L’alta valenza mediatica dell’evento che ha colpito al cuore gli Stati Uniti ha messo in moto una complessa macchina comunicativa; ne parliamo con Marco Lombardi, docente di Sociologia presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica.
Centinaia di immagini, testimonianze in tempo reale, un’angoscia crescente fino alla triste consapevolezza che quello a cui abbiamo assistito non era un set cinematografico ma la realtà; come si sono comportati i media nel testimoniare questa spettacolare tragedia? «I sistemi di informazione si immediatamente attivati, impiegando tutti i canali disponibili, ma la domanda di notizie è stata subito enorme, e presto ha finito per saturare tutti i canali. Per la prima volta Internet è stato il veicolo più immediato e utilizzato: i siti delle televisioni, dei giornali e delle agenzie hanno fornito informazioni in presa diretta, entrando in crisi per l’insopportabile numero di collegamenti. Accanto, le televisioni hanno cominciato interminabili dirette, sviluppando l’approccio tradizionale che si caratterizza nella spettacolarizzazione dell’evento critico, secondo uno schema che si succede nel tempo in maniera ordinata e ripetitiva: la real TV su quanto sta accadendo, la descrizione del fatto, l’operare dei soccorsi, la dinamica dell’evento, le ragioni e le responsabilità, le possibili risposte e reazioni delle vittime, gli effetti sull’intero sistema globale. Probabilmente, questo tipo di comunicazione continuerà per settimane, spostandosi progressivamente dall’evento scatenante – l’attentato – alle più ampie conseguenze nel mondo – la strategia di reazione, la definizione delle relazioni tra i paesi -. In un certo senso, si può dire “nulla di nuovo, ma neanche nulla di male”, la strategia seguita dai media, che offre una efficace partecipazione emotiva alla tragedia, ha seguito la consueta scansione del processo comunicativo.» Per quanto riguarda i nuovi media e Internet in particolare, quale specifico ruolo hanno svolto? «In merito all’uso di Internet, è utile evidenziare la possibilità di informazione “a richiesta” che essa offre: in rete ritroviamo collezioni di filmati, fotografie, articoli, informazioni tecniche che possiamo consultare a piacimento. Il “navigatore” è messo in grado di costruire il proprio spettacolo montando spezzoni da differenti prospettive, di rivivere in un flashback continuo lo schianto degli aerei, di soffermarsi sulle implicazioni politiche, di commuoversi sulle storie personali, di partecipare esprimendosi in forum e chat. Risulta inoltre interessante e significativo rilevare che per la prima volta, in modo così significativo televisione e rete diventano complementari nel fornire informazione, spesso sovrapponendosi a livello di “fonte” – i fornitori dell’informazione sono i medesimi, frequentemente la televisione è sulla rete e viceversa – ma rispondendo alle esigenze differenti del pubblico.» Tornando alla spettacolarizzazione dello scempio avvenuto, è lecito potere parlare di una regia, anche dal punto di vista mediatico, della tragedia? «Certo l’attacco terroristico all’America suggerisce la presenza di una regia accorta, abile e sofisticata, desiderosa di muoversi su un palcoscenico globale. Innanzitutto gli obiettivi colpiti: le Torri Gemelle, cioè il World Trade Center, e il Pentagono sono i simboli riconosciuti del prestigio e della potenza economica e militare americana. Non si è puntato, invece, sulla Casa Bianca né sul Campidoglio, almeno in prima battuta, cioè sui simboli del potere politico. Si ipotizza, leggendo lo schema degli eventi, che il quarto aereo “precipitato” fosse diretto a una residenza presidenziale. E’ logico pensare che, col passare dei minuti, la consapevolezza della modalità di attacco diventasse palese alle forze di difesa, permettendo agli intercettori di levarsi in volo con il compito di costringere l’aereo kamikaze ad atterrare, o di abbatterlo. Più passava il tempo, dunque, meno probabilità l’aereo dirottato aveva di raggiungere l’obiettivo e maggiore la pressione sulla difesa americana a costringerla ad abbattere un aereo civile, con passeggeri americani. La successione dei bersagli non è casuale, anzi mostra una perversa ed efficace logica comunicativa: anche nell’avere pianificato il secondo colpo alle torri diciotto minuti dopo il primo, quando tutte le televisioni ormai puntavano gli obiettivi alle fiamme… Guardare a quello che è successo in questa prospettiva, evidenzia la presenza di un regista ancora più esperto e spietato di quanto si potesse immaginare.» Nel senso che la struttura stessa dell’avvenimento è stata architettata per colpire fisicamente, in modo immediato e visibile tramite il mezzo televisivo, un luogo che il mondo occidentale conosce e riconosce come simbolo? «Chi ha organizzato l’attacco ha fornito all’evento un codice comunicativo di facile comprensione. Si è preoccupato di distruggere i simboli del potere economico e militare del Paese e di mantenere invece i simboli del potere politico, potenziale interlocutore, seppure in un nuovo contesto di estrema debolezza. Dopo l’11 settembre il mondo è sicuramente cambiato, come tanti hanno detto; e il terrorismo si è dimostrato tragicamente capace di sfruttare le risorse del mondo globale, di cui la comunicazione è forse la più potente.»