La Francia in finale al Campionato del Mondo di Calcio fa paura a Nizza. Malgrado il terrorismo sia assente nella agenda pubblica mediatica, caratterizzata da memoria corta e sempre orientata dalla occasionalità degli episodi, la minaccia è concretamente presente.
Il Campionato del Mondo è, come sappiamo, blindato là dove lo si gioca sul campo, ma anche là dove lo si vede e lo si ascolta: appositi piani preventivi sono stati messi in atto per evitare che le usuali riunioni di fronte agli schermi distribuiti nelle piazze, potessero diventare bersagli facili. Con la Francia in finale questi piani saranno ulteriormente rafforzati per evitare che la paura sia più grande della festa e che questa possa essere partecipata con la liberta a cui l’Europa ci ha abituato.
Ma la minaccia incombe.
Ieri, dopo la vittoria francese e le feste spontanee per le vie dei tifosi che lasciavano bar e ritrovi, lo spettro del terrorismo ha causato una trentina di feriti in corso Saleya, a Nizza: la causa un gran botto, che ha resuscitato gli 86 morti dell’attacco di Nizza del 14 luglio 2016.
La paura che ha scatenato la fuga ha creato il danno.
D’altra parte, nel giugno 2017, in Piazza San Carlo, a Torino, durante la finale di Champions si ebbero 1527 feriti e un morto a causa della folla impaurita, messa in fuga da un falso allarme attacco: quello fu l’unico grande attacco di successo del terrorismo jihadista in Italia. (Si vedano i nostri contributi: Terrorismi e Torino: la profezia che si autoadempie; Torino: panico o comportamento corretto a risposta sbagliata?)
Il terrorismo è presente in maniera costante perché è un attore significativo del conflitto ibrido in corso: esso sta semplicemente cambiando forma, rispetto a quella conosciuta e attualizzata in Daesh, per adattarsi a uno scenario di conflitto perdurante e diffuso. L’attacco terroristico è ormai sedimentato dentro alla consapevolezza dell’evento possibile da parte dei cittadini: un segnale di allarme debole che, rispetto a conoscenze ed esperienze soggettive possa essere ricondotto alla minaccia di attacco suscita la reazione immediata. Una reazione che è spontanea, nel senso che non è guidata da alcuna competenza appresa, perché finora nessuna istituzione ha voluto affrontare, rispondendo, il bisogno di conoscenza che i cittadini esprimono. Il cittadino è solo davanti alla minaccia: fino a quando essa non si struttura nella manifestazione evidente dell’attacco non esiste alcuna procedura consolidata che lo possa guidare ad affrontare una soluzione del problema da cui si sente minacciato.
Ieri a Nizza, prima a Torino, sono episodi di assenza istituzionale nella preparazione ai cittadini sul “cosa fare se….”, una assenza che crea vulnerabilità e non è giustificata.
Il terrorismo è minaccia, il risultato della paura lo ottiene raccontando quello che vorrebbe fare e come ha fatto ciò che ha fatto: una affermazione sicura è che in questi anni la strategia della comunicazione di Daesh ha stabilizzato questa paura nella coscienza dei cittadini con il risultato di aumentare la sensibilità allo stimo e, dall’altra, la disponibilità ad assumere comportamenti efficaci per controllarlo.
E andrà avanti così: rispetto a potenziali attacchi (o minacce di attacchi) che saranno virali, imitativi, semplici, diffusi, a bassa soglia, imprevedibili, con danni limitati, liquidi, plurali nelle ragioni, improvvisi, sorprendenti…
Il terrorismo sarà vinto, nella misura in cui una strategia di consapevolezza e di competenza sarà condivisa tra istituzioni e cittadini.