Così come il ruolo della Cina si è espanso negli affari politici ed economici globali, così pure si è accentuata la sua esposizione al terrorismo domestico ed internazionale. Questa nuova esposizione allo stesso tempo è legata nella risposta a tali nuovi fenomeni da due principi di vecchia data, quello di “non intervento” e quello di “non interferenza”.
In un video del marzo 2017 trasmesso da Al Jazeera, l’auto proclamato Stato Islamico (ISIS) si impegna a “far versare fiumi di sangue” in attacchi rivolti a target cinesi. Negli ultimi due decenni, i cittadini cinesi, l’economia, i peacekeepers, e le strutture di governo sono stati target e vittime del terrorismo internazionale. Nel 2017, per esempio, due insegnanti cinesi impegnati in attività missionarie cristiane sono stati giustiziati dall’ISIS in Pakistan. Nel 2016, un cittadino cinese è stato ucciso in un attacco di Al-Qaeda in un resort di lusso e alcuni peacekeepers cinesi delle Nazioni Unite sono stati uccisi in due attacchi separati in Mali; l’ambasciata cinese in Kyrgyzstan è stata vittima di un attacco suicida di un terrorista dai presunti legami con i separatisti Uiguri in Cina ed un uomo d’affari cinese è stato ucciso in un attacco bomba dell’ISIS nell’aeroporto di Bruxelles. Tra il 2004 e il 2014, cittadini cinesi sono morti in attacchi terroristici in Afghanistan, Camerun, Giordania, Kenya, Malesia, Mali, Pakistan, Siria, Tailandia, e Stati Uniti. Altri numerosi cinesi sono morti in incidenti terroristici domestici all’interno dei confini della Repubblica Popolare Cinese.
Gli interessi cinesi sono guidati dal desiderio di assicurare la stabilità domestica in Xinjiang ed in tutta la Cina, promuovendo la stabilità regionale (specialmente in Asia Centrale e in quella del Sud, nel Medio Oriente e in Africa) e di proteggere i cittadini cinesi all’estero con i loro affari economici.
Specialmente dallo scoppio delle rivolte e delle violenze in Xinjiang nel 2009, la Primavera Araba del 2011, e una serie di attacchi terroristici di alto profilo all’interno dei confini cinesi (inclusi un attacco suicida sotto il ritratto di Mao in piazza Tienanmen, un attacco di massa con un coltello alla stazione dei treni di Kunming ed un numero di violenti incidenti in Xinjiang) la sensibilità cinese verso il potenziale impatto del terrorismo internazionale sulla stabilità domestica è notevolmente aumentato. In particolare Pechino è interessata al fatto che gli Uiguri potranno inserirsi in organizzazioni transnazionali terroristiche come ISIS o al-Qaeda e ritornare in Cina radicalizzati e pronti a disturbare l’ordine sociale.
Una stima di 10 milioni di musulmani uiguri vive nella Regione occidentale autonoma uigura dello Xinjiang. Negli anni, gli Uiguri si sono coinvolti in una serie di atti terroristici contro i cinesi Han, sia nello Xinjiang, ma anche nelle provincie orientali. La Cina ha espresso a lungo preoccupazione riguardo l’effetto che il terrorismo internazionale può avere su una potenziale insurrezione nello Xinjiang. Nell’ultimo decennio queste preoccupazioni sono incrementate sensibilmente, specialmente riguardo sia il Partito Islamico del Turkestan sia del Movimento Islamico del Turkestan Orientale, ufficialmente designato come organizzazione terroristica dal Dipartimento di Stato USA e dall’INTERPOL dopo la sollecitudine del governo cinese dopo i fatti dell’11 settembre. Più specificatamente, la Cina è preoccupata che gli Uiguri possano arruolarsi nell’ISIS ed in altri gruppi terroristici come possibili foreign fighters in Siria e nel Sudest asiatico, per poi tornare in Cina incoraggiando le violenze all’interno dei confini nazionali. Sebbene è ampiamente constatato che il vero impatto delle violenze nello Xinjiang del Movimento Islamico del Turkestan Orientale e del Partito Islamico del Turkestan sia minimo, Pechino è preoccupata che questi legami siano reali e questo fatto guida tutto il suo approccio al terrorismo, in casa così come all’estero.
