L’attacco di ieri a Londra sembra uno di quei gialli in cui l’autore svela fin dall’inizio il delitto, nei suoi dettagli efferati e dichiarandone l’autore, per poi condurre il lettore attraverso flash back narrativi, ricchi di suspense, che non tolgono il gusto della sorpresa malgrado lo svelamento iniziale.
Ormai quanto successo è chiaro e non interessa molto. Si tratta della perfetta sintesi delle armi della quotidianità applicate nella loro drammatica e spettacolare atrocità: Daesh lo predica con successo da quasi un anno, con un impatto rilevante su un numero di soggetti crescente in maniera indipendente dal successo di una radicalizzazione ideologica o religiosa. L’attentato di ieri si colloca in una data simbolica significativa – attacchi a Bruxelles il 22 marzo 2016 -, segue due episodi di terrorismo “balordo” in Francia, utilizza un auto e due coltelli in mano a uno sconosciuto che ferisce circa quaranta persone e ne ammazza quattro.
Poi comincia il vero giallo.
Per ore si identifica nell’attentatore il predicatore radicale anglo jamaicano Trevor Brooks: le fotografie sembrano corrispondere perfettamente. Il nostro commento di ieri fornisce un profilo approfondito di Brooks che ci conduce immediatamente ad alcune domande che problematizzano questa identità.
Tante domande riguardano il personaggio, che per il ruolo che riveste non è un solitario ma è parte di una rete, è integrato nel mondo dell’islamismo radicale eppure, alla fine, si comporta da “lupo solitario” che utilizza gli strumenti della quotidianità come proposti da Daesh. Perché un comportamento così fuori dalle corde di tanto profilo: si potrebbe dire che “ha sprecato una occasione”?
Tante domande riguardano l’intelligence che a fronte di questo attaccante, di disattenzione in disattenzione, ha reso possibile il concretizzarsi di questo eccidio. E’ certo che questi attacchi sono imprevedibili nella loro forma, ma non lo sono i soggetti se sufficientemente attenzionati. Pertanto un Brooks che colpisce in questo modo è un buco enorme dell’intelligence inglese!
Con queste domande chiudevamo il profilo pubblicato ieri, per poi rimettere tutto in discussione, alle 21:30 circa, quando l’identità di Brooks era messa in dubbio dal suo legale che lo dichiarava in carcere.
Comincia il giallo.
Le autorità inglesi non smentiscono e non confermano: diverse testate scelgono strade divergenti per ore, nell’incertezza totale, proseguendo sulla strada “Brooks” o allontanandosene. Solo a notte inoltrata si conferma l’estraneità di Brooks, mentre si avviano perquisizioni a Birmingham dove vengono arrestate sette persone, a stamattina ancora non ufficialmente legate all’attacco di Londra. Birmingham è nel mirino perché luogo di residenza del personaggio che ha affittato l’auto assassina.
E qui il giallo per ora ha una pausa narrativa e crea suspense.
Sono infatti passate tante ore da quando gli investigatori hanno in mano il corpo dell’attentato e le sue armi, incluso una macchina che ha certamente un proprietario: si tratta di informazioni chiare per condurre a una identificazione più rapida del tempo impiegato da Scotland Yard per dire alcunché.
Più il tempo passa, più le voci corrono, più esse si consolidano e, mano a mano che vengono smentite generano quella incertezza che è tra gli obiettivi del terrorismo che, ricordiamolo, vuole farci paura.
Perché tanto disinteresse nel chiarire quanto accaduto?
Gli inglesi sono avvezzi a combattere il terrorismo, anche quello homegrown che hanno allevato disattenti nelle loro città, come ricordava Parker, capo del MI5, a novembre 2016, dichiarando che negli ultimi tre anni erano stati sventati dodici attacchi: siamo al ritmo di un attacco terroristico ogni trimestre. Insomma sono stati bravi.
Tuttavia, il caso di ieri mostra un profondo distacco tra l’attività investigativa e la gestione comunicativa degli effetti di un attacco terroristico: non sostengo la trasparenza, che può per esempio anticipare orientamenti delle indagini mettendo in discussione i risultati dovuti alla sorpresa, ma sostengo la necessità di gestione della comunicazione che non può avere come strategia il silenzio. Il silenzio, infatti, in questi casi spalanca la via alle ipotesi, ai rumori, alle voci che hanno comunque un impatto su percezioni e comportamenti.
Indubbiamente, se con queste strategie il giallo narrato si arricchisce, la vulnerabilità del sistema fa altrettanto.
Sarebbe opportuno, dunque, arrivare a breve al capitolo centrale di questa storia: riuscire a dare un volto all’attentatore perché è necessario riuscire a interpretare quanto prima la strategia degli attacchi Daesh, rispetto alla sua capacità di organizzare e progettare o, al contrario, di movimentare e orientare.
Lo dico perché sono convinto che la minaccia continuerà e si estenderà.
Sono sciocchezze pericolose il considerare gli attacchi di questi giorni come i “colpi di coda” di un Califfato perdente. Daesh sta certamente perdendo territorio, ma questo fatto non influisce sulla carica ideologica e motivazionale degli islamisti del Califfato, una realtà diffusa, delocalizzata e pervasiva capace di portare i suoi attacchi ben distante da Mosul, senza bisogno di una regia.
Il giallo dunque prosegue.