Chi pensa che il Califfato sia solo un paese per uomini sbaglia.
O almeno così vuol far credere il Califfo che ha intrapreso un massiccia campagna di reclutamento rivolta al pubblico femminile immediatamente dopo la sua autodichiarazione di esistenza.
In particolar modo sono coinvolte in questa propaganda giovani donne occidentali che, attraverso i social media quali Face Book e Twitter, raccontano la loro vita di “donna del jihadista”. IS ha inoltre realizzato una rete di supporti ad hoc che aiuta le donne occidentali che si recano in Siria per unirsi a IS, affidando loro il compito di contribuire alla nuova società che il Califfato vuole realizzare.
La trappola, una delle tante, è ben predisposta se vediamo piangere in questi giorni il signor Abase Hussen: “Non riusciamo a smettere di disperarci. Siamo depressi e tutto è molto doloroso. Il nostro messaggio ad Amira è di tornare a casa. Ci manchi”. Amira Abase, insieme alle amiche Shamina Begun e Kadiza Saltana, tutte tra i 15 e i 16 anni, hanno lasciato Londra per andare in Turchia e da qui raggiungere il Califfato. Sono tre ragazze inglesi, famiglie originarie del Bangladesh, che sono uscite “per andare a prendere le sigarette” e scomparse di loro volontà per raggiungere il jihad. E sono solo le ultime tre di almeno una cinquantina partite dalla Gran Bretagna, riunitesi nel Califfato con Americane, Austriache, Canadesi, Francesi, Olandesi, Norvegesi, Svedesi,…
Se il reclutamento delle donne ha avuto una accelerazione dalla dichiarazione del Califfato, dal 29 giugno 2014, in realtà ha storia più lunga. Ancora prima della guerra siriana le donne hanno accompagnato i jihadisti in Afghanistan, soprattutto provenienti dai paesi centro asiatici, e poi in Siria, quando si parlò due anni fa in particolare di “sex jihad” con riferimento a flussi di donne tunisine.
Ma le donne hanno da sempre svolto un ruolo di non poco conto nell’ambito del terrorismo mediorientale o di matrice islamica; dalla siriana Sanaa Mehaidli, prima attentatrice suicida della storia (1985) alla palestinese Leila Khaled, prima donna nella storia a partecipare a un dirottamento aereo (1969).
C’è poi il fenomeno delle cosidette “vedove nere” del Caucaso, mogli e parenti di jihadisti ceceni che indossano il niqab nero, si imbottiscono di esplosivo e si fanno esplodere sul territorio russo, prendendo di mira mezzi di trasporto, teatri, scuole. Come non ricordare il caso del teatro Dubrovka a Mosca dell’ottobre 2002, nel quale le vedove nere ebbero un ruolo di primo piano, posizionate con gli esplosivi in mezzo agli ostaggi; oppure l’attentato alla metropolitana di mosca del marzo 2010, quando due jihadiste daghestane si fecero esplodere alle stazioni di Lubyanka e Park Kultury. Ci sono poi casi più recenti, come quello di Volgograd dell’ottobre 2013, quando Naida Sirazhudinovna Asiyalova si fece esplodere su un bus pieno di studenti.
Con l’avvento dell’ISIS sulla scena del jihadismo globale ci sono state evoluzioni anche per quanto riguarda il ruolo della donna che inizia ad andare ben oltre il compito di supporto agli uomini: oggi si stimano circa 500 donne occidentali reclutate dal Califfato. Le donne oggi sono anche reclutatrici, come dimostra il recente caso di Samira Yerou, la donna marocchina arrestata in Spagna lo scorso marzo e accusata di adescare jihadiste da mandare in Siria[1].
A Raqqa è poi presente una brigata jihadista composta interamente da donne, al-Khansaa, con l’obiettivo di “incrementare la consapevolezza e la pratica della religione” tra le donne e punire quelle che non si conformano alla rigida interpretazione dell’ISIS.