Un’altra maggiore preoccupazione in relazione al terrorismo internazionale è la stabilità regionale nel Medio Oriente, in Africa, nell’Asia centrale e nel Sud Asia. Queste regioni sono la chiave per la sicurezza della Cina e provvedono a significanti opportunità di mercato per gli affari cinesi (sia pubblici che privati) in un’ampia gamma di settori. Per esempio, oggi la Cina è il più grande importatore netto di petrolio. Più del 70% di questo petrolio proviene dal Medio Oriente e dall’Africa subsahariana. Queste regioni sono anche i maggiori mercati dell’export cinese (sia di beni che di servizi) e fonte incredibilmente importante di opportunità d’investimento. Per esempio, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, nel 2015 la Cina ha prodotto un export nel Medio Oriente superiore ai 155 miliardi di dollari e in Africa subsahariana di 83 miliardi di dollari. La sua Nuova via della seta (Belt and Road Initiative) amplifica solamente il bisogno cinese di stabilità nella zona del Medio Oriente e dell’Africa subsahariana così come del Sud Asia e dell’Asia centrale. Il terrorismo internazionale nella forma dei gruppi come l’ISIS, al-Qaeda, Boko Haram mettono in pericolo la stabilità interna di molti paesi in quelle regioni così come aumentano il potenziale per un conflitto internazionale che in ultima istanza potrebbe minacciare gli interessi e le risorse economiche cinesi.
Infine, Pechino ha sempre più bisogno di proteggere i suoi cittadini e i suoi affari all’estero. Siccome l’impronta cinese si espande sempre più globalmente, la sua vulnerabilità ad attacchi compiuti da gruppi terroristici transnazionali aumenta. Il Partito Comunista Cinese sostiene anche che il popolo cinese stia facendo sempre più pressione verso il Partito per proteggere i cittadini cinesi e gli affari all’estero. Ed ogni nuovo violento incidente perpetrato da un gruppo terrorista internazionale non fa che aumentare questa pressione.
La più forte risposta cinese al terrorismo internazionale è stata all’interno dei suoi confini. Sebbene Pechino ha enfatizzato la soppressione di potenziale attività terroristica domestica per decenni, dal 2009 le sommosse in Xinjiang si sono abbattute più severamente lì, ma anche in molti altri luoghi della nazione. Esempi di aumentata repressione nel nome della prevenzione del terrorismo domestico e transnazionale includono la nuova legge sulla sicurezza nazionale e la legge sul controterrorismo (entrambe promulgate nel 2015) così come un’ampia gamma di attività di polizia e di serrato controllo sociale in Xinjiang. Oltre all’aumentato dispiegamento dell’Esercito Popolare di Liberazione e della Polizia Armata Popolare in Xinjiang, Pechino spesso restringe le pratiche religiose nel tentativo di combattere l’emergenza della minaccia terroristica.
Dopo i suoi sforzi domestici, il prossimo più forte punto focale di Pechino riguarda la cooperazione contro terroristica bilaterale e gli sforzi multilaterali nella Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, nel China-Arab States Cooperation Forum (CASCF), e nelle Nazioni Unite. I partner bilaterali cinesi contro il terrorismo sono primariamente posizionati in Centro, Sud e Sudest Asia. Le misure contro il terrorismo furono una delle ragioni per cui fu fondata l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ed il CASCF sempre più sottolinea il bisogno di una cooperazione multilaterale in quest’area. Il lavoro sul contro terrorismo cinese alle Nazioni Unite si compie attraverso una Counter-terrorism Implementation Taskforce.
Per esempio, la Cina partecipa alle operazioni di peacekeeping dell’ONU per favorire la stabilità nelle società ad alto rischio nello sviluppo di organizzazioni terroristiche. Il suo veto siriano nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU può essere parzialmente attribuito alla sua visione che interferenze esterne nel conflitto possono probabilmente prolungare la guerra civile e rafforzare gruppi che hanno legami con organizzazioni terroristiche internazionali.
Sebbene la Cina voglia prevenire la diffusione del terrorismo internazionale le sue relative attività globali sono obbligate in una certa direzione. Una ragione è la priorità del terrorismo domestico su quello internazionale. La posizione primaria della Cina è il non intervento e la non interferenza. La Cina vuole evitare di divenire sempre più un target del terrorismo sia domestico che internazionale rispetto a quello che lo è già. Infine, la Cina ha una limitata capacità e impronta all’esterno dei suoi confini per impegnarsi in attività anti terroristiche. Oltre che una nuova base in Gibuti, la Cina non ha basi militari all’estero per supportare massicce iniziative anti terroristiche.
Visto che Pechino gioca un ruolo sempre più influente nella politica e negli affari economici globali, la sua esposizione al terrorismo internazionale e domestico è probabile che cresca. La sua Nuova via della seta – uno sviluppo messo a fuoco nella strategia di cooperazione con i paesi Euroasiatici – espanderà il coinvolgimento cinese in molte regioni dove essa è già un target del terrorismo internazionale, inclusi Centro, Sud e Sudest Asia così come il Medio Oriente e l’Africa subsahariana. Detto ciò, data la sua forte aderenza al principio di non interferenza e le sue paure di ripercussioni dai gruppi terroristici globali, nel breve periodo la Cina continuerà probabilmente a dirigere gli sforzi e focalizzarsi nelle sue strategie anti terroristiche per fronteggiare minacce domestiche e partecipando in relativi sforzi bilaterali e multilaterali su base limitata. Nel prossimo futuro, la cooperazione Cina-USA sul tema rimarrà probabilmente minima.