Il fatto è chiaro a tutti: Tommaso Ismail Hosni ha accoltellato giovedì 18 maggio un agente di polizia e due militari, durante un controllo alla Stazione di Milano.Un’evidenza da cui è opportuno partire è che una coltellata fa male, e può uccidere, indipendentemente dalle ragioni che la motivano. Pertanto l’atto è criminale. Ma non solo: se l’atto si realizza in un contesto interpretativo riconducibile a obiettivi coerenti con quelli di “organizzazioni terroristiche”, cioè organizzazioni il cui obiettivo è promuovere il terrore, esso diventa un atto terroristico. Ciò indipendentemente dalle motivazioni di chi lo compie: se genera paura diffusa, e allarme, è terrorismo.
Pertanto, la prospettiva che tutti dobbiamo assumere è che un atto è di terrorismo per gli effetti che genera non per le ragioni che lo motivano.
A questo punto gli scenari del terrorismo si ampliano: la gente sembra esserne consapevole, le istituzioni assai meno fornendo interpretazioni vere della faccenda Hosni ma organizzate secondo la strategia migliore per nascondere la realtà dei fenomeni.
In termini tecnici si potrebbe ipotizzare una strategia di “contro-narrativa” perseguita dalle istituzioni italiane verso i suoi cittadini.
Alcuni passaggi di attori istituzionali sono emblematici.
Marcello Cardona, questore di Milano, parlando di Tommaso Ismail Hosni dichiara: “Si può dire assolutamente dire che si sia radicalizzato, ma da qui a fare collegamenti con il terrorismo la strada è lunghissima e probabilmente impercorribile“. La discussione sulla relazione tra radicalismo e terrorismo è ampiamente dibattuta, è ormai chiaro che quanto si deve combattere è l’estremismo violento nel quale, spesso, culmina il processo di radicalizzazione. Ma in questo caso il questore sta giocando con le parole: se è tutta da dimostrare l’affiliazione formale di Hosni a un gruppo terroristico è invece del tutto evidente l’effetto terroristico del suo gesto.
Sappiamo ormai tutti che l’italo-tunisino, figlio di pregiudicati con precedenti per droga, sul proprio profilo Facebook, in chiaro visibile a tutti e rapidissimamente rimosso, non nascondeva la sua natura violenta. Infatti ha prima pubblicato sette filmati (tra maggio e giugno 2016) della Mara Salvatrucha MS13, una delle pandillas più violente a livello globale, che si fece sentire anche a Milano in due occasioni: nel 2015 quando alcuni suoi membri, a seguito di un controllo, aggredirono a colpi di machete il controllore di TreNord Carlo Di Napoli e nell’estate 2016, quando altri mareros uccisero a coltellate un diciottenne albanese, Albert Dreni. Poi, a settembre Hosni inizia a postare video del Daesh, sui mouhajiroun, sulla gente del jihad, sui soldati iracheni uccisi a Mosul, l’ultimo filmato pro Daesh lo pubblicava due giorni prima dell’aggressione.
Per Hosni il processo di radicalizzazione che conduce alla violenza sembra evidente, anche se formalmente – come stanno cercando di appurare gli inquirenti – non aveva forse ancora pagato la quota associativa a Daesh che permetterebbe loro di acclararlo quale terrorista.
Certamente la questione è assai delicata. Ed è ormai chiaro che molteplici sono le vie della radicalizzazione e le motivazioni che le orientano: ma quando la conclusione è violenta l’esito è necessariamente quello del terrorismo.
Il Governo Italiano ha affrontato il problema istituendo una commissione (di cui faccio parte) che ha prodotto un rapporto ufficiale (qui quello pubblico) per il contrasto a queste azioni violente. Tra le diverse considerazioni anche quella che l’Italia sfrutta “un ritardo positivo”: quello di non avere ancora, in maniera tanto diffusa quanto in centro Europa, terze generazioni di immigrati che, soffrendo marginalità e dis-integrazione, sono obiettivo specifico del reclutamento del terrorismo islamista.
Giuseppe Sala, sindaco di Milano, ha dichiaro che l’importante è che “il criminale che ha accoltellato gli uomini delle forze dell’ordine è figlio di madre italiana e di padre nordafricano ed è italiano a tutti gli effetti. Ciononostante a qualcuno fa comodo buttare questo atto criminoso sul conto dei migranti“. Anche questo è un gioco di parole. Perché la premessa del sindaco è veritiera. Ma le conseguenze che tira rientrano nella contro-narrativa istituzionale.
