La cronaca dell’attacco ai mercatini di Natale a Berlino, portata a termine “forse” da Anis Amri, “apparentemente” nato in Tunisia nel 1992 ne ha delineato in maniera anche estremamente dettagliata il profilo, gli spostamenti e le vicende che lo hanno visto coinvolto tra Italia e Germania, in un susseguirsi di situazioni che lo hanno portato lunedì sera a lanciarsi con un camion contro i turisti che attorniavano le bancarelle natalizie berlinesi.
Oltre alle ipotesi diffuse in primis dalla autorità tedesche circa l’identità dell’attentatore, viralizzate poi a macchia d’olio dalla stampa internazionale, c’è un aspetto che è stato quasi del tutto rimosso dalle analisi, ossia le ragioni del successo dell’operazione ideata dal Amri. Ancora una volta, l’attacco ha potuto occorrere in gran parte per via di debolezze dei sistemi (informativi, amministrativi, e di sicurezza in generale) europei che ancora una volta sono stati “bucati” da un soggetto che, ispirato in maniera più o meno indiretta dalla propaganda o dai predicatori del Daesh, ha semplicemente potuto e voluto sfruttare quelle vulnerabilità che sono ben note ai “maestri” della guerra ibrida.
Negazionismo ideologico
Amri entrava in Italia illegalmente nel febbraio 2011, dichiarandosi minorenne, e veniva accolto nel CIE di Lampedusa. Nonostante le ripetute prove a sostegno del fatto che i canali dell’immigrazione illegale siano sfruttati dal terrorismo, sia per veicolare radicalizzati, sia come humus nel quale coltivare i germi di una radicalizzazione che ha portato ad atti di terrorismo, la sensibilità politica e mediatica che tende a velare se non a negare questo aspetto, evitando di affrontare il tema in maniera trasparente, pone seri problemi in termini di possibilità di identificazione di azioni che possano limitare il fenomeno.
Il meccanismo delle espulsioni
Arrivato in Italia, Amri finisce in carcere a Palermo e una volta libero si trova tra le mani un decreto di espulsione firmato dalla questura di Catania che non può essere eseguito. L’inesistenza di veri e propri accordi con i paesi di origine della maggior parte dei migranti nel caso di espulsione coatta o rigetto delle procedure di assegnazione di protezioni sussidiarie o di attribuzione di status di rifugiato creano un pericolo limbo di vulnerabilità, una zona grigia di persone non legittimate a stare nel Paese che le ospita ma che non possono essere riportate in quello di origine. La dimensione quindi, da un profilo di pura sicurezza e ordine pubblico, passa ad una di relazioni internazionali e diplomatiche che devono accelerare il passo per trovare una soluzione. L’Europa, al momento praticamente assente nel campo della sicurezza, deve farsi garante della “sicurezza d’area” spingendo sull’acceleratore per trattative e accordi circa le modalità di espulsione di persone extracomunitarie, non lasciando il singolo stato membro unicamente con la speranza che il soggetto espulso lasci il suo territorio, anche solo per andare in quello di uno stato membro confinante.
A tutto ciò si somma la difficoltà di rilevare l’identità certa dei soggetti al momento dell’arrivo. Nel momento in cui viene fornita un’identità falsa, specie se di un minore, è impossibile verificare l’applicabilità delle tutele a lui destinate come anche valutare la sua eventuale pericolosità.
Lo scambio informativo
È tuttavia diffusa la generalizzata difficoltà nel trovare nelle istituzioni europee un’impronta di governance che permetterebbe un’intelligence sovranazionale. E quindi quello che resta è il semplice scambio di informazioni. Ma anche questo è stato assente completamente in quasi tutti i casi di attacchi terroristici verificatisi dal 2015. Amri, un personaggio evidentemente a rischio, espulso da due paesi è di fatto libero di circolare anche quando un’informativa del Dap, relativa al periodo di detenzione tra il 2011 e il 2015, lo indicava come soggetto che manifestava forme di adesione ideale al terrorismo di matrice islamica e sebbene, secondo nuove informazioni che giungono da oltre oceano, fosse sotto la lente delle agenzie di intelligence tedesche da gennaio essendosi candidato ad essere un martire del Jihad e corredando i suoi propositi espressi in rete cercando informazioni su come produrre ordigni e mettendosi in contatto con non meglio precisate figure di riferimento del Daesh. Difficoltà di comunicazione quindi che, come dimostrano le polemiche sulla responsabilità dello scambio informativo tra Germania e Italia, mettono a rischio anche i rapporti tra paesi membri contribuendo a creare ulteriori vulnerabilità.