Il gruppo di jihadiste armate si è reso responsabile di numerosi assalti tra cui quello alla scuola femminile Hamida Taher, dove hanno prelevato due professoresse, una segretaria e dieci studentesse, tutte accusate di avere veli troppo sottili, di aver utilizzato mollette per capelli e di aver mostrato il viso.
Interessante la testimonianza di una ragazzina sequestrata nell’aprile 2014 con l’accusa di camminare sola e con il velo indossato in modo inappropriato. Una delle jihadiste le ha puntato una pistola e l’ha interrogata sulla sua conoscenza della preghiera, del digiuno e del velo[2].
Le donne partite dall’Europa per andare in Siria e Iraq a combattere o comunque ad affiancare i jihadisti dell’ISIS sono molte, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dai Balcani ed anche dall’Italia, come dimostra il recente caso di Maria Giulia “Fatima Az-Zahra” Sergio, convertita all’Islam e sposata con un albanese, entrambi recatisi in Siria di recente.
Il ruolo della donna nel jihad è un argomento dibattuto da lungo tempo e non vi è un’opinione univoca al riguardo all’interno dell’Islamismo radicale. Il Corano stesso non fornisce direttive chiare al riguardo. L’articolo 12 dello statuto di Hamas, ad esempio, esprime parere positivo sulla partecipazione attiva della donna alla “guerra santa”, così come Abu Musab al-Zarqawi nel 2005. Più cauto invece il messaggio del leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, che insiste sul ruolo domestico della donna. Un problema che non si pone proprio invece per quanto riguarda l’estremismo islamista nel Caucaso, come già illustrato precedentemente[3] [4].
Il coinvolgimento della donna nella jihad solletica e può assumere molteplici significati: può essere interpretato come un modo per sentirsi pari all’uomo e con un ruolo altrettanto importante in ambito jihadista. Per quanto riguarda l’ISIS vi è però anche un tentativo di voler mostrare “la femminilità complementare” all’uomo ed anche la “normalità”, la presenza di mogli, sorelle e madri assieme ai jihadisti di quello “Stato Islamico” alla disperata ricerca di una parvenza di “Stato” a tutti gli effetti.
Possiamo annoverare tra le donne ormai storiche del jihad Umm Layth, famosa per il suo “Diary of a Muhajirah” (Diario di una migrante) e Salma e Zahra Halane entrambe di origini somale con documenti di riconoscimento inglesi, che maneggiano bene il kalashnikov e le bombe. Altre si aggiungono e vengono chiamate con dei nickname: la “Madre di Miqdad” è conosciuta anche come Madre delle donne di Isis, ha 45 anni e documenti sauditi, già responsabile dell’arruolamento delle donne ad Anbar in Iraq; la “Madre di Muhagir”, sposata con un marito combattente, ha documenti tunisini, responsabile dell’unità Khansaa a Raqa in Siria (si tratta di una unità è costituita da 60 donne combattenti); la “Sorella di Giaib”, Nadà Muiz Qahtani, che è la prima terrorista saudita entrata a far parte di IS. Nadà racconta di aver lasciato casa, marito e figli per IS e che sarà la prima donna ad auto-immolarsi per il califfato. Anche suo fratello combatte nelle schiere di IS; la “Madre di Lais”, arrivata dall’Inghilterra in Siria per la jihad, sostiene di voler diventare una martire per il califfato; la “Madre di Haris”, è amica di la “Madre di Lais”, è attiva soprattutto nel settore della propaganda per IS, scrive anche in inglese sotto lo pseudonimo di Xansà.
Ma a questa compagine storica ormai si aggiunge una militanza più fresca reclutata e abbindolata via rete dalle promesse del Califfato.
Lo stereotipo ricorrente tra gli Occidentali era che queste donne avessero come compito primario quello di soddisfare gli appetiti sessuali dei jihadisti. Ma questo è vero solo in parte. Mary è la madre di una diciannovenne olandese, Vanessa, che le ha raccontato che “cucina per suo marito e per i suoi amici combattenti, e passa molto tempo con altre donne occidentali. Le donne sono lì per crescere la famiglia: più donne, più bambini, più combattenti”. In effetti sui social le immagini che ricorrono sono quelle di romantiche cene con i mariti jihadisti e vasi di Nutella: ma imparano anche a usare il kalashnikov come alcune ricordano sui twitter: “qui le donne non chiedono gioielli ma un ‘kalash’” oppure mostrano con gioia la cintura esplosiva da terrorista suicida come “un regalo di mio marito” o altre dichiarano che “lo vedrei ancora e ancora” riferendosi al video brutale di una decapitazione.
