Il SARS – Co – 2 – V ci ha abituato a mille stranezze e sembra si diverta a smontare le conoscenze già acquisite. In ogni caso non possiamo fingere di non avere conoscenze pregresse e a mantenerle in vita almeno fino a prova contraria. Sappiamo che la pandemia del 1918 e 1919 ebbe tre “ondate” e la seconda uccise più persone della prima e della terza. Sappiamo anche che i corona virus, come tutti i virus aerogeni, perdono o riducono di molto la loro contagiosità con il caldo.
Quello che dobbiamo attenderci, quindi, è una sorta di ibernazione dei contagi nei mesi caldi e una ripresa nella fase autunnale e invernale. Ripresa che sarà tutto fuorché graduale perché il virus, di fatto, rimane tra noi – anche se in stato di quiete – pronto a riprendere forza e vigore con il calo delle temperature, i contatti umani che si rendono più stretti per la ricerca degli spazi chiusi e riscaldati.
Insomma, una seconda ondata che dev’essere attesa e contrastata fin dall’inizio. Contrastata tramite le distanze sociali, l’uso delle mascherine, la riduzione dei contatti fisici (abbraccio, stretta di mano etc.), l’isolamento dei primi casi e tutto ciò che abbiamo ampiamente imparato da fine febbraio a oggi e che non dobbiamo dimenticare.
Molti si sono indignati sui dati tedeschi, di questa prima fase, perché il numero dei morti sembra drasticamente basso. Per quanto banale sembra essere la diagnosi di morte è complessa quanto quella di una qualsiasi patologia: si muore per arresto cardiocircolatorio ma perché questo avvenga non è sempre di immediata comprensione.
In realtà il numero “tedesco” da attenzionare è quello relativo ai pazienti guariti. Un numero molto maggiore a quello italiano. Uno dei motivi di successo è legato alla struttura della medicina territoriale tedesca costituita da ambulatori condivisi, ove si eseguono esami ematochimici, ecografia internistica di base, elettrocardiografia e terapie anche impegnative.
Questo ci indica che la vera battaglia, da un punto di vista sanitario, si dovrà combattere sul territorio se non vogliamo che la seconda ondata sia drammatica quanto la prima. La medicina di base avrà il compito di identificare i primi casi, di iniziare subito la terapia e di fare da filtro per gli accessi ospedalieri. E’ questo il livello che dev’essere potenziato fin da subito.
Ai medici di base devono essere consegnati i DPI (guanti, mascherine, calzari, tute) per almeno una settimana. Devono essere stabilite linee guida di trattamento. Devono essere messi in condizione di eseguire un emogas analisi, un elettrocardiogramma e un’ecografia toracica per identificare le linee delta. Devono essere offerti loro momenti di formazione sia da distanza che sul campo. L’emogas analisi è un esame difficilissimo da leggere in tutte le sue componenti ma, in questa situazione, sono tre i parametri da valutare. L’elettrocardiogramma lo si esegue per valutare un tratto che potrebbe allungarsi (con il pericolo di aritmie maggiori) in seguito alla terapia con l’idrossiclorochina.
Elementi diretti. A cui rispondere con un “bene, male”, “sì, no”, “sporco, pulito”. Una sorta di triage speditivo che porta a una diagnosi di inclusione o esclusione, a una valutazione di lieve o grave, a un “tratto a domicilio oppure ricovero”.
Si torna a una medicina “tradizionale” volta a salvare le vite e non a eliminare le rughe, una medicina che salva le vite per assunzione di responsabilità e non mette a rischio per il riferire sempre ad altri. Una medicina che guarda al corpo, parla al cuore, riscalda lo spirito. Una medicina che non vive di DRG, di “vaucher”, di solventi. Una medicina che salvando vite ritrova una ragione d’essere nobile e alta.