Nella liturgia laica delle ore diciotto del pomeriggio a cui per più di un mese in molti si sono sottoposti, il numero che lasciava sempre interdetti era quello riguardante i morti mentre quello che dava speranza era quello dei guariti. Il numero dei morti: all’inizio quasi un fiato appena percettibile, poi sempre più grande fino a diventare un turbine che travolgeva tutto e obbligava a parlare solo di sé.
Quando il numero, il primo numero, il numero della paura, ha raggiunto proporzioni impossibili da reggere è iniziata la litania del “morire per” o del “morire con”. Nelle case, nei posti di lavoro lasciati aperti, nelle conversazioni telefoniche era un argomento di rito dal quale diventava impossibile ritirarsi.
Negli ospedali e nelle case visitate dal COVID la morte era cadenzata da un respiro sempre più rumoroso e difficile che si spegneva, per sempre, quando i muscoli – tutti i muscoli del corpo – non riuscivamo più a reggere lo sforzo di rubare un minimo d’aria al cielo. Era quello il momento nel quale il medico, l’infermiere l’assistente socio sanitario, il malcapitato che si trovava di fronte al letto sussurrava qualche parola tra le labbra per affidare quell’anima a Dio o al Nulla. Nessun epicedio, solo parole soffocate, difficile da vocalizzare.
Seguiva poi la telefonata alla famiglia per comunicare ciò che già sapevano e per aggiungere, subito dopo, di informare una ditta di pompe funebri perché corresse a porre la salma in un feretro. Tutti i medici ricordano questo come il momento più difficile; cercare parole difficili da dire, al telefono, a sconosciuti per parlare di una parte di loro che aveva cessato di esistere. Difficile dire da quale parte del telefono si consumassero più intervalli di silenzio e più singhiozzi; una prova massacrante l’ascoltare quanto il parlare.
L’impossibilità di assistere i degenti, infatti, ha reso il personale sanitario l’unico e, purtroppo per molti, l’ultimo contatto con il mondo degli uomini. In chi non superava la prova c’era qualche cosa di noi che ci lasciava. Perfetti sconosciuti diventati intimi.
La gioia grande quando il paziente migliora, ritorna a un respiro normale. Gli si legge in faccia quasi stupore nel constatare che sia così facile e automatico respirare dopo avere vissuto l’angoscia di quando l’aria non voleva più entrare nel torace. Quanti sguardi terrorizzati in chi compiva i primi passi lontani dal gorgogliatore dell’ossigeno, dal C-Pap, dalla maschera, dal casco. Difficile distaccarsene, quasi quanto tagliare un cordone ombelicale.
Tornare a casa rinati nello spirito e nel fisico ma con il fiatone dopo aver salito un piano di scale. Constatare quanto sia difficile camminare e parlare nello stesso momento. Provare quanto sia importante trovare la giusta posizione nel letto per addormentarsi senza paura che il mostro torni a stringere le sue possenti mani alla gola.
Per molti il futuro sarà un lungo periodo di post degenza confrontandosi continuamente con una forma di insufficienza polmonare restrittiva, con la necessità di smettere di fumare, con il periodo incontro con il pneumologo per una visita e una spirometria.
Vi sono anche altre vittime del virus (con o senza non so dire) e sono coloro che non sono riusciti a fare i conti con la propria solitudine, con il restare a casa sempre e comunque, con il cessare di uscire dalla memoria del focolare domestico.
Non ho avuto ancora modo di leggere numeri nella lettura specialistica ma il numero di suicidi e il numero di persone che si sono arrese è sicuramente aumentato. Fatto grande da coloro ai quali la casa (anche un miniappartamento) era diventata immensa perché vuota della persona amata. La ferita della perdita lenita, in qualche modo, dalla vita di tutti i giorni con le proprie uscite, impegni e distrazioni si è riaperta ed è tornata a lacerare le carni.
Sembra un ossimoro quello del suicidio dei sopravvissuti. Rimango a pensare quanti tra loro avrebbero preferito che il virus avesse reso tutto più semplice togliendo anche la necessità di fornire spiegazioni. Ma il SARS – Co – V – 2 ragiona in un modo tutto suo e ha attaccato con la forza di mille eserciti tanti risparmiandone altri. Un’onda che travolge nell’avanzare, un’onda che cancella nel refluire.