IS infila un altro anello della sua lunga collana di perle nel progetto di comunicazione strategica: John Cantlie compare in video per il suo terzo annuncio. Cantlie è nelle mani di IS dal 22 novembre 2012, quando venne rapito con il povero Foley. Aveva già sperimentato un breve rapimento – una settimana – nel luglio dello stesso anno. La seconda volta è diventato un prigioniero a lungo termine, scelto come anchorman della comunicazione di IS all’Occidente.
Cantlie compare con la solita divisa da Guantanamo, seduto a un tavolo dal quale legge un testo: si tratta delle terza puntata di un programma di analisi della situazione (una sorta di format alla “dentro la notizia”), alla fine del quale da già appuntamento alla prossima puntata. Fino a quando il format è funzionale a IS può pensare che l’ultima puntata non sia per lui quella definitiva e conclusiva.
In questa edizione esordisce in modo diretto richiedendo l’ascolto del suo pubblico e, in circa cinque minuti, si sofferma su alcuni punti:
- il conflitto in Sira e Iraq non rende più sicuri i Paesi occidentali: in sostanza lo spettro della guerra diffusa è minacciato a chiare lettere e in questi giorni in cui i Paesi occidentali discutono di possibili attacchi sul loro suolo, questa argomentazione trova una elevata permeabilità nel pubblico di Cantley.
- gli attacchi aerei stanno distruggendo dei target specifici, ma non permettono di conquistare e mantenere territorio: tutti lo sanno ma pochi lo dicono. La questione dei “boots on the field” è drammaticamente attuale per il contrasto che inevitabilmente genera tra una scelta politica – che non può permettersi di andare sul campo – e una scelta strategica – che sa che le guerre si vincono solo sul campo -.
- alla coalizione anti IS manca una fanteria credibile, non sono siriani a kurdi che possono contrastare IS sul terreno: è la seconda ovvietà, a rinforzo della precedente, che contribuisce a sottolineare l’inutilità del conflitto armato con IS, utile a rinforzare il punto di vista del partito che – a ogni costo – vuole evitare la guerra guerreggiata, e dunque il conflitto nei Paesi occidentali.
- le armi che state dando ai vostri alleati arrivano poi agli uomini di IS: è la terza ovvietà per gli addetti ai lavori, un sospetto per gli altri, il rinforzo altresì per le teorie del complotto che, soprattutto in queste fasi di scarsa chiarezza entrano nelle agende pubbliche e private.
- un nuovo Vietnam è dietro l’angolo: conclude invocando uno spettro che mai si tranquillizzato e tuttora è capace di dinamizzare conflitti e manifestazioni.
Questa comunicazione, di cui ho solo evidenziato alcuni passaggi, è stata costruita a tavolino da chi conosce molto bene sia le strategie di comunicazione sia il target di riferimento confermando, ancora una volta, che nulla è lasciato al caso nell’utilizzo dei media da parte di IS, strumenti che entrano in pieno nel conflitto con la medesima legittimità e competenza d’uso degli AK47.
Se volete ripercorrete gli ultimi post di ITSTIME.
A più riprese abbiamo commentato la minaccia della comunicazione contenuta nei video delle teste mozzate; la virulenza che facilita imitazione dei profili sui social; i documentari sulla normalità della vita nei territori di IS; la convergenza mediatica di videogioco e filmato che ha fatto cassetta. Ora continua la serie degli approfondimenti con l’anchorman Cantlie che evidenziano la complessa strategia di IS, articolata in una pluralità di generi comunicativi e di format perfettamente capaci di colpire il target segmentato di riferimento.
Il dramma è che qui nulla è più fiction.