La drammatica uscita di scena statunitense dall’Afghanistan rischia di creare ripercussioni che vanno ben oltre i confini del martoriato Paese dell’Asia Centrale, coinvolgendo anche l’Europa. Una ritirata messa in atto con la fretta di chi evidentemente, dopo vent’anni, non vedeva l’ora di andarsene. Del resto, lo ha detto lo stesso presidente americano Joe Biden ieri sera durante un discorso frettoloso quanto la fuga statunitense da Kabul.
Un Biden apparso in difficoltà, nessuna domanda lasciata ai giornalisti presenti, un discorso breve, palesemente rivolto alla ricerca del consenso interno, fondato su pochi punti: 1- Gli USA sono in Afghanistan da 20 anni, non possono restarci in eterno; 2- Non possiamo e non dobbiamo combattere una guerra che gli stessi afghani non vogliono combattere; 3- Dovevamo sconfiggere il terrorismo e lo abbiamo fatto, l’obiettivo non era quello di ricostruire il Paese.
Biden ha poi fatto riferimento ai talebani come “insurgents” (insorti) invece che come “terroristi”, quasi a voler magicamente liberare gli “studenti coranici” da qualsiasi legame con jihadisti e qaedisti. Il Presidente è anche riuscito a ridimensionare il conflitto a “guerra civile afghana”, come se gli USA e l’Occidente non avessero avuto alcun ruolo negli ultimi vent’anni, sia nella distruzione che nella tentata ricostruzione del Paese (secondo il presidente USA quest’ultima non è mai stata obiettivo della missione).
Biden ha poi affermato che oggi i luoghi sensibili del terrorismo islamista sono altrove, non più in Afghanistan ed ha citato la Siria ed alcune aree dell’Africa, indicando la strategia delle azioni mirate di contro-terrorismo, anche in Afghanistan, nel momento in cui i talebani dovessero dar rifugio a terroristi.
Il presidente USA dimentica però la differenza tra aree specifiche ma limitate dove vi è presenza jihadista e veri e propri “Emirati” o “Califfati”, Paesi governati dai jihadisti, contesti in cui le azioni mirate servono poco. Basti pensare al “Califfato” di al-Baghdadi; i bombardamenti mirati sono serviti a poco o nulla e lo “Stato islamico” è crollato solo in seguito a una campagna militare russa che ha coinvolto sia le forze aeree che quelle di terra.
Tra i rischi di una riconquista talebana dell’Afghanistan vi è dunque in primis che il Paese possa tornare ad essere santuario e base per al-Qaeda, come già accaduto tra il 1996 e il 2001, ma anche per jihadisti delusi dalla sconfitta dell’ex Stato Islamico.
Vi è inoltre tutto l’aspetto propagandistico da non sottovalutare minimamente in quanto il ritorno dei Talebani verrà certamente celebrato dalla galassia jihadista come un “segno divino” dopo il crollo del progetto di al-Baghdadi ed ancor più come una grande vittoria dell’Islam contro Stati Uniti ed Occidente nonostante un’invasione e vent’anni di occupazione. Questo tipo di propaganda, molto potente, potrebbe riaccendere gli animi di molti islamisti e spingerli all’azione.
Non è certamente automatico che i talebani aprano le porte al jihadismo internazionale, andrebbe contro i loro quantomeno iniziali interessi, ma al-Qaeda è già diffusamente presente in Afghanistan e l’arrivo dei talebani a Kabul rappresenta una rivincita per l’organizzazione jihadista messa in ombra per diversi anni dall’Isis, ma ora pronta a sfruttare le condizioni favorevoli a un rilancio a livello internazionale.
E’ dunque possibile che l’Afghanistan talebano diventi anche una base jihadista da dove organizzare attentati in Europa?
Certamente, la possibilità è concreta, come già illustrato da Petter Nesser nel suo libro “Islamist terrorism in Europe”, dove cita non solo le interazioni tra reti terroristiche in Europa e basi in Afghanistan e nella zona tribale pakistana, ma indica anche campi di addestramento jihadisti come quelli di Derunta, al-Faruq e Khalden, dove sono passati numerosi individui poi finiti al centro di trame terroristiche in Europa. [1]
Vi è poi tutta la problematica relativa ai profughi in fuga verso un’Europa che è già seriamente in crisi a causa dei continui arrivi dalla rotta Mediterranea e quella Balcanica. La Turchia è ben al corrente di tutto ciò e forse non è un caso che ha già deciso di accogliere migliaia di rifugiati afghani. Altra “bomba migratoria” con cui ricattare l’UE, senza contare quelli che verranno trasferiti nei Paesi balcanici.
Ovviamente nessuno può garantire che tra questi profughi non vi siano anche potenziali terroristi pronti ad infiltrarsi in Europa per organizzare reti ed eventualmente perpetrare attacchi. Non sarebbe certo la prima volta, ormai.
Attenzione poi al Pakistan, Paese che da sempre sostiene i talebani con il proprio esercito e il proprio servizio di intelligence, l’ISI, come già denunciato da Human Rights Watch.[2]
A fine luglio numerose fonti indicavano il sostegno del Pakistan ai talebani nella provincia di Nagarhar, nei distretti di Achin, Pacher, Agham ed anche il trasferimento di talebani e jihadisti feriti presso il Jailani Hospital di Quetta e l’Hayatabat Medical Complex di Peshawar. I talebani avrebbero anche trovato rifugio in territorio pakistano per sfuggire all’offensiva dei militari afghani.[3][4][5]
Del resto, non è certo un segreto che Usama Bin Laden era nascosto proprio nella città pakistana di Abbottabad, a poche centinaia di metri da una delle più grandi basi militari del Pakistan.
I talebani hanno riconquistato il Paese da dove vennero lanciati gli attacchi dell’11 Settembre e dopo vent’anni di presenza siamo punto e a capo.
[1] Nesser P., “Islamist terrorism in Europe”, (Hurst Publishers UK, 2018) pp-29,31
[2] https://www.hrw.org/reports/2001/afghan2/Afghan0701-02.htm
[3] https://www.aninews.in/news/world/asia/pakistan-army-continues-to-support-taliban-al-qaeda-along-afghanistan-border20210728230553/
[4] https://www.dw.com/en/why-is-pakistan-seeing-a-surge-in-taliban-support/a-58317041
[5] https://chanakyaforum.com/afghan-envoy-urges-un-to-declare-taliban-as-destructive-group/