Martedì notte intorno alle 23:40 ora locale un commando terrorista ha aperto il fuoco contro un gruppo di turisti in visita all’antica fortezza di Naryn-Kala, a Derbent, città nel sud del Daghestan.
Al momento il bilancio è di un morto e undici feriti, tutti trasportati all’ospedale locale per le necessarie cure.
Al momento gli elementi noti sono i seguenti:
- La banda responsabile dell’attentato sarebbe la “Derbentskoy”, di matrice wahhabita, precedentemente legata all’Emirato del Caucaso ma passata di recente con IS.
- Il ricercato numero uno per l’attentato sarebbe Khanmagomedov Abutdin Kerimovich, 04-04-1984, nato a Hapil Tabasaran e residente a Derbent. Khanmagomedov e i suoi seguaci erano già ricercati dalle autorità locali per altri attacchi nella zona, precisamente in data 16-12, 14-10 e 15-09, tra cui un attentato incendiario a un palazzo dell’amministrazione comunale di Derbent.
- Gli agenti federali hanno rinvenuti 67 bossoli di diverso calibro nel punto da dove sono partiti i colpi.
Il commando potrebbe aver preso due strade subito dopo l’attacco:
- Verso sud nel tentativo di sconfinare in Azerbaijan.
- Verso est, per trovare rifugio tra le montagne.
La seconda opzione è al momento la più plausibile, se non altro per analogie con precedenti attacchi messi in atto da altre bande del medesimo ambiente.
Le motivazioni più credibili per l’attentato al momento sembrano essere legate al boicottaggio del turismo in Daghestan e la ritorsione per l’intervento militare russo in Siria, anche se tutto è ancora in fase di analisi da parte delle autorità locali.
Vale la pena tenere in considerazione che il periodo di fine dicembre è sempre stato sensibile per gli attentati degli islamisti del Caucaso, basti pensare agli attentati di Volgograd del dicembre 2013.
Cosa non sappiamo:
Al momento non risulta chiaro se la banda si sia consultata con membri di IS in Siria prima dell’attacco o se abbia agito autonomamente. E’ noto che il gruppo di Khanmagomedov era recentemente stato coinvolto anche in fatti di banditismo volto all’auto-finanziamento.
I precedenti del mese
Il 23 dicembre Magomed Zakaryaev (1992), un membro della banda “Kizilyurt”, era stato ucciso durante un conflitto a fuoco con la polizia dopo aver tentato di forzare un posto di blocco.
Il 24 dicembre Djambulat Aliev (1972), un reclutatore di jihadisti, era stato ucciso a Makhachkala dopo aver tentato di forzare un posto di blocco .
Lo stesso giorno, nei pressi del villaggio di Ratlub, alcuni agenti anti-terrorismo erano stati bersagliati da colpi di mortaio partiti da un edificio disabitato. Ne era nato un conflitto a fuoco nel quale era rimasto ucciso Gadji Kelbeliev (1983), precedentemente legato al gruppo jihadista “Izerbash” e successivamente passato alla banda “Yuzhdag”.
Terrorismo e turisti
Il 2015 ha sottolineato quanto il terrorismo abbia sempre fatto, e continui a fare, dei turisti un bersaglio sul quale convergere per portare a termine la propria strategia: quella di diffondere terrore.
L’anno trascorso ha visto infatti diversi attacchi rivolti o che hanno coinvolto turisti di diverse nazioni.
Il 18 marzo pochi uomini armati di AK47 hanno fatto irruzione nel Museo del Bardo causando la morte di 24 persone, tra cui 21 turisti.
Il 26 giugno, a Sousse, sempre in Tunisia 38 turisti sulla spiaggia di un resort sono stati freddati come in un’esecuzione da uomini armati.
Il 20 novembre in Mali un commando di 10 miliziani ha preso in ostaggio circa 170 persone presso il Luxury Hotel di Bamako. Al termine delle operazioni di salvataggio, 19 persone hanno perso la vita: tutti viaggiatori presenti nell’albergo per motivi di lavoro.
La figura del turista, o ad ogni modo del viaggiatore, non è stata presa di mira solo in territori definibili “caldi”. Il 13 novembre, a Parigi, una delle città europee più vistate, gli avventori di 4 locali sono stati vittime degli attacchi che hanno sconvolto la città.
Gli attentati che sono stati citati sono perfettamente in linea con ciò che abbiamo definito “guerra ibrida”, ossia una guerra pervasiva, diffusa e delocalizzata che non si pone altro obiettivo se non quello di diffondere il terrore, di aumentare la percezione di insicurezza a tal punto da condizionare le scelte di vita personali.
La strategia comunicativa della propaganda di Daesh ha scelto, infatti, di fare ricorso con più frequenza all’utilizzo della parola terrore piuttosto che morte: il colpire soft target, come possono essere i turisti o i viaggiatori, rende ancora più efficace il dilagare dell’insicurezza che a sua volta diventa virale nel momento in cui qualcuno è sopravvissuto all’attacco per raccontarlo.
A questa strategia comunicativa è necessario contrapporne un’altra, alla quale ITSTIME sta già lavorando, in grado di suggerire sia codici di comportamento in caso di necessità sia accorgimenti per gli operatori del settore al fine di ridurre i danni, anche economici, che gli attacchi possono causare al settore turismo.