La macchina militare israeliana si è messa in moto e stavolta i colpi inflitti sono durissimi. In meno di 72 ore l’IDF ha eliminato a Beirut il numero due di Hezbollah, Fuad Shukr e a Teheran il leader del bureau politico di Hamas, Ismail Haniyeh.
Non poteva che essere così del resto dopo la strage di sabato sera 27 luglio: dodici ragazzini di età compresa tra i 10 e i 20 anni uccisi da un missile di fabbricazione iraniana “Falaq 1”, lanciato dall’organizzazione terrorista libanese su un campetto da calcio a Majdal Shams, comunità drusa nel nord di Israele, a pochi chilometri dal confine.
Israele aveva già dimostrato di poter colpire ben lontano dai propri confini lo scorso 20 luglio, quando aveva bombardato il porto yemenita di Hudaydah, in risposta al drone lanciato il giorno precedente dagli Houthi su Tel Aviv, nei pressi del consolato statunitense, che aveva causato la morte di un civile e il ferimento di una decina di persone.
Questa volta però a Gerusalemme hanno perso la pazienza, anche perché dopo l’attacco di Majdal Shams il livello dello scontro è cambiato. Non solo era inaccettabile che dodici ragazzini venissero trucidati mentre giocavano su un campetto, non solo c’è il problema degli sfollati del nord, circa 80 mila, che attendono ancora di poter rientrare nelle proprie abitazioni, bersaglio costante di Hezbollah, ma il governo israeliano voleva fornire una risposta chiara anche alla comunità drusa, inferocita per l’attacco e che aveva giurato vendetta nei confronti di Hezbollah. Non dimentichiamo che i drusi prestano regolarmente servizio nelle forze di difesa israeliane, essendo cittadini israeliani a tutti gli effetti.
L’intelligence israeliana sapeva che dietro la strage dei drusi c’era Fuad Shukr il quale era anche nella black list degli Stati Uniti per il coinvolgimento nell’attentato che il 23 ottobre 1983 uccise 241 militari statunitensi a Beirut. Una cosiddetta “win win situation” dunque.
Colpire Hezbollah non era però sufficiente, bisognava infatti lanciare un segnale molto chiaro anche a chi manovra il proxy sciita, ovvero il regime di Teheran. Il missile del massacro è infatti iraniano. In aggiunta, era fondamentale assestare un duro colpo anche a Hamas, già con l’acqua alla gola dopo l’eliminazione del suo numero due a Gaza, Mohammad Deif e con Yahya Sinwar braccato nei tunnel sotterranei.
Gli occhi dei media e degli analisti a livello internazionale erano prevalentemente concentrati sui comandanti di Hamas a Gaza, sulle operazioni a Rafah e Khan Yunis. I negoziati per la liberazione degli ostaggi, attualmente ancora in corso, rendevano inoltre altamente improbabile un possibile tentativo di eliminare Haniyeh. Il leader di Hamas non si aspettava certo di essere bersagliato in una delle zone più sicure di Teheran dopo aver presenziato all’insediamento del nuovo presidente iraniano ed era accompagnato da poche guardie del corpo.
Il colpo sferrato dagli israeliani (anche se Israele non ha ufficialmente confermato né negato paternità dell’attacco) ha così decapitato la leadership dell’organizzazione terrorista palestinese e umiliato il regime iraniano.
Ora, almeno in teoria, toccherebbe a Khaled Meshaal prendere il posto di Haniyeh mentre Israele tiene nel mirino i restanti dirigenti di Hamas, morti che camminano.
Intanto si riflette sul dopo, sulle possibili reazioni. Il leader supremo iraniano, ayatollah Khamenei, ha dato l’ordine di attaccare direttamente Israele. Il punto è, al regime di Teheran conviene fare una mossa tanto azzardata? L’Iran tenterà un’offensiva come quella dello scorso aprile, con più di 300 missili e droni lanciati su Israele e in gran parte intercettati e abbattuti dai sistemi difensivi israeliani e degli alleati? Un’offensiva, quella di aprile, tra l’altro plausibilmente controllata, come spiegato da Tamar Ginden, esperta di Iran presso l’Università di Haifa, per evitare un allargamento del conflitto che in realtà teme anche il regime iraniano.
Ovviamente, tutto può succedere, Teheran sa di dover reagire per non perdere la faccia; in Medio Oriente è del resto molto pericoloso mostrarsi deboli.
L’Iran è però ben consapevole delle potenziali conseguenze di un altro attacco diretto su Israele, con gli Stati Uniti che stavolta si vedrebbero costretti ad entrare in gioco militarmente, salvo improvvisi cambi di posizione.
Un’altra ipotesi, forse la più probabile, è quella di un’offensiva missilistica pesante utilizzando Hezbollah e gli Houthi. Sarebbe una soluzione “di mezzo” ma comporterebbe comunque dei rischi, visto che Israele ha già fatto capire di non avere remore a colpire ovunque e contro chiunque. Non si possono inoltre escludere attentati pianificati dal regime iraniano contro obiettivi israeliani ed ebraici in Europa, America Latina, ma anche Asia ed Africa.
Un ulteriore rischio potrebbe essere, da parte di Hamas, l’esecuzione di alcuni degli ostaggi, ammesso e concesso che ve ne siano ancora in vita, in modo da cercare di scatenare manifestazioni e rivolte contro Netanyahu.
Ovviamente sono solo ipotesi relative a un contesto divenuto oramai imprevedibile e può succedere di tutto. Hamas intanto ha fatto sapere che la sua risposta all’attacco israeliano arriverà già giovedì 1° agosto.