Secondo quanto emerge dalle prime informazioni sull’identità dei terroristi di Dacca, il commando era composto da ragazzi ricchi provenienti da famiglie benestanti.
Nibras Islam aveva studiato presso la Turkish Hope School e poi in Malaysia alla Monash University.
Meer Mubasher viveva proprio nella zona diplomatica della capitale bengalese, Gulshan, dove ha avuto luogo l’attacco e studiava in una scuola privata di Dacca assieme a Roham Imtiaz, il cui padre è politico del partito nazionalista di governo, Awami League, che si oppone agli islamisti.
Il fatto che i membri della cellula provenissero da classi medio-alte non è una novità, come dimostra il precedente degli attentatori delle Torri Gemelle. Del resto a Daesh i profili di elementi con un alto livello di studi hanno sempre fatto gola, ma per ruoli strategico-organizzativi. Ciò che invece colpisce è che i jihadisti li abbiano utilizzati per una fase esecutiva.
Se l’analista russo Alexei Grishin, per quanto riguarda la radicalizzazione in Caucaso, parlava di elementi in difficoltà socio-economiche o di profili psicologici sensibili, nel caso di Dacca è probabilmente quest’ultima l’ipotesi e bisognerà dunque analizzare attentamente i percorsi di vita degli attentatori per capire come la propaganda possa aver fatto breccia e in quali contesti.
Bisogna però tener conto dell’iniziale gruppo di riferimento dei cinque attentatori, la Jamaat ul-Mujahideen Bangladesh (JMB), organizzazione nata nel 1998 con l’obiettivo di instaurare uno stato islamico nel Paese. Sei dei leader del gruppo vennero arrestati dalle autorità nel 2005 e due anni dopo quattro di loro furono giustiziati tramite impiccagione.
Fonti locali illustrano che si tratta di un’organizzazione che opera su vasta scala in Bangladesh, strutturata in nove divisioni organizzative e tre sezioni: ehsar(militanti full-time) , gayer ehsar (militanti part-time) e “cooperanti”. Negli anni venivano segnalati numerosissimi campi di indottrinamento in tutto il Bangladesh mentre, sempre secondo fonti bengalesi, i finanziamenti della Jamaat vengono da paesi come Pakistan, Arabia Saudita e Kuwait.
Daesh o Jamaat ul-Mujahideen Bangladesh
Il fatto che il governo del Bangladesh abbia puntato immediatamente il dito contro la JMB ha una sua logica, visto il plausibile legame degli attentatori con tale organizzazione. Ciò che risulta però evidente è il passaggio della cellula nelle file di Daesh, come mostrano le immagini pubblicate sul web, dove gli attentatori si fanno immortalare davanti alla bandiera nera. Nulla di nuovo, visto che tali dinamiche erano già emerse in altri contesti come quello del Caucaso, dove alcune vilayat dell’Imrat Kavkaz erano passate con il Califfato.
Daesh del resto è un “franchising” del terrore che accetta chiunque sia disposto a unirsi alle proprie file per compiere attacchi contro infedeli e miscredenti. Se non si comprendono le nuove dinamiche del terrorismo in stile Daesh, non è possibile contrastarlo in modo efficace.
Un altro aspetto interessante è legato alla fase preventiva, molto carente in questo caso. La cellula non ha infatti avuto problemi a penetrare, armata fino ai denti, all’interno della zona diplomatica di Dacca (già teatro di precedenti attentati) e ciò nonostante il fatto che cinque dei membri del commando erano già noti da tempo e ricercati dalle autorità che non erano mai riuscite ad arrestarli. Uno di loro, come già detto precedentemente, viveva nella zona diplomatica.
E’ dunque possibile ipotizzare che la Jamaat ul-Mujahideen – ma non solo, come ricorda Dabiq di aprile sottolineando il passaggio anche di numero membri di Jamaat e Islami nelle file del Califfato – possa contare su una solida struttura estesa sul territorio e che Daesh punti a farne uso.