Il 27 gennaio il portavoce di Stato Islamico (IS), Abu Hamza al-Qurashi, ha annunciato l’avvio di una nuova fase per il gruppo terroristico. Questo rinnovato slancio avrebbe come bersaglio Israele con particolare attenzione per Gerusalemme, città che secondo al-Qurashi “è sempre stata negli occhi dei combattenti”. Il focus su Israele suggerisce diversi elementi di analisi.
Il primo è il contesto temporale: al-Qurashi fa sentire la sua voce durante il Giorno della Memoria e a poche ore dal c.d. “Deal of the century” proposto da Donald Trump, una scelta non casuale e che rimarca la grande capacità comunicativa di IS. Il gruppo sembra infatti aver fatto tesoro di quanto accaduto nel dicembre del 2017 quando Washington ha spostato la propria ambasciata a Gerusalemme, evento al centro di una nutrita campagna mediatica da parte di fazioni jihadiste, al-Qaeda in primis. Diffondendo il messaggio prima del “Deal” e durante un giorno di particolare pregnanza simbolica IS è riuscito quindi a giocare d’anticipo e con forza sulle probabili dichiarazioni dei suoi competitor.
Un secondo elemento riguarda il mandante della campagna, al-Hashimi. Lo scranno del “califfo” poggia su un terreno instabile sin dal suo insediamento, penalizzato dalla situazione sul campo e dall’inevitabile confronto con il predecessore al-Baghdadi la cui nomina è al contrario avvenuta in un momento di forte espansione per il gruppo. Per controbilanciare questa situazione sfavorevole al-Hashimi (e più in generale la leadership di IS) necessitava di un nemico per compattare le crescenti ma diverse province e ispirare i suoi sostenitori, vecchi e nuovi: Israele, finora rimasto relativamente ai margini dall’operato del gruppo, può rappresentare una categoria di “nemico vicino” per IS e allo stesso tempo trasversale per tutta la galassia jihadista. Tattica comunicativa peraltro già attuata dalla leadership di al-Qaeda che con la campagna “Jerusalem will never be zionized” ha cercato di radunare sotto una stessa bandiera ideologica diverse operazioni in Africa, dal Sahel alla Somalia.
Tenendo a mente il binomio azione-comunicazione, il discorso di al-Qurashi invita i propri operativi ad attaccare Israele facendo riferimento in particolare alle sue province contigue di Sinai e al-Sham. Il campo era stato preparato nelle ultime settimane dalla sua propaganda: il settimanale di IS al-Naba ha diffuso diverse infografiche sulle azioni dei suoi operativi proprio in Sinai e al-Sham per poi focalizzarsi sulla sub-provincia di Hawran, una delle ultime province ad essere dichiarate prima della riorganizzazione del 2018 e incuneata nell’area di confine tra Siria, Israele e Giordania. Il discorso è stato poi ripreso da al-Naba il 31 gennaio e negli stessi giorni parte del messaggio è stato tradotto in ebraico e diffuso su internet.
È necessario rimarcare tuttavia che l’obbiettivo indicato dalla leadership di IS, per come è stato dichiarato, è estremamente ambizioso. Una vittoria militare sarebbe stata impensabile anche durante l’apice delle capacità belliche del gruppo, pertanto sembra più probabile che IS intenda percorrere altre strade: serie di attacchi a bassa intensità oppure più ambiziosi tentativi di attacco expeditionary. Dal momento che al-Qurashi ha invitato a colpire anche all’esterno del paese, altri possibili bersagli potrebbero essere infrastrutture critiche così come rappresentanze diplomatiche, compagnie commerciali ed edifici religiosi. Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio Wilayah Sinai ha rivendicato un attacco contro un gasdotto nei pressi di el-Arish in Egitto, dichiarando come questo fosse collegato a Israele . Tattica e luoghi tutt’altro che nuovi: diverse infrastrutture energetiche sono state colpite in Sinai già prima che Ansar al-Bait Maqdis diventasse la branca egiziana di Stato Islamico nel 2014. Nella consolidata procedura attacco-propaganda, simili tattiche sono state infatti usate per colpire il regno hascemita di Giordania, “reo” secondo la propaganda IS di essersi schierato contro il gruppo terroristico, colpendo dei gasdotti di rifornimento presenti però in Egitto. Questo ha permesso di poter “vantare” degli effettivi attacchi contro un nemico altrimenti difficilmente approcciabile continuando tuttavia ad operare nel proprio territorio.
