La moschea e Milano: un dibattito in corso – by Giovanni Giacalone

La Regione Lombardia ha recentemente emanato una legge per regolamentare, attraverso una serie di dettagliate direttive urbanistiche, l’autorizzazione di nuovi luoghi di culto, valide per tutte le confessioni religiose, sia quelle che hanno firmato un’intesa con lo Stato e sia quelle che non l’hanno ancora sottoscritta, come nel caso dell’Islam. In questo secondo caso le richieste verranno sottoposte a un maggior controllo (Vas, valutazione ambientale strategica) da parte della Consulta regionale.Tra i nuovi requisiti introdotti dalla Regione ci sono una serie di indispensabili valutazioni:

  • Il nuovo luogo di culto dovrà sorgere in un’area ben collegata
  • Sarà richiesta una “distanza minima” tra due eventuali luoghi di culto
  • La superfice del parcheggio del luogo di culto dovrà essere pari ad almeno il doppio dell’edificio
  • Ogni luogo di culto dovrà essere dotato di impianti di videosorveglianza collegati con le forze dell’ordine
  • La nuova normativa prevede anche la possibilità di indire un referendum sul possibile nuovo insediamento religioso.

Se da una parte il provvedimento della Regione si pone l’obiettivo di assicurare delle regole per salvaguardare la cittadinanza, garantendo la trasparenza e il controllo dei centri religiosi, dall’altra ha immediatamente generato una serie di reazioni da parte della Giunta comunale, della politica e di alcune associazioni islamiche che hanno bollato la normativa come anti-costituzionale, ideologica e che lede la libertà di culto.

La normativa potrebbe mettere in difficoltà il nuovo bando del Comune che si pone l’obiettivo di assegnare tre aree del milanese destinate alla costruzione di luoghi di culto, tra cui quella del Palasharp di Lampugnano, più volte al centro di polemiche.

Andando oltre le argomentazioni politiche, è utile analizzare sinteticamente la questione della possibile costruzione di una grande moschea nell’area del Palasharp, mettendo in evidenza aspetti positivi e possibili problematiche.

E’ indubbio che i musulmani milanesi necessitino di un grande luogo di culto con spazi adeguati dove potersi recare a pregare in condizioni dignitose e nel pieno rispetto delle norme di sicurezza necessarie.

Attualmente i vari centri presenti nel capoluogo lombardo risultano strutturalmente inadeguati in quanto a capienza e sicurezza, con i fedeli costretti a fare i turni per poter pregare in capannoni, garage, scantinati e piccoli locali condominiali; in alcuni casi tali situazioni hanno generato tensioni con il vicinato, come nel caso della palazzina dove è presente la Casa della Cultura Islamica di via Padova 144 o il Centro Culturale Islamico di viale Jenner, quando in passato i fedeli, durante la preghiera del venerdì, erano costretti a riversarsi sui marciapiedi attorno al Centro, con evidente disagio per i cittadini, al punto che è stato necessario un trasferimento della “jumah” al Palasharp.

Vi è poi un discorso prettamente legato al fenomeno della cosiddetta (de-) radicalizzazione: è necessario porre un freno a qualunque tipo di deriva radicale tendente all’odio e all’intolleranza, dato che non danneggia soltanto la società italiana ma anche gran parte dei musulmani, e la presenza di una grande moschea istituzionalmente riconosciuta e trasparente potrebbe contribuire in tale direzione.

E’ però lecito chiedersi se la costruzione di una grande moschea andrebbe di fatto a influire sulla presenza dei vari centri islamici e sale di preghiera già consolidati sul territorio. Luoghi che in molti casi diventano dei piccoli “feudi” con leadership spesso in competizione tra loro. Alcuni di questi luoghi sono inoltre di matrice etnica, quindi è verosimile pensare che i fedeli di questi piccoli centri continuino a prediligere la frequentazione di “musallat” dove si predica e si parla nella propria lingua.

Per quanto riguarda la questione “sicurezza”, i piccoli centri sono poi tendenzialmente terreno fertile per la propaganda radicale e sono i dati a parlare; basti pensare alle visite di predicatori radicali quali Musa Cerantonio, Bilal Bosnic, Mazllam Mazllami e Idriz Bilibani, ospitati in piccoli centri veneti, emiliani, lombardi e toscani.

Ci sono poi alcune problematiche sollevate dagli stessi musulmani, di non poco conto, legate alla politicizzazione del luogo di culto. Durante i tumulti egiziani dell’estate 2013 che hanno portato alla caduta del governo filo-Fratelli Musulmani egiziano, in alcuni centri islamici sono state segnalate risse tra sostenitori di Mursi e di al-Sisi: segnali allarmanti che indicano delle evidenti problematiche all’interno dell’associazionismo musulmano. Durante le recenti elezioni politiche tunisine (ottobre 2014) sono inoltre sorte lamentele in seguito alla segnalazione di esponenti legati al partito Ennahda che avrebbero fatto propaganda elettorale all’interno di alcuni luoghi di culto.

Se si parla di una “moschea di tutti” allora è evidente che la politica deve restare fuori dal luogo di culto per evitare l’inasprimento di determinate tensioni legate a contesti che nulla hanno a che fare con quello socio-politico italiano.

