Le Brigate degli uomini liberi della Galilea, Martiri di Imad Mughniyeh’ tornano a colpire: a marzo 2008 rivendicarono l’attacco di un terrorista solitario alla scuola rabbinica di Gerusalemme di Kyriat Moshe. Era la prima volta che compariva il nome del gruppo Kataeb Ahrar al-Jalil (Brigata degli uomini liberi della Galilea) – Gruppo del martire Imad Mughniye’ e i martiri di Gaza: ispirati a Imad capo militare degli sciti libanesi ucciso il 12 febbraio a Damasco nell’esplosione di un’auto bomba.
Ancora il medesimo gruppo è autore dell’attentato con bulldozer del 2 luglio scorso a Gerusalemme: un giovane palestinese – Hussam Tayassir Dawiat, 30 anni, residente a Gerusalemme Est con moglie e due figli – a bordo del mezzo pesante ha investito un autobus e travolto alcune auto provocando 4 morti e una trentina di feriti, prima di venire ucciso a sua volta.
Di nuovo, ieri 22 luglio, a Gerusalemme vicino al Liberty Bell Garden, nel centro di Gerusalemme ovest, all’altezza di un affollato incrocio stradale un appartenente alle Brigate degli uomini liberi della Galilea ha “impugnato” una ruspa per travolgere 5 auto e un autobus, ferire 16 persone ed essere ucciso. Si trattava di Ghassan Abu Tyr, 23 anni, originario del villaggio palestinese di Umm Tuba, a sud di Gerusalemme, residente a Gerusalemme est.
Secondo la polizia israeliana si tratta di un nuovo «attacco individuale», quindi una iniziativa personale, e non di un gruppo organizzato.
I fatti sono preoccupanti: certamente si tratta di un fatto individuale, d’altra parte la maggior parte degli attacchi suicidi lo sono. Se infatti la preparazione avviene normalmente nel contesto di strette reti relazioni e appassionati tutor che accompagnano il terroristi fin sull’obbiettivo, poi la morte suicida avviene in solitaria. Tuttavia la rivendicazione del medesimo gruppo denuncia una appartenenza che può essere smentita solo se pensiamo che le Brigate agiscano opportunisticamente: utilizzando il sangue spontaneo di altri. Ma al contrario, la comune appartenenza sembra invece essere suggerita da una similarità negli strumenti di morte utilizzati.
Il problema, a mio modo di vedere, si pone proprio nell’uso di mezzi per costruire una casa, luogo familiare, riconvertiti in strumenti di morte per intere famiglie. Se le cose cambiarono con gli aerei dell’11 Settembre l’era di bulldozer e ruspe ne è degna figlia. Finora il terrorismo suicida aveva di massima utilizzato come armi differenti modalità di esplosivo: l’auto bomba serviva a trasportare il carico di esplosivo e così la cintura ben legata in vita. In questo mese i mezzi sono diventati gli strumenti ultimi: abbiamo perso la traccia olfattiva della polvere per ritrovarci a considerare potenzialmente un attentatore un guidatore di ruspa, perché a bordo di quel mezzo. Il salto di qualità è notevole, forse meno devastante per la brutalità dei resti lasciati sulla scena, ma spaventoso per la possibilità di scenari che apre quando la fantasia dell’uomo si cimenta nel trovare possibilità di morte associate a strumenti non specifici.
Io credo che la prudente dichiarazione della polizia israeliana mascheri la paura che il profilo del terrorista suicida per imitazione insieme all’impiego di “armi quotidiane” e “non specifiche” suscita, perché rende oltre modo difficile ogni forma di prevenzione. In questa estrema logica del terrore, per gli altri, siamo tutti potenzialmente terroristici suicidi.