Ripensando agli eventi di Parigi, forse, il reale merito, imputabile ad IS, per gli attacchi di venerdì notte non è attribuibile in termini militari, ma bensì in chiave propagandistica e comunicativa.
Proviamo a cambiare la prospettiva: passiamo dall’analisi militare a quella comunicativa.
Mi spiego, se si ha la volontà di incrementare gli effetti di una crisi è infatti necessario agire sul fattore temporale: lasciare aperto il tempo, non “chiudere” l’azione genera incertezza cognitiva. Si genera così continuità ed estensione dell’azione: nel nostro caso, un attacco che non solo non è terminato allo Stadio e Bataclan ma è tuttora in corso.
Se si pensa alle esecuzioni nella sala concerti del famoso locale parigino, gli ostaggi sono stati uccisi “uno ad uno” con l’AK47 selezionato a tre colpi e caricato più volte. Questa dinamica allunga i tempi dell’azione e ci si sente (come è stato dichiarato) nelle mani di un “giustiziere”. Nel frattempo i media di tutto il mondo e noi stessi, la relativa audience, seguivamo “minuto per minuto” via Twitter , nevrotici, gli eventi, cercando legittimamente di capire cosa fosse realmente accaduto, chi fossero i responsabili, quanti fossero, dove fossero, la strategia usata, le armi, le conseguenze ecc. La nostra sfera di confort cognitivo era stata frantumata e noi cercavamo di ricostruirla, chiedevamo certezze, ma il nemico forniva solo brusio e confusione.
Perché non usavano le granate che già avevano usato: avrebbero ammazzato tutti, o quasi, in un attimo.
Lo stesso vale per lo Stadio: in tanti ci si chiedeva se fossero stati dei matti ad attaccare un obiettivo impossibile a penetrarsi, utilizzando una metodologia così poco efficace e diversa da quelle già usate in simili contesti di elevata securizzazione. Perché decidere di affrontare un fallimento militare?
Se si analizza la comunicazione di Daesh a partire da venerdì notte, l’attività risulta notevole: durante gli attacchi i social media rigurgitavano festeggiamenti e rivendicazioni e il canale Dabiq France rilasciava il messaggio “France sends its aircraft to Syria daily, bombing killing children & seniors, today it drinks from the same cup”. In seguito, sabato mattina, un video di IS, non datato, viene rilasciato, “indeed you were ordered to fight the infidels wherever you find him. What are you waiting for? There are weapons and cars available and targets to be hit”. Il video non è inedito, è vecchio, risale al gennaio scorso ed è stato ri-postato! Dettaglio molto interessante, cosa significa? Suonava un «vi avevamo avvertito» attraverso un messaggio datato, che magari l’audience di riferimento (noi) poteva aver dimenticato. Infine, la rivendicazione ufficiale, che tutti aspettavamo con trepidazione, arriva solo sabato.
Tra l’altro, a livello analitico, questi dettagli forniscono un possibile spiraglio sulla strategia complessiva del Califfato. Se, per esempio, la strategia comunicativa invece di essere stata pianificata molto prima dell’attacco, di cui non si aveva una conoscenza dettagliata a livello centrale (Siria), fosse stata applicata solo durante e dopo di esso per amplificarne l’effetto? Ciò illuminerebbe di una luce diversa il ruolo della “centrale di Raqqa” sostenendo il tema della Open Source Warfare.
Oppure, se la pianificazione invece che militare (deficitaria) fosse stata comunicativa? Volta a riscuotere il successo che ha avuto sul piano mediatico, proprio per le modalità militari fallaci in quella prospettiva?
Queste sono ipotesi di lavoro. Di certo in questo modo “l’attacco continua”, il terrore monta, nei giorni a seguire. Si grida l’allarme «Immigrati terroristi!», si chiede la chiusura dei confini, ma si fa solo il gioco del nemico. E ancora, falsi allarmi svuotano le piazze; il terminal di Gatwick viene sgombrato; negli USA, in Canada, in Olanda e, questa mattina, in Bulgaria, aerei vengono fatti atterrare o mantenuti a terra per allarme terrorismo; partite vengono sospese e stadi evacuati; raids delle forze di sicurezza di diversi paesi si susseguono, specialmente in Belgio e Francia, dove la caccia alla “mente”(Abaaoud), ormai diventata virale, porta ad una azione di polizia che comporta l’uccisione di tre terroristi e l’arresto di altri cinque indiziati. Soffiate durante le indagini rivelano “volevano organizzare altri attacchi all’aeroporto e nel cuore finanziario di Parigi”, e di nuovo, la dimensione temporale rimane aperta, il terrore monta, e l’attacco continua.
In questa cornice, gli estremisti si galvanizzano. A Sarajevo, Enes Omeragic, che recentemente aveva aderito ad un movimento salafita ultra conservativo, spara sulla polizia e poi si suicida a casa sua; ancora, a Marsiglia un insegnante ebreo viene accoltellato da un gruppo di estremisti che dichiarano di stare con lo Stato Islamico. E ancora i livelli di sicurezza, giustamente, decollano in Europa, Asia e nord America, e il terrore monta e l’attacco continua.
IS rilascia un nuovo video, martedì sera: il nasheed (canto) è in russo, la voce fuoricampo francese e i sottotitoli in inglese, e poi, ieri, esce Dabiq 12, il magazine di IS. È molto interessante, come già evidenziato da Alessandro Burato su ITSTIME, che lo spazio dedicato agli eventi di Parigi, anche definiti come l’11 Settembre europeo, sia estremamente ridotto, eppure la rivista è consecutiva all’attacco, magari il riferimento è stato solo aggiunto, di fretta?
Oltre alla rivendicazione dell’esecuzione di un cittadino cinese e di uno norvegese, ampio spazio invece viene, ancora, dedicato all’aereo russo abbattuto, con una bella foto di una lattina ordigno, come causa della esplosione, immagine ripresa ampiamente dai media internazionali.
E ancora, il terrore monta e l’attacco continua.
Un concetto importante per capire: gli omicidi di massa non sono l’obiettivo del terrorismo, ma sono lo strumento per conseguire l’obiettivo che è diffondere il terrore.