Il fenomeno della radicalizzazione islamista in atto in Albania è chiaramente collegato all’infiltrazione wahhabita in determinati ambiti della società albanese, considerati “sensibili” alla propaganda estremista, dove le condizioni socio-economiche sono particolarmente critiche, nonché dove le istituzioni faticano ad arrivare.
Un’infiltrazione che avviene attraverso i soliti tre elementi, interconnessi e in stretta relazione tra loro: finanziamento, indottrinamento e reclutamento.
Il finanziamento ricopre un ruolo fondamentale per poter portare avanti, nel medio-lungo termine, qualsiasi attività di indottrinamento religioso, propaganda ideologico-politica e reclutamento.
I centri islamici radicali hanno bisogno di fondi per essere costruiti, per supportarne le attività, per stipendiare gli imam, così come le reti di reclutamento hanno bisogno di essere “oliate” per poter operare.
Nel tempo è emerso chiaramente come l’estremismo islamista sia finanziato da una pluralità di individui, enti, organizzazioni umanitarie, banche, imprese criminali, ONG e Stati.
Indottrinamento e reclutamento avvengono grazie all’attività di predicatori che nel tempo si sono istruiti in ambito wahhabita e sono riusciti a costruire e coordinare delle network con i necessari canali.
In Albania la principale rete legata a IS era quella gestita da due imam recentemente condannati rispettivamente a 17 e 18 anni di carcere, Genci Balla e Bujar Hysa.
Genci Balla, e il kosovaro Shukri Aliu (predicatore di spicco del wahhabismo tra Kosovo e Macedonia), hanno entrambi studiato all’Università Islamica di Medina, così come Mariglen Dervishllari, collegato alla rete di Balla-Hysa e personaggio che fece da tramite per il cognato, Aldo Kobuzi (marito di Maria Giulia Sergio).
Alla medesima rete apparteneva anche Almir Daci “Abu Bilqis”, ex imam di Pogradec, recentemente deceduto in Siria mentre militava in IS. Daci era anche apparso nel video “Honor is Jihad” dove faceva appello agli albanesi affinché compiessero l’egira verso lo Stato Islamico o si attivassero per la jihad a casa propria.
In una recente intervista fatta dal giornalista Yilli Rakipi a Bujar Hysa presso il carcere di Tirana sono emersi alcuni aspetti di estremo interesse che non hanno fatto altro che confermare fatti già noti:
- Bujar Hysa si radicalizza nei primi anni ’90, in concomitanza con la caduta del regime comunista albanese, in totale assenza di una comunità islamica in grado di far fronte alle esigenze dei musulmani locali, quando entrarono in gioco finanziamenti da parte di enti legati a Kuwait e Arabia Saudita. Non a caso nel 1994 le autorità albanesi chiusero la scuola “El Farouk” di Cerrik, dove veniva divulgata l’ideologia wahhabita. Hysa fa inoltre riferimento a degli investimenti provenienti dal Kuwait durante l’intervista.
- Bujar Hysa afferma di non riconoscere la KMSH, la comunità islamica ufficiale albanese e la accusa di fare i propri interessi e non quelli dei musulmani. Ciò è in linea con la problematica già nota delle moschee radicali esterne alla KMSH segnalate nelle zone periferico-rurali come Cerrik, Elbasan, Librazhd, Pogradec, Kavaja ma anche nelle periferie di Tirana. Le moschee fuori dal controllo della comunità ufficiale sarebbero circa 89, tanto che la KMSH ha recentemente chiesto l’ausilio delle Istituzioni per controllare il fenomeno (fatto confermato da Hysa nella medesima intervista).
- Durante la perquisizione presso l’abitazione di Hysa, nel marzo 2014, veniva trovato un testo wahhabita, pubblicato in Arabia Saudita dal titolo “Asgjësimi i teorisë së përzierjes së fesë Islame me fetë e tjera” (Annientamento della teoria del mescolare l’Islam con le altre fedi). Un ulteriore elemento che conferma l’influenza saudita/wahhabita nella radicalizzazione albanese. Del resto Hysa è altrettanto chiaro quando afferma che alle donne dovrebbe essere proibito di guidare politicamente un paese, ancora una volta in linea sia con l’ideologia wahhabita che con quella di IS.
Per il resto, la retorica è sempre la stessa: esaltazione del jihad e di un’islamizzazione globale, delle punizioni corporali previste dalla sharia, della lotta contro Bashir al-Assad, e ammirazione nei confronti di Usama Bin Laden, definito “uomo buono” e di al-Qaeda, considerata un’organizzazione che “ha lottato per i diritti dei musulmani”.
Hysa nell’intervista non invoca l’islamizzazione dell’Albania, affermando che ci sono ancora troppi pochi credenti. Il predicatore esprime invece la volontà di compiere l’egira verso lo Stato Islamico, recriminando il fatto di essere stato fermato dalle autorità albanesi: “io non voglio vivere in Albania, se mi date la possibilità me ne andrò”. Sembra ancora prevalere dunque l’opzione dell’egira piuttosto che la jihad in casa propria, solitamente considerata da IS come seconda opzione.
Non mancano poi i riferimenti agli attentati in Francia, definiti da Hysa “legittimi” visto che la Francia ha sistematicamente bombardato i musulmani in Siria. Il predicatore non fa distinzione tra civili e combattenti, affermando che anche gli “aggressori” fanno altrettanto.
Il fatto che la network Balla-Hysa sia stata sgominata è importante ma non mette il paese al riparo da eventuali atti di ritorsione nei confronti delle Istituzioni e d’altronde sono stati gli stessi imputati a minacciare i magistrati durante il processo, tra cui proprio Hysa: “arriverà il tuo giorno, arriverà il tuo turno”.
La stima degli albanesi partiti per arruolarsi con i jihadisti in Siria è di circa 120-140; una quarantina sarebbero rientrati a casa mentre quelli ancora in armi sarebbero all’incirca 55, tra cui quattro membri del clan Kaca e Aldo Kobuzi, tutti direttamente legati alla network Balla-Hysa.