorno dalla Questura e da gennaio è stato oggetto di un provvedimento di espulsione dall’Area Schengen.
Muratore, sposato, tre figli, Avmedoski dal 2009 avrebbe perso il lavoro e iniziato un andirivieni tra Italia e Macedonia. Allontanato dal centro culturale islamico di Gorizia e Nova Gorica per le sue posizioni sempre più integraliste era stato segnalato alle autorità.
Filone albanese
Un’altra network radicale di notevole rilevanza per l’Italia è quella albanese e a tal fine vale la pena citare i casi Kobuzi ed Elezi, dalle dinamiche un po’ differenti tra loro, ma che in entrambi i casi si caratterizzano per una radicalizzazione presente non soltanto a livello individuale ma anche familiare.
Aldo Kobuzi, ventitreene albanese, residente per un periodo nel grossetano e partito per la Siria assieme alla moglie, l’italiana Maria Giulia Sergio, venticinque anni, proveniva da un contesto familiare in parte già radicalizzato.
La madre, Donika, era stata la prima a radicalizzarsi ed aveva vissuto anche lei per un periodo in provincia di Grosseto. La sorella di Aldo, Serjola, era sposata con Mariglen Dervishllari, un albanese del villaggio di Pogradec morto in Siria durante i combattimenti. Secondo alcune fonti, le due donne sarebbero tutt’ora in Siria e Serjola si sarebbe risposata con un jihadista.
I Kobuzi pare abbiano ricevuto supporto economico da una rete di reclutatori attualmente sotto processo in Albania e con a capo i predicatori Genci Balla e Bujar Hysa ed anche Aldo e Maria Giulia, grazie a tale rete, sono riusciti a raggiungere la Siria, prendendo un volo di linea per la Turchia da Roma.
Da notare che anche la famiglia Sergio (la sorella di Maria Giulia e i genitori), anche se al momento non può necessariamente essere definita “radicalizzata”, si è interamente convertita all’Islam, dopo un passato da ferventi cattolici.
Vi è poi il caso di Idris Elvis Elezi, vent’anni, residente in provincia di Torino e suo zio, Alban Haki Elezi, trentotto anni, residente a Synej, nei pressi di Kavaja, in Albania. I due sono stati arrestati a fine marzo e sono indagati per propaganda e reclutamento con finalità di terrorismo.
Elvis “Idris” Elezi era estremamente attivo su Facebook e manteneva contatti con diversi personaggi al centro di inchieste come Anass el Abboubi, l’italo-marocchino della Valcamonica partito per la Siria (proprio grazie alla rete degli Elezi), e Hallili el Madhi, passaporto italiano, autore del primo testo in italiano di propaganda dell’Isis, arrestato anche lui insieme a Elvis.
Figura chiave di tutta la network è però lo zio, Alban Haki Elezi, in stretto contatto col predicatore kosovaro Mazzlam Mazzlami (presente in alcune occasioni in Italia, così come Bosnic) e facilitatore per la partenza in Siria del cognato, Idajet Balliu, morto in combattimento il 15/08/2014, militante nell’unità di Lavdrim Muhaxeri e fidanzato con la nipote minorenne di Alban, Lejla Elezi (sorella di Elvis). Pare che anche Lejla, come nel caso del bosniaco Sefik Cufurovic, ripetesse spesso alla propria famiglia di essere miscredente.
I genitori di Idajet Balliu si trovavano già in Siria, mentre i fratelli, Servet e Hasan, avevano tentato senza successo di raggiungere il paese mediorientale.
Dai casi sopra esposti emergono alcuni fattori che vale la pena mettere in evidenza:
- La figura centrale dei cosidetti “predicatori radicali” che instaurano delle vere e proprie reti, aiutati da reclutatori che agiscono da “anelli di congiunzione ” (come nel caso di Alban Elezi) con lo scopo di adescare personaggi dalle condizioni psico-sociali tali da essere sensibili alla propaganda estremista.
- Il fatto che questi predicatori visitino i vari centri islamici e stringano rapporti personali con elementi disposti a partire per la jihad. Lo si è visto anche in Italia con le visite di Bosnic, Mazzlami e Bilibani in alcuni centri islamici in Toscana, Lombardia e Friuli. Fatti che confutano la teoria secondo cui “coloro che partono per la guerra santa non frequentano e non si radicalizzano nei centri islamici ma piuttosto sul web”. Indubbiamente il web svolge un ruolo centrale per quanto riguarda la propaganda e il networking tra esponenti radicali in varie aree, ma i contatti interpersonali diretti restano tutt’oggi fondamentali.
- L’importanza della rete familiare, visibile più in contesto albanese, per quanto riguarda i casi qui esposti. Un processo di radicalizzazione che ingloba progressivamente una cospicua parte della famiglia al punto di trasferire nel “Califfato” sia gli uomini che le donne. Una volta “agganciati”, i potenziali volontari subiscono un lavaggio del cervello costante che li porta a confrontarsi aggressivamente la propria famiglia, obbligandoli a una scelta ben precisa: conformarsi all’ideologia wahhabita o essere rigettati in quanto miscredenti.