Dopo l’11 settembre 2001 si è inevitabilmente acuita l’attenzione per tematiche come la sicurezza e l’immigrazione, sempre più spesso considerate strettamente legate una all’altra. Il binomio tra sicurezza e immigrazione necessita però di essere chiarito, per non rischiare di cadere nell’errore di improprie generalizzazioni.
«E’ assolutamente importante sottolineare che non è vero che le politiche per la sicurezza debbano andare di pari passo con quelle per l’immigrazione: si tratta di temi distinti, che tali devono rimanere, perché non si finisca col pensare necessariamente agli immigrati come a portatori di tassi di devianza», sostiene il professor Marco Lombardi, docente di Sociologia in Cattolica e responsabile del settore internazionale della Fondazione per le Iniziative e lo Studio sulla Multietnicità (I.S.Mu.). «L’immigrazione è sempre stata caratterizzata da generalizzazioni errate, come se esistesse solo un tipo di immigrante», afferma Lombardi, «e le cose sono peggiorate ancor di più nel momento in cui si è cominciato a guardare a tutta l’immigrazione come a un rischio, governabile solo attraverso politiche di sicurezza». Proprio al citato binomio Marco Lombardi ha dedicato, in settembre a Oslo, un workshop all’interno di Metropolis, progetto per la gestione dei flussi migratori nato nel 1995 in seno alla Fondazione I.S.Mu. (L’obiettivo di questa fondazione – avviata dodici anni fa da un altro docente della Cattolica, il professor Vincenzo Cesareo – è da sempre quella di monitorare la situazione immigratoria nel nostro paese, con particolare attenzione alla regione Lombardia) Al progetto Metropolis, tavolo d’incontro per ricercatori, policy makers e operatori delle Ong, al fine di discutere e mettere in comune politiche di gestione e best practices, partecipano circa venti Paesi e alcune agenzie internazionali: oltre agli stati fondatori – Canada, Stati Uniti e Italia – vi fanno parte anche Portogallo, Germania, Olanda, Danimarca, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Croazia, Grecia, Argentina e Australia, cui si sono aggiunti anche Tunisia e Marocco nell’ultima conferenza internazionale. Durante quest’incontro – dal titolo Togetherness in difference – si è definitivamente dimostrata la necessità di separare politiche per la sicurezza e politiche per l’immigrazione, attraverso l’analisi dell’efficacia o meno di differenti modelli d’azione. «Se guardiamo al controllo del terrorismo e alla sicurezza, l’unica strada da seguire è sicuramente quella dell’intelligence – chiarisce Lombardi, -mentre se miriamo ad un governo dei flussi migratori, quello di cui ci si deve principalmente rendere conto è l’inutilità di quelle politiche che portano all’irrigidimento dei confini, come dimostra l’inefficacia della fortificazione delle frontiera tra Messico e Stati Uniti». «Allo stato attuale – continua il sociologo – non esiste un confine difendibile: le politiche di governo della clandestinità devono mirare all’intensificarsi degli accordi bilaterali tra i Paesi e a un maggior controllo delle attività delle autorità consolari e delle reti d’immigrazione già installate nei Paesi di arrivo, veri punti d’appoggio dei futuri immigrati». Nell’era della globalizzazione è necessario ripensare il concetto di confine, quello segnato sulla carta non può più essere attendibile: l’immigrazione richiede dei nuovi strumenti culturali per affrontare i flussi migratori con un imprinting che non sia quello di una società statica. «Non ha senso contrastare l’immigrazione», prosegue Lombardi, «perché è un processo insito nella storia dell’uomo. Non si può fermare, si deve però governare. Molti paesi stanno cercando di fare proprio questo, Italia compresa: la nuova normativa attualmente in corso, la Bossi-Fini, ha questo scopo, governare un processo che non è più evitabile».
Marco Lombardi