Se non tentassimo mai di mostrarci un poco migliori di quello che effettivamente siamo, come potremmo migliorarci o svilupparci interiormente traendo spunti dal mondo esterno? C. H. Cooley
La gestione della pandemia e le misure restrittive di contenimento del contagio hanno cambiato in poco tempo, le abitudini e i comportamenti quotidiani di tutti.
Qualcuno si è adattato più in fretta, dimostrando proattività e spirito di iniziativa; qualcuno ha reagito semplicemente andando avanti senza troppe domande; qualcun altro ha mostrato difficoltà e resistenze nell’accettare le nuove norme di vita sociale e non.
Un piccolo esperimento etnografico, di osservazione dalle finestre della propria abitazione permette di formulare riflettioni per il futuro che verrà e che, senza voler giocare alle nuova Sibilla cumana, sappiamo per certo sarà tutto da riorganizzare.
Fuori dalla propria finestra c’è il mondo con tutte le sue informazioni fra cui:
- il problema della spesa soprattutto in provincia fuori dalle grandi città, dove le consegne a domicilio legate all’e-commerce hanno mostrato profonde vulnerabilità e criticità, rendendo reale i limiti solo pensati, ovvero che le varie nuove tecnologie potessero migliorare la vita quotidiana, fatta di piccole ma importanti necessità. Infatti, non solo l’e-commerce è stato travolto da richieste più ampie della possibilità di gestione, ma anche le connessioni rete subiscono rallentamenti, spesso si interrompono, facendo perdere quel minimo di contatto e connessione, che ci rende ancora comunità, seppur virtuale. Vedo anche i contatti rapidi e fugaci di chi consegna la spesa a domicilio: personaggi in prima linea, che velocemente posano tutto fuori casa: pagato online, niente contatti, solo un saluto;
- vedo anche la sostituzione delle grandi catene di distribuzione a favore dei piccoli commercianti, che con un po’ di sano ingegno e buona volontà hanno costruito una catena di distribuzione dal niente, ma funzionante: esempio quanto mai rassicurante di una buona creatività resiliente;
- vedo rapporti di vicinato caratterizzati dalla diffidenza: ci si guarda intorno prima di uscire per la paura di incontrarsi all’uscita pedonale, dove tutti sanno che non ci potrà essere il distanziamento necessario; nel caso di un incontro non voluto, si parla veloce e a bassa voce chiedendo come si sta con un po’ di timore e apprensione, non sapendo se il nostro interlocutore possa essere il parente delle vittime della zona, soprattutto degli anziani nella vicina casa di riposo oppure se qualcuno fra loro è in cassa integrazione o ha subito un fermo alla propria attività lavorativa. Si applica il baratto, con tutte le norme sanificanti del caso, simbolo di moderno kula volontario, mettendo nelle caselle della posta, diventate gelose custudi, quanto serve e non si trova, una sicurezza materiale anti-covid 19. Piccoli scambi che fanno piacere, confermando che anche se confinati dietro i propri muri, ci si pensa ancora e si vogliono mantenere interazioni sociali;
- vedo fuori dagli ingressi o dai balconi, piccoli tesori domestici semi – nascosti: alcool, candeggina, disinfettanti vari, simboli tangenti di rituali purificatori all’ingresso delle proprie abitazioni. Sono lì anche da monito protettore: ci ricordano che il virus non deve oltrepassare la soglia della nostra safety zone, casa nostra;
- vedo i parchi pubblici diventati ampi spazi verdi e incontaminati, moderne no go zone pandemiche; sono vuoti anche delle quotidiane attività di micro – criminalità come lo spaccio serale e del fine settimana. Segno di un displacement dovuto alla pandemia, che ancora non fa capire se queste attività siano cessate o solo spostate ad altro luogo e modo;
- vedo anche la separazione fra cittadini e istituzioni, diventare solco che si spera colmabile nel post-crisi: genitori che incuranti delle restrizioni escono in bicicletta con i propri figli. La pretesa di alleanza fra cittadini e istituzioni è stata troppo compressa nel tempo dell’impatto immediato del coronavirus, portando solo a rendere chiara la distanza pregressa, esistente in modo latente fra cittadini e istituzioni. Simbolo anch’essa di un principio fondamentale dimenticato, ma ora evidente: in emergenza e durante la crisi si applica quanto si è appreso prima, in prevenzione. Non è possibile pensare di educare e formare durante emergenze e crisi
- non si vedono più persone immigrate, regolari o meno: non fruiscono più degli spazi pubblici, non lavorano come al solito. Si è spesso parlato di loro come un popolo di invisibili, ed ora in effetti lo sono diventati: aprendo molte domande sull’immigrazione in Italia, sulla questione dell’indentità personale e sull’impatto che tutto questo avrà sul sistema nazionale sociale ed economico.
In questi tempi però non si vede solo, ma si ascoltano suoni con un significato diverso rispetto alla precedente vita quotidiana:
- le sirene delle ambulanze, che sempre più di frequente suonano più e più volte al giorno, intervallate dal sorvolo degli elicotteri
- le urla dei bambini in casa che litigano fra loro durante la giornata: strano suono di una normalità, che di solito è delimitata nel fine settimana quando tutta la famiglia è riunita sotto uno stesso tetto
- la musica che esce dalle case quando si aprono le finestre, per cambiare un po’ aria e vedere se alla fine la primavera è arrivata
La sociologia della vita quotidianità, ci permette in tempi di crisi di raccogliere quei frammenti di identità plasmate come effetto della crisi stessa, del vissuto stravolto dall’ordinario; modi e pratiche culturali di resilienza riadattate al nuovo contesto e scenario di vita.
L’emergenza e la crisi ci portano a pensare fuori dall’ordinario, a spingerci oltre i limiti di quello che mai avremmo pensato essere possibile, immaginabile.
E’ proprio su questo limes, che sarebbe stato necessario avere una comunicazione di crisi coordinata, verificata, che fungesse da orientamento di comportamenti proattivi e resilienti: nella sua assenza ci sono state però tante pratiche che hanno preso il suo posto, alcune positive, altre negative. Studiamo quelle negative, per fare in modo che alla prossima crisi ve ne siano più positive.