Un ruolo importante nel reclutamento, come si è detto, è proprio dei diari che queste donne veicolano attraverso la rete. Tra queste Umm Layth che scrive il suo “Diario di una migrante” dove sottolinea come “Lo Stato Islamico sta pianificando una gran quantità di programmi a favore delle sorelle. Se sei single e vuoi restarlo nessuno ti forza. Puoi vivere in un ostello con le altre sorelle e ricevere una paga mensile” e così va avanti la propaganda che si infrange, poi, sui proclami che rilanciano la schiavitù per le donne, come si vedrà più oltre. Intanto Umm Layth, nel suo messaggio già datato 9 aprile 2014, suggerisce alle ragazze che volessero partire di portarsi “ indumenti, scarpe e altro dall’Occidente. Qui ci sono ma la qualità è pessima…. Il più grande errore che ho fatto è stato quello di non portarmi abbastanza jilbab e niqab (abito con velo che lascia scoperta la faccia o con velo nero che lascia vedere solo gli occhi) presupponendo di trovare gli indumenti islamici qui ma era praticamente impossibile… Scaricate quanti più pdf potete sui vostri tablet e cellulari….è molto difficile scaricare lezioni e libri se non avete una connessione 5stelle a internet, che qui è rarissima, il più delle volte si ricorre al bluetooth reciproco…. Prima di fare la vostra migrazione (Hijrah, con riferimento alla migrazione santa alla Mecca) ci sono molte strade che potete percorrere per prepararvi. Vivere una vita completamente diversa significa cambiare completamente il vostro aspetto…. Se siete dubbiose continuate la ricerca fino a essere soddisfatte. Ma non usate questo come una scusa per starvene lontane dalle terra del Jihad. Voi dovete essere mentalmente vicine ad Allah. Dal punto di vista emotivo avrete molti ostacoli da superare, provenienti dalla vostra famiglia e dal vostro modo di vita quotidiano. Mi ricordo che avendo pensato che avrei vissuto in un campo in mezzo al deserto mi esercitai a non mangiare più il mio cibo preferito e a utilizzare poca acqua per non sprecarla. La preparazione fisica è qualcosa che la maggior parte delle Muhajireen (le donne del jihad) dimentica di mettere a punto – io inclusa! – per l’impazienza e l’eccitazione”, concludendo con il consiglio di vaccinarsi per bene prima di partire.
Il ruolo delle donne, tuttavia, appare sempre più molteplice: alcune hanno agito come reclutatori per IS, molte hanno inneggiato all’attacco a Charlie Hebdo, sostenendo con forza nuovi attacchi terroristici sanguinosi e la pratica della decapitazione degli occidentali. Dunque il ritratto finora corrente, di donne soprattutto passive alla stregua delle “massaie” dei jihadisti sta perdendo di consistenze e le donne cominciano a entrare a fare parte degli scenari di rischio che diverse polizie europee stanno tracciando. Ricordiamo, d’altra parte Hayat Boumeddiene, partner di uno degli attentatori di Parigi, poi rifugiata in Siria.
Ma chi sono e che fanno alla fine?
Yusra Hussien, quindicenne di Bristol allontanatasi nel 2014, non è chiaro se si sia unita al jihad attraverso un processo di radicalizzazione in rete o quando si è trasferita in Siria. Ma le storie sono per lo più chiare, raccontate dalle stesse ragazze sui social media, strumenti potentissimi per promuovere comportamenti imitativi attraverso ilo contagio delle rappresentazioni.
