Nella tarda serata del 25 luglio, il Presidente tunisino Kais Saied ha avocato a sé i pieni poteri, congelando le attività del Parlamento per 30 giorni e sciogliendo il governo guidato da Hichem Mechichi. La mossa di Saied, che ha aperto la più grave crisi politica in Tunisia dai tempi delle Primavere Arabe del 2011, fa seguito a settimane di dure proteste e sollevazioni causate dalla disastrosa situazione economica del Paese e dal dilagare irrefrenabile della pandemia.
In un estremo tentativo di arginare il malcontento popolare e rimuovere i leader del governo e del Parlamento a lui ostili, Saied ha scelto la via della forzatura accontentando il popolo, scendendo in piazza e mostrando durezza. Il partito islamista moderato Ennahda, principale forza in Parlamento e partito di maggioranza relativa, ha immediatamente accusato il Presidente di aver realizzato un colpo di Stato, evocando le similitudini con quanto accaduto in Egitto nel 2013.
Al di là dei fattori interni specifici che stanno determinando la crisi dell’assetto istituzionale tunisino, quanto sta avvenendo non è solo affare domestico di un Paese terzo, ma un problema che riguarda da vicino Italia ed Europa. La Tunisia, infatti, ha un forte rilievo strategico su due diversi piani di valutazione: geopolitico e di sicurezza.
Sul primo versante, si inserisce a pieno titolo nel più ampio puzzle della competizione geopolitica in corso nel bacino del Mediterraneo. All’interno del piccolo scacchiere tunisino, infatti, ritroviamo le maggiori potenze regionali e i player internazionali, in particolare Qatar e Turchia da un lato, Francia dall’altro. La Tunisia occupa un ruolo strategico nei piani di influenza di Erdogan, sia come piattaforma territoriale cruciale per proiettare la potenza marittima di Ankara sul Mediterraneo, sia come punto di partenza per la penetrazione del continente africano.[1] Si spiega così il sostegno ormai consolidato da anni nei confronti di Ennahda, alimentato anche dai Fratelli Musulmani. Sull’altro fronte la Francia di Emmanuel Macron, sempre più impegnato a contrastare i piani egemonici del Sultano turco nel Mediterraneo allargato. Non sono passate inosservate, inoltre, le dichiarazioni del Generale Haftar, congratulatosi immediatamente con il Presidente Saied.[2] La Tunisia non condivide con la Libia solo un lungo confine, ma ha sempre avuto anche solidi legami economici e commerciali. Proprio la crisi libica, perdurante ormai da un decennio, ha contribuito a deteriorare l’economia tunisina, definitivamente affossata poi dal crollo del turismo e delle rimesse dei suoi cittadini espatriati. E quanto sta accadendo in questi giorni a Tunisi e Cartagine ha anche, inevitabilmente, importanti riflessi sulla partita libica, ancora in bilico e quanto mai precaria.[3]
In questa grande trama che si dipana tra economia e salute, tra speranze tradite e riflessi autoritari, si svela la seconda minaccia di questa crisi: la sicurezza. La Tunisia ha pagato un prezzo alto sull’altare della violenza jihadista tra il 2015 e il 2017, ma ha anche esportato risorse e uomini per il jihad globale, sia nei teatri caldi sia in Europa sfruttando le rotte migratorie (come i casi di Anis Amri e Brahim Aoussaoui insegnano). Una delle maggiori colpe che la folla inferocita imputa ai leader di Ennahda, è proprio quella di essersi resi strumento dei Fratelli Musulmani e della Turchia nel radicalizzare e inviare all’estero giovani disperati e senza futuro.[4] Una Tunisia ancora più instabile è una Tunisia appetibile per le milizie jihadiste, facilmente penetrabile e infiammabile da un momento all’altro. L’accorrere di fanatici radicali rappresenta un problema non solo per Tunisi ma anche per l’Italia e l’Europa, lo dicono il passato e i numeri attuali. Come rilevato da Frontex, l’arrivo di migranti illegali sulle frontiere esterne dell’UE è incrementato del 69% a giugno 2021 rispetto allo stesso mese dello scorso anno.[5] Mentre i dati del Viminale segnalano un’impennata nel numero di tunisini in arrivo nel nostro Paese, circa il 21% del totale secondo dati aggiornati al 27 luglio.[6] Un flusso progressivo in costante crescita, già prima della crisi, alimentato dalla mancanza di opportunità e dalle manchevolezze della democrazia tunisina, vettore facilmente sfruttabile dalle organizzazioni jihadiste.
È complesso prevedere le traiettorie future di una crisi che al momento sembra acuta pur in stasi, quasi un attento studio prima della vera tempesta. Saied potrebbe infatti imporre una svolta in chiave autoritaria e militare, seguendo l’esempio egiziano. Seconda opzione è la strada di una dittatura costituzionale, una riforma in senso fortemente presidenziale ma troppo forte da assorbire per giovani istituzioni non adatte a esercitare alcun controllo sul potere. La terza strada è la reazione dura degli islamisti, sin qui non ancora verificatasi. La vera domanda è se Erdogan sia disponibile a perdere ogni barlume di influenza sulla Tunisia, frenando così i suoi sogni di gloria mediterranea.
Proprio la fragilità di quello che fino ad oggi era stato considerato, con eccesso di ottimismo, come l’unico frutto sano gemmato dall’albero delle Primavere Arabe, induce una riflessione sul ruolo dell’Italia e dell’Unione Europea in questo scenario.[7] La vicinanza tra le coste tunisine e siciliane, la facile permeabilità dei fenomeni migratori da parte di individui radicali e l’esistenza di consolidati network criminali tra Libia e Tunisia in collegamento con l’Europa, reclamano l’attenzione internazionale alla crisi. La Francia si è già mossa da tempo, aprendo linee di credito a Tunisi e tentando di recuperare statura e spessore in quello che era abituata a considerare il cortile di casa. Ma anche potenze extra-europee come Stati Uniti, Cina e Arabia Saudita hanno da tempo messo sotto i riflettori il Paese,[8] inviando vaccini e tentando di guadagnare influenza.[9] Manca, ancora una volta, la voce unitaria dell’Unione Europea che procede invece in ordine sparso, lasciando ai singoli Stati nazionali potere di iniziativa. Se l’Italia vuole evitare di ritrovarsi una crisi dal potenziale enorme a poca distanza dalle proprie coste, gestita e mediata da altri attori, necessita di ritagliare un ruolo da protagonista per sé, ma soprattutto per l’UE intera. Dimostrando, nuovamente, come rivoluzioni mancate e speranze deluse di un Paese terzo possono trasformarsi in una minaccia per altri 27.
[1] https://www.tika.gov.tr/en
[2] https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-07-25/tunisian-president-removes-prime-minister-sky-arabia-says
[3] https://www.limesonline.com/tunisia-crisi-istituzionale-saied-golpe-ennahda/124428
[4] https://www.limesonline.com/cartaceo/la-tunisia-e-in-caduta-libera
[5] https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/situation-at-eu-external-borders-detections-rise-from-record-lows-a-year-ago-AvxIbX
[6] https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2021-07/cruscotto_statistico_giornaliero_27-07-2021.pdf
[7] https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/07/28/news/tunisia-l-europa-non-puo-piu-restare-a-guardare-1.40542270
[8] https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/coronavirus-Tunisia-571a1ac1-7293-4caf-b945-afb2f2edb347.html
[9] https://www.agi.it/estero/news/2021-07-24/covid-casi-decessi-vaccino-13374138/