Tanto si è discusso dell’opportunità di creare una intelligence europea. Una agenzia informativa deve necessariamente rispondere ad una politica di sicurezza per una governance e, non essendoci in Europa né l’una né l’altra, è poco probabile che una super-intelligence europea possa essere istituita e comunque possa vantare alcuna prospettiva di efficacia. Resta dunque la necessità di uno sforzo maggiore delle istituzioni nazionali nel facilitare le procedure e le dinamiche di scambio informativo in un’ottica di collaborazione fattiva e necessaria, a prescindere dall’organizzazione amministrativa.
Parimenti necessario è il potenziamento degli strumenti in dote alle agenzie per ridurre il rumore prodotto dai falsi positivi che si presentano in relazione a tracce di attività potenzialmente connotante un soggetto a rischio. Anche nel caso di Amri sarebbe infatti stata giocata la carta dell’elevato numero di soggetti da “tenere d’occhio” che rende impossibile garantire l’idonea copertura del monitoraggio nei confronti di tutti i soggetti attenzionati. Il problema, che ruota attorno a due aspetti fondamentali, quali le risorse economiche stanziate per la sicurezza e quelle umane competenti, potrebbe finire per sbilanciare l’ago verso un approccio tecnicista che pretende che i sistemi informatici possano da soli essere lo strumento risolutore della complessità.
Rilievi per l’Italia
A seguito dell’attacco a Berlino due sono gli spunti di riflessioni interessanti relativi, il primo allo specifico caso di Amri, il secondo legato al cambiamento di percezione della popolazione in relazione alle misure di sicurezza che si sono adottate a seguito dell’attentato.
Amri dall’Italia si sposta in maniera illegale, aumentando il rischio di essere preso e ulteriormente fatto oggetto di provvedimenti di restrizione della libertà, per andare in Germania. A fronte del fatto che è ancora poco chiaro il suo percorso di radicalizzazione, del quale non si conoscono né le tappe né i tempi, è altamente rilevante comprenderne la natura per capire quali siano i motivi per cui Amri non abbia portato a termine l’attacco in Italia. Tali considerazioni si renderebbero ancora più interessanti nel momento in cui venisse chiarita l’eventuale esistenza di un legame tra l’attentatore e una mente dell’attacco, magari basata in Siraq, che iscriverebbe l’attacco in una strategia specifica del Daesh. È chiaro che il rischio per il nostro paese non possa essere definito solo per differenza rispetto alle cause che hanno portato altri paesi ad essere obiettivo del terrorismo jihadista (Francia, Belgio, Germani, America) ma si potrebbe quindi ipotizzare, in presenza di una catena di comando e controllo specifica, che l’Italia non sia esplicitamente identificata dalla strategia del Daesh come obiettivo.
IL PROFILO DI ANIS AMRI
Anis Ben Mustapha Ben Othmen Amri, 22-12-1992 Ghaza, Tunisia.
Figlio di Mustapha Amri e Nour El-Houda Hachani, originario di Kairouan.
Amri giungeva in Italia illegalmente nel febbraio del 2011, dichiarandosi minorenne, e finiva nel CIE di Lampedusa.
In Tunisia
In Tunisia Anis Amri è ricercato dalla polizia di El Oueslatia in quanto condannato a cinque anni in contumacia per rapina a mano armata. Era anche ritenuto plausibilmente vicino ad Ansar al-Sharia.