Alcune di loro, come Khadijah Dare, ventiduenne londinese, ben conosciuta perché più volte via twitter ha detto che vorrebbe essere la prima donna jihadista ad ammazzare un ostaggio occidentale, sono andate in Siria dopo aver arrangiato un matrimonio con un combattente di IS. Lei Khadijah con tal Abu Bakr, uno svedese. In questo caso la famiglia è il fattore trainante. E ovviamente non è il solo: “uno stetoscopio attorno al collo e un kalashnikov in spalla: il martirio è il mio sogno” twitta Umm al-BaraaMalaysian, medico. D’altra parte la campagna di reclutamento di IS sta insistendo verso una varietà di profili che non si esauriscono con quello del combattente, ma appunto si ritrovano tra medici, ingegneri, informatici.
In questo contesto molte ragazze sprovvedute cadono nella trappola di un falso romanticismo jihadista e si propongono anche per unirsi alla già citata brigata al-Khansaa o per gestire i bordelli del sollazzo jihadista per finire a fare le aguzzine di molte schiave yazide.
Quest’ultime sono le vere vittime della follia distruttiva del Califfato e delle donne jihadiste.
A novembre i media hanno raccontato della vendita delle donne yazide, la comunità religiosa che abitava le aree a est di Mosul e sterminata o quasi da IS, che insieme alle cristiane vengono vendute sul mercato degli schiavi a circa 140 euro per bambina, scendendo a circa 50 euro per le donne oltre i 40 anni, intorno ai 100 euro tra i 20 e i 40 anni.
Infatti le donne occidentali che partono per il jihad forse non sanno, o nella loro follia non vogliono sapere, che la schiavitù, proprio delle donne, è legittima nel Califfato, come la rivista Dabiq bene illustra. La ragione è semplice: poiché la legge Islamica (la Sharī’ah) non prevede alcuna alternativa al matrimonio, il buon credente si trova in immenso imbarazzo considerate tutte le tentazioni che il mondo moderno gli propone: “un uomo che non può permettersi il matrimonio con una donna libera si trova circondato dalla tentazione del peccato”, per esempio con tutte le domestiche che può avere per casa le provocazioni sono veramente troppe e, dunque, pensando che costui non sia in grado di frenare i propri istinti è il caso di aiutarlo formalmente a liberarsi. Da qui la schiavitù e il concubinaggio che riconduce la fornicazione in un ambito legittimo sia di avere rapporti sessuali con più donne sia di riconoscere i figli che nascono dal rapporto. Per l’Islam del Califfato questa è l’ottima ragione per rilanciare la schiavitù, ma in altro Islam (Iran) si sono inventati i matrimoni brevi (mutʿa cioè il matrimonio di piacere) di un paio d’ore per consumare, oppure le “gang bang” volanti, che qualche sceicco saudita si è organizzato sul jet privato, per non fornicare sulla terra, dove è proibito.
Insomma, con qualche stratagemma teologico radicale tutto diventa possibile. E in questo si ritrova la drammaticità di ogni radicalismo: la pedissequa osservanza, a-storicizzata e cristallizzata, di parole divine, e pertanto intoccabili, fornisce la scusa per ogni comportamento “al di là bel bene e del male”, al di fuori di ogni sistema di valori che, per sua natura, non può che far parte di una comunità che vive nella storia quotidianamente.
La propaganda dello Stato Islamico è anche questa e riesce a fare proseliti in numerose giovanette occidentali che, smarrite spesso nel non ritrovare una loro identità familiare e sociale, ricorrono un sogno che diventa immediatamente un incubo. Ancora una volta IS legge bene le nostre debolezze e le sfrutta al massimo, lasciando a noi il compito di costruite la corda con cui ci offre il cappio.
[1] http://english.alarabiya.net/en/News/world/2015/03/08/Female-ISIS-recruiter-arrested-at-Barcelona-airport.html
[2] http://www.syriadeeply.org/articles/2014/07/5799/raqqa-all-female-isis-brigade-cracks-local-women/
[3] http://news.siteintelgroup.com/blog/index.php/about-us/21-jihad/41-feb09-sp-102064454
[4] http://www.gatestoneinstitute.org/1099/the-female-jihad-1