Lo scorso 13 gennaio le autorità serbe hanno arrestato in Sangiaccato il 21enne Armin Alibasic, legato ad ambiti salafiti e wahhabiti della zona di Novi Pazar e accusato di essersi attivato per organizzare un attentato contro il presidente russo Vladimir Putin, in visita a Belgrado lo scorso 17 gennaio assieme a una delegazione.
Fonti della BIA, l’intelligence serba, hanno reso noto che:
“Il presidente Putin è un target a causa della guerra della Russia contro l’Isis. Le nostre forze di sicurezza, assieme a quelle russe, sono però ben preparate e hanno la situazione sotto controllo e il presidente della Federazione Russa è assolutamente al sicuro”.
Armin Alibasic veniva individuato nel villaggio di Potok, a pochi chilometri da Novi Pazar, con uno zaino in spalla dal quale fuoriusciva un cannocchiale inserito su un fucile a pellets; Alibasic aveva inoltre addosso anche un grosso pugnale da sopravvivenza.
A quel punto gli agenti hanno deciso di andare più a fondo e perquisire l’abitazione del soggetto in questione e nel suo scantinato veniva ritrovato un vero e proprio laboratorio clandestino con componenti chimici per la costruzione di ordigni esplosivi improvvisati e manualistica oltre ad armi, chiavette usb con dati di interesse, una bandiera dell’Isis e appunti su calcoli di distanza tra Novi Pazar ed altre città. Gli inquirenti sono ora a lavoro per chiarire se il soggetto arrestato è legato a qualche cellula attiva in loco o se si è mosso da solo.
Alibasic era già noto alle autorità locali per aver testato alcuni ordigni tra i boschi attorno al villaggio e per alcuni addestramenti di sopravvivenza e paramilitari che era solito fare sempre nei dintorni. In aggiunta il soggetto in questione risultava in contatto con il gruppo Da’va Tim, Pozivu Islam che ha anche una pagina attiva su Facebook e dove sono pubblicati post e immagini che vanno dall’ambito islamista radicale al jihadismo conclamato con tanto di immagini inneggianti ad Anwar Awlaki (esponente di spicco di al Qaeda nella Penisola Arabica), Sayyid Qutb (uno dei massimi esponenti e fondatori dei Fratelli Musulmani egiziani) ed Ebu Tejma (vero nome Mirsad Omerovic, predicatore radicale di origine bosniaca ma trapiantato in Austria, arrestato nel 2014).
L’attività jihadista nei Balcani
Nei Balcani non si registrano da diverso tempo attentati di matrice jihadista ma ciò non implica che la situazione nell’area sia priva di rischi o che non vi siano attività in corso. Nel novembre del 2016 infatti un’operazione congiunta delle autorità albanesi e kosovare portava all’arresto di diciannove jihadisti che stavano organizzando un attentato contro tifosi e giocatori della nazionale israeliana di calcio in previsione di una partita contro l’Albania da giocare a Scutari. Il gruppo era attivo in Albania, Kosovo, Macedonia e aveva ricevuto ordini direttamente da Lavdrim Muhaxheri, leader jihadista kosovaro dell’Isis ucciso in Siria nel giugno del 2017, forse da un raid statunitense.
Il 13 marzo 2018 si verificava un’esplosione all’interno di un negozio di riparazioni per telefonini nel centro di Tirana, non lontano dall’ambasciata USA e dalla residenza dell’ambasciatore italiano. Le autorità albanesi in seguito rendevano noto che la detonazione era stata causata accidentalmente da un cellulare-bomba al quale stava lavorando nel retrobottega il titolare del negozio, identificato come Gentan Hoxha, 35 anni, ideologicamente legato al salafismo ma sconosciuto alle forze dell’ordine.