Erano francesi buona parte degli attentatori, degli ultimi anni, in centro Europa: francesi per cittadinanza e perfettamente stranieri per cultura e valori a cui si ispiravano.
La questione deve essere affrontata in maniera più complessa, in cui la cittadinanza ha una valenza formale burocratica e una culturale: la Cassazione qualche giorno fa ha sorprendentemente richiamato alla necessità di aderire e rispettare i valori nazionali, non solo le norme, agli immigrati. Con questa sua affermazione il sindaco non se ne cura e, poiché è una persona intelligente come il questore, sembra che entrambi seguano una strategia volta a rassicurare gli italiani sul fatto che il terrorismo islamista non è di queste parti. Forse per loro episodi come quelli della stazione centrale di Milano sono riconducibili a ragazzacci che sbagliano.
Ed è lo stesso Hosni che si rilancia come ragazzaccio perdonabile dichiarando: “Non sono praticante e non sono nemmeno musulmano!”. Potrebbe anche essere così, anche se i segni premonitori della radicalizzazione islamista sono presenti nel suo profilo, però è poco importante.
Ormai appare evidente come il terrorismo islamista, orientato da Daesh sia diventato l’atto espressivo della convinzione ideologica, religiosa e nazionalista, della arrabbiatura, della pazzia e del disagio o di quanto altro, su una base soggettiva rinforzata da una strategia mediatica adeguata che richieda una affermazione violenta. Il terrorismo è infatti una forma diffusa di conflitto sfruttata nei suoi risultati dalle organizzazioni terroristiche, da queste promossa a livello soggettivo e realizzata a livello individuale.
In questa logica la prima con conseguenza è una generale incapacità previsionale degli attacchi e l’esplosione dell’incertezza: Hosni potenzialmente è il primo.
Magari solo uno di quelli “reclutati” dal libico Ahmed Jbali, con passato di spacciatore e contiguità con gli ambienti islamisti.
Probabilmente uno dei cosiddetti attivatori virtuali (virtual enabler) del Califfato che, grazie alla loro approfondita conoscenza del contesto operativo locale, abilità linguistica e comunicativa, abilità operativa, professionalità cibernetica ed esperienza multiculturale magari maturata nelle fila di Daesh, fungono da pericolosi anelli di congiunzione fra reti jihadiste altrimenti più o meno indipendenti fra loro. Come dimostrano diverse analisi in corso che siamo conducendo a livello internazionale.
Infine oggi, domenica 21 maggio, leggiamo rilanciate da media affermazioni quali: “Infine perdono peso con il passare delle ore anche i filmati in suo possesso e che hanno indotto gli inquirenti ad accusare Tommaso Ismail di terrorismo internazionale. Pare infatti che molti giovani magrebini, assolutamente innocui dal punto di vista della radicalizzazione religiosa, li guardino spesso per curiosità.” Con questa affermazione siamo al meglio della dabbenaggine. Se questo orientamento interpretativo fosse vero renderemmo vano ogni blando adeguamento normativo degli ultimi anni volto a contrastare il fenomeno di adesione a Deash, attraverso l’auto formazione e il proselitismo in rete. Il prossimo passo, coerente con quanto citato, sarebbe lo rispolverare un legittimo cineforum islamista
L’accoltellamento di Milano, il caso Tommaso Ismail Hosni, è dunque molto interessante per le interpretazioni istituzionali che, piano piano, emergono, evidenza della prospettiva che informa sia l’agire politico sia quello, auspicabilmente, operativo.
Nel nostro scenario, invece, combattere Daesh richiede un cambio di prospettiva nelle strategie di contrasto al terrorismo che deve informare le diverse azioni, politiche e operative, rivolte al contenimento della minaccia prevedendo:
- politiche a breve di contrasto duro alle organizzazioni terroriste e alle reti contigue;
- politiche a medio di contrasto al proselitismo e alla comunicazione della violenza;
- politiche a lungo che agiscano nella profondità delle comunità sociali, con un’azione sui loro tratti culturali.
Ma queste azioni di governo sono possibili a patire dalla consapevolezza del dato di realtà, una dato che oggi sembra particolarmente lontano, celato dietro agli schermi delle “veritiere” narrazioni che ci sono passate dalle nostre istituzioni.