In Italia
In Italia Amri si rendeva responsabile di una serie di reati tra cui l’incendio doloso, il furto di un telefonino e lesioni; conseguentemente veniva arrestato e condannato a cinque anni di reclusione scontati nel carcere Ucciardone di Palermo, dove si faceva notare per il comportamento violento. Una volta tornato in libertà, nei suoi confronti scattava un provvedimento di espulsione da parte della Questura di Catania, misura mai posta in esecuzione a causa della mancata collaborazione da parte delle autorità tunisine (negavano che Amri fosse cittadino tunisino).
Le ultime tracce di Amri in territorio italiano risalgono al 2015 a Caltanissetta, dove si rendeva responsabile di lesioni ai danni di una persona.
In Germania
Nel luglio 2015 il soggetto veniva registrato il suo ingresso in Germania, nello stato di Baden-Wurttenberg. In seguito veniva ospitato nel centro di accoglienza di Kleve, nel Nord Reno Westfalia; la sua domanda di asilo veniva respinta lo scorso giugno ma Amri otteneva comunque un permesso di soggiorno momentaneo (Duldung, documento che consente la permanenza su territorio tedesco senza aver ancora ottenuto l’asilo.) che di fatto sospendeva il procedimento di espulsione.
Curiosamente il tunisino era un immigrato “tollerato” nonostante che la polizia tedesca lo avesse da tempo attenzionato ritenendolo soggetto pericoloso. A quanto pare infatti, nelle banche dati in uso alle polizie europee erano stati inseriti tutti gli elementi riconducibili a questa presenza segnata dai reati in Italia.
Il Ministro dell’Interno del Nord Reno-Westfalia, Ralf Jaeger, rendeva noto che Amri era finito sotto inchiesta perché sospettato di preparare attentati. Le agenzie di sicurezza si erano infatti scambiate informazioni su questa persona con il Centro congiunto anti terrorismo a novembre del 2016.
Da febbraio 2016 veniva segnalato più volte a Berlino e Nord Reno-Westfalia. Nell’agosto del 2016 Anis Amri veniva fermato dalla polizia a Friedrichshafen, vicino il lago di Costanza, con un documento italiano falso, ma veniva rilasciato due giorni dopo.
Il tunisino, che si serviva di almeno otto false identità ed era in possesso di numerosi documenti falsi, era sotto sorveglianza per contatti con la rete jihadista del predicatore iracheno Abu Wala, arrestato a inizio novembre in Germania assieme ad altre quattro persone. Fonti serbe rendevano inoltre noto che Amri viveva assieme a Boban S., personaggio con doppia cittadinanza, serba e tedesca, tra gli arrestati di inizio novembre. Il telefono del tunisino era sotto controllo e si riteneva che potesse essere armato. Nonostante ciò, a fine mese Amri faceva perdere le proprie tracce.
Anis Amri era in contatto telematico con esponenti dell’Isis, era alla ricerca di materiale per costruire bombe e figurava nella no-fly list degli USA.
Alcune osservazioni
Non risultano ancora chiare le dinamiche che hanno portato Anis Amri a radicalizzarsi. Si è radicalizzato in carcere a Palermo? Oppure successivamente in Germania? Di certo non si entra in una network jihadista come quella di Abu Wala, ritenuto “uomo dell’Isis in Germania” e non si finisce ad abitare con elementi della rete se non si è più che accreditati.
Altri elementi che appaiono da subito interessanti sono il possesso di numerosi documenti falsi del personaggio in questione e la professionalità con la quale veniva messo in atto l’attacco a Berlino.
Gli attentatori (si presume che fossero due) si sono infatti preoccupati di non lasciare testimoni. Nessun grido “Allahu Akbar” seguito da attacchi con arma bianca una volta fatto schiantare il camion. Secondo le ricostruzioni, gli attentatori avrebbero utilizzato anche una pistola munita di silenziatore per uccidere il conducente del Tir e si sarebbero poi dileguati tra la folla, nonostante è più che plausibile credere che avessero gli abiti sporchi di sangue in seguito alla colluttazione all’interno dell’abitacolo.
Un ulteriore aspetto curioso, i documenti per dare il via alle procedure di espulsione di Amri arrivavano giusto ieri dalla Tunisia.