Nella primavera del 2014 diverse voci[1]si sono levate nei confronti del Caim (associazione che ha attivamente promosso la costruzione di una moschea nell’area Palasharp) da parte di musulmani che hanno espresso perplessità per l’attivismo a favore dell’ex governo Mursi da parte di diversi membri del direttivo Caim, che in svariate occasioni hanno dimostrato l’appoggio nei confronti di altri leader vicini alla Fratellanza, come ad esempio l’attuale presidente turco Tayyp Erdogan. Alcuni elementi del direttivo sono attivi con il Comitato Libertà e Democrazia per l’Egitto, dichiaratamente “contro il golpe” e a favore dell’ex governo Mursi e ciò può risultare ulteriormente problematico considerando quattro elementi:

  • I musulmani che si recano in moschea sono una minoranza rispetto a quelli presenti sul territorio
  • Tra questi vi sono molti egiziani e non tutti sono a favore dell’ex governo filo-Fratelli Musulmani
  • Molti di loro sono contrari alla politica all’interno del luogo di culto
  • I Fratelli Musulmani sono statati dichiarati organizzazione terrorista in diversi paesi come Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Siria, Russia e sono sotto inchiesta in Gran Bretagna.

E’ evidente che introdurre, anche indirettamente, la politica all’interno del luogo di culto potrebbe avere effetti controproducenti nei confronti degli stessi musulmani.

Erano poi sorte ulteriori polemiche da parte della Comunità Ebraica e di alcuni media per quanto riguarda la presenza, alla festa di fine Ramadan 2013 e al Palasharp in altre occasioni, di imam ritenuti radicali come Riyad al-Bustanji, Raed al-Daana e Muhammad Musa al-Shareef, tre autori di sermoni alquanto controversi. [2] [3] [4]

C’è dunque il rischio che l’eventuale grande moschea del Palasharp non sia soltanto un luogo di culto ma diventi anche luogo dove fare propaganda politica? Evidentemente si.

Bisogna poi tenere conto del “fattore” Centro Culturale Islamico di viale Jenner, membro del Caim e da sempre al centro di indagini sul terrorismo di matrice jihadista a partire dagli anni ’90, durante la guerra in Bosnia, quando i servizi di intelligence occidentali lo indicarono come uno dei luoghi per il reclutamento e supporto di mujahideen da inviare nei Balcani e i mukhabarat egiziani come base della Gamaa al-Islamiyya.

Recente è il caso dell’imam Al Husseini Ali Herman, meglio noto come “Abu Imad”, invitato presso il Centro di viale Jenner dal leader jihadista Anwar Shabaan. Abu Imad è stato per quasi quindici anni la guida spirituale del Centro prima di essere arrestato nel 2010 e condannato a tre anni e otto mesi per associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale ed espulso dall’Italia il 9 maggio 2013.

L’imam, in un’intervista rilasciata alla televisione egiziana, aveva accusato gli italiani di islamofobia e aveva descritto l’attività della Digos e dei Ros come una vera e propria persecuzione nei suoi confronti. L’imam si era poi rallegrato nel vedere il paese in mano agli islamisti di Mursi e aveva affermato che “chi vince comanda e chi perde deve stare zitto”. [5]

Il Palasharp potrebbe infatti essere la nuova sede del Centro Culturale Islamico di viale Jenner, il quale necessita urgentemente di una nuova sede, considerato che la sistemazione attuale è assolutamente inadeguata dal punto di vista strutturale. Il suo attuale direttore, Hamid Shaari, ha fatto e sta facendo molto per cercare di gestire al meglio e nella massima trasparenza il Centro, ma le dinamiche interne restano estremamente complesse e il conferimento del Palasharp a “viale Jenner” desta tutt’ora preoccupazione e rischia di alimentare polemiche a livello politico.

Vi è poi la questione dei fondi. Da dove arriverebbero gli eventuali finanziamenti per la moschea? C’è la possibilità che il nuovo centro islamico del Palasharp possa essere costruito con fondi provenienti dal Qatar, paese che appoggia attivamente i Fratelli Musulmani e che ospita diversi membri dell’organizzazione tra cui il leader spirituale Yousuf Qaradawi. Il Qatar è tra l’altro recentemente finito al centro di rapporti della Foundation for Defense of Democracies e del Washington Institute per quanto riguarda i finanziamenti ad organizzazioni jihadiste. [6] [7]

Insomma, la questione moschea è molto complessa e vi è la necessità di valutare con estrema cautela le relative dinamiche e le potenziali conseguenze, sia a livello nazionale che internazionale, onde evitare che l’eventuale tentativo di fornire una soluzione all’evidente disagio dei musulmani a Milano generi ulteriori gravi problematiche.

[1] http://www.yallaitalia.it/2014/03/caim-errare-humanum-est-perseverare-autem-diabolicum/

[2] https://www.youtube.com/watch?v=q4PfzUZzoRs

[3] http://www.memritv.org/clip/en/4252.htm

[4] http://www.dirittodicritica.com/2014/05/07/video-imam-islam/

[5] http://arabmediareport.it/abu-imad-lex-imam-di-viale-jenner-espulso-dallitalia-torna-in-egitto/

[6] http://defenddemocracy.org/content/uploads/publications/Qatar_Part_I.pdf

[7] http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/qatar-and-isis-funding-the-u.s.-approach