Su questa scia è necessario sottolineare che sia Il Cairo sia Amman hanno recentemente stretto accordi in materia di approvvigionamento energetico con Israele, non senza alcune resistenze . È possibile quindi che IS abbia voluto rilanciarsi facendo perno su una provincia altamente resiliente sia sul campo che online, con un expertise decennale nel colpire infrastrutture diverse e limitanea a un nemico naturale, con disponibilità infine di obiettivi transnazionali di crescente importanza.
A ciò si deve aggiungere che IS potrebbe sfruttare altre leve comunicative e operative potenzialmente favorevoli:
– Il probabile mobilitarsi di proteste locali e relativi tumulti;
– L’utilizzo di low-tech attacks diffusi, già impiegato nell’area da diverse fazioni (un esempio su tutti la c.d. “intifada dei coltelli”). IS potrebbe infatti sia condurre attacchi sia rivendicare l’operato di altre formazioni o individui;
– Il proseguire di attacchi antisemiti, soprattutto da parte della galassia estremista di destra, potrebbe offrire indiretto supporto dall’esterno sia diffondendo terrore tout court che mostrando ad eventuali emuli metodi e tattiche da seguire. Vi sono infatti molteplici segni di una reciproca sponda tra estremismi non solo sul piano ideologico ma anche operativo .
Nonostante questi potenziali asset, la scelta di IS potrebbe dimostrarsi difficilmente realizzabile contando il probabile scontro diretto con Hamas e il contendere il “simbolo” di Gerusalemme con al-Qaeda, al netto della difficoltà dell’operare in un territorio veterano nella lotta al terrorismo. I vertici di IS in ogni caso non possono mancare alla prova che si sono imposti. In brevissimo tempo tutte le principali province del gruppo hanno giurato fedeltà al nuovo “califfo”: ora sta al capo di IS dimostrare di poter guidare e ispirare i suoi sostenitori con azioni concrete, a mora di perdere credibilità e rischiare di dare ossigeno alle spinte centrifughe presenti nelle diverse branche territoriali oltre che a nemici e competitor esterni.
1- Altre fonti riportano come il gasdotto fosse dedito unicamente al trasporto interno. The Times of Israel, Islamic State claims purported attack on Egypt-Israel gas pipeline in Sinai, 03/02/2020, https://www.timesofisrael.com/islamic-state-claims-purported-attack-on-egypt-israel-gas-pipeline-in-sinai/
2- Dania Accad, Israel approves gas exports to Egypt, clearing hurdle for Leviathan sales, Middle East Eye, 16/12/2019, https://www.middleeasteye.net/news/israel-signs-permit-export-gas-offshore-fields-egypt; Tzvi Joffre, Experimental supply of Israeli natural gas reaches Jordan, The Jerusalem Post, 02/01/2020, https://www.jpost.com/Israel-News/Experimental-supply-of-Israeli-natural-gas-reaches-Jordan-612838. Parte di questi accordi comprendono compagnie private.
3- Una disamina più approfondita in materia è disponibile all’indirizzo http://www.sicurezzaterrorismosocieta.it/wp-content/uploads/2018/11/Daniele-Plebani-L%E2%80%99eredit%C3%A0-operativa-di-Stato-Islamico_dall%E2%80%99open-source-jihad-all%E2%80%99open-source-extremism.pdf e http://gnosis.aisi.gov.it/gnosis/Rivista58.nsf/servnavig/14