Il 23 settembre 2018 a Sarajevo due presunti profughi venivano arrestati dalla polizia dopo aver cercato di evitare un controllo; in seguito venivano perquisite le loro abitazioni dove venivano rinvenuti un fucile, quattro pistole, un silenziatore e un centinaio di munizioni di diverso calibro. Uno dei due soggetti arrestati risultava essere un siriano di 34 anni registrato nel sistema come “profugo” mentre sull’altro, un 23enne di nazionalità algerina, restavano molti punti interrogativi.
I Balcani tra nuova propaganda jihadista e ingerenze mediorientali
Fino a qualche anno fa nei Balcani le figure di riferimento propagandistico erano a grandi linee sempre le stesse, dal filone bosniaco legato a Jusuf Barcic, Bilal Bosnic, Nusret Imamovic, Fadil Porca a quello albanese-kosovaro con Shukri Aliu, Rexhep Memishi, Zeqirja Qazimi, Shefqet Krasniqi, Mazllam Mazllami. Oggi invece il panorama risulta ben più variegato, con numerosi predicatori (di cui molti noti soltanto a livello locale) che riescono comunque ad avere un’influenza notevole sui giovani autoctoni, non soltanto nei loro Paesi ma anche tra quelli facenti parte della diaspora europea. Molti di questi predicatori sono attivi tramite pagine web, Facebook, gruppi Telegram, canali YouTube e riscuotono un notevole seguito tra i giovani.
Questa nuova fase è caratterizzata dalla centralità del messaggio, a prescindere da chi sia il predicatore di turno che si occupa di divulgarlo; del resto una volta tolto di mezzo un predicatore ne arrivano altri che lanceranno i medesimi messaggi di odio, a loro volta fatti rimbalzare per il web dai rispettivi seguaci. Predicatori che se da un lato possono anche non avere il carisma e lo spessore di personaggi come Bosnic, Barcic e Imamovic, dall’altro conoscono molto bene il tipo di retorica da utilizzare per far breccia nelle menti dei giovani balcanici “delusi dal sistema”.
Un altro ruolo di rilievo è inoltre ricoperto da quei luoghi di culto e centri culturali, spesso paralleli alle comunità islamiche ufficiali, che ricevono finanziamenti da fondazioni e benefattori quantomeno dubbi e diffondono un islamismo militante importato e in origine estraneo al contesto balcanico.
I Balcani continuano poi ad essere terra di contesa a livello geopolitico, sono forti le influenze ideologiche legate ai Fratelli Musulmani e al wahhabismo promosse da paesi come Turchia, Qatar e Arabia Saudita, particolarmente attivi con iniziative di vario tipo tra Bosnia, Kosovo e Macedonia e pronti a sfruttare a proprio vantaggio le varie tensioni inter-etniche, l’instabilità politica diffusa e la difficile situazione socio-economica nell’area. Non va inoltre dimenticata la presenza del quartier generale dei Mujahideen del Popolo iraniano (MEK) in Albania.
C’è poi tutto l’aspetto legato al rischio di rientro in patria dei foreign fighters (circa un migliaio partiti dai Balcani) e all’infiltrazione nell’area di jihadisti provenienti dai teatri di guerra e pronti a inserirsi all’interno del flusso di profughi che transitano per la rotta balcanica.
Verso una quinta fase della “Spirale Balcanica”
Instabilità politica, alto tasso di disoccupazione giovanile, pessima situazione socio-economica e istituzioni deboli sono tutti fattori che favoriscono l’infiltrazione di quell’ideologia jihadista che si trova oggi in una nuova fase nel contesto balcanico, una nuova fase eredità della cosiddetta “Spirale Balcanica” e non più caratterizzata dalla partenza dei foreign fighters e dalla propaganda perpetrata da vecchie conoscenze legate ai conflitti degli anni ’90 ma piuttosto dal rientro di questi jihadisti e da un’evoluzione del meccanismo di propaganda e dell’attività jihadista, più mutevole e plasmabile a seconda dei contesti da infiltrare, influenzare e destabilizzare. I Balcani restano poi un ottimo “trampolino” da cui lanciare attacchi nel cuore dell’Europa.