Hurgada è una delle tante destinazioni del turismo di massa del Mar Rosso: buoni resort dove si vuole dimenticare la quotidianità, nella vacanza appagante di un mare splendido e di un sole scintillante. Fino a quando, come oggi, non balena un coltello nella mano di un assalitore che uccide due turiste e ne ferisce altre quattro.
L’Egitto sotto l’attacco del terrorismo.
L’Egitto sta perdendo capacità nel garantire sicurezza: stamattina cinque poliziotti erano stati uccisi a un posto di blocco, a sud del Cairo nella zona turistica di Saqqara. Poi nel pomeriggio l’attacco al resort. Con sempre più insistenza si registrano voci di una grande difficoltà a controllare la minaccia islamista diffusa nel paese, confusa nel reticolo degli interessi politici che avviluppano uno stato in grande difficoltà. Gli attacchi di oggi sono gli ultimi di una sequenza lunga mesi, che colpiscono forte per la scelta dei luoghi e dei tempi: luoghi turistici, facili, ad alto impatto mediatico ed economico, soprattutto all’avviarsi della canonica stagione estiva per europei ed occidentali.
Il turismo sotto l’attacco del terrorismo.
Nel resort di Hurgada è affondato un coltello che sembra essere venuto dal mare. La dinamica non è ancora chiara, tanto meno le ragioni e le rivendicazioni. La prima impressione è quella di una micro replica dell’attacco a Sousse, sulla spiaggia Tunisina, nel giugno 2015, si fecero una quarantina di morti per mano di un commando arrivato sparando dal mare. La spiaggia insanguinata seguiva di due mesi la strage al museo nazionale del Bardo, a Tunisi. Da allora la Tunisia piange enormi perdite nel comparto turistico: una visita al Bardo, calpestando mosaici antichi stupendi, oggi si compie in quasi perfetta solitudine. L’Egitto si sta incamminando per la stessa strada, spinto in questa direzione fallimentare dalla violenza del terrorismo islamista.
Con calma, nelle prossime ore, si potranno fare analisi più dettagliate dell’intera giornata di oggi che ha insanguinato un pezzo di Medio Oriente.
Ma da subito è possibile sottolineare la reiterazione degli attacchi ai soft target, facili, paganti in numero di persone, mediaticamente attrattivi, sconvolgenti per la percezione del turista, dannosissimi per le economie locali: conseguentemente destabilizzanti l’intero sistema internazionale.
Indipendentemente dalle modalità organizzative di questo specifico attacco, esso è un attacco terroristico per gli effetti che genera.
Il lascito di Daesh, prima ancora che una adesione convinta alle sue idee, è una diffusione capillare delle modalità operative con le quali attaccare il nemico, identificato negli infedeli e nei loro interessi. Questo lascito è destinato a durare nel tempo molto più che le capacità organizzative e tattiche – ormai allo stremo – di Daesh stesso: ciò significa che la minaccia è destinata a perdurare nel tempo, probabilmente ancora più frantumata e segmentata che oggi e, dunque, ancora più difficile da prevedere.
La vita non è più quella di una volta. Essa richiede un nuovo atteggiamento mentale.
La domanda che ricorre spesso è: “Dobbiamo cambiare le nostre abitudini?”
La risposta istituzionale ricorrente è: “No, la daremmo vinta al nemico”.
In realtà la questione è più complessa.
Le abitudini ci fanno stare bene, il non cambiarle non può essere un rigido mantra, ma la conseguenza di una valutazione consapevole: se oggi la consapevolezza di una minaccia diffusa e reiterata suggerisce di cambiare le nostre abitudini facciamolo.
Questo non vuol dire smettere di fare quello che si faceva, ma significa farlo con una nuova attitudine, una differente consapevolezza della realtà, un differente atteggiamento mentale nei confronti di una situazione che è cambiata.
Oggi è il tempo della vacanza estiva quasi per tutti: si può continuare ad andare a nuotare nel Mar Rosso e, lo suggerisco, tornare a visitare il Bardo e la Medina di Tunisi con
- la consapevolezza individuale che nessun luogo è sicuro, né è mai stato sicuro, al punto di permetterci di “non renderci conto” di dove siamo: la sicurezza individuale comincia da un atteggiamento responsabile soggettivo;
- una piena assunzione di responsabilità delle istituzioni locali che devono affrontare la minaccia con risposte adeguate “disinteressate” rispetto all’impatto comunicativo che possono generare;
- maggiori competenze da parte di chi lavora nel turismo – dal grande tour operator al singolo accompagnatore – che finora ha voluto scaramanticamente negare la minaccia del terrorismo per la paura di danneggiare i propri interessi. Al contrario, oggi l’interesse del comparto turistico si tutela affrontando il rischio diffuso con le capacità che abbiamo di contenerlo, più che sufficienti a garantire la continuità del business.
Questi tre orientamenti si scontrano, nella loro semplicità, con la necessità di dover cambiare il proprio atteggiamento mentale verso la realtà.
Il terrorismo ci sta mettendo in scacco a causa del rifiuto di considerare questa forma di conflitto come presente in molti contesti quotidianamente frequentati: ancora una volta il terrorismo colpisce bene perché sfrutta le nostre vulnerabilità.