“But if you return, we will return 3” è il nuovo video rilasciato poco fa da Daesh: 15 minuti di immagini, firmate dalla provincia di Ninive. Se vogliamo lo stile è quello a cui siamo abituati: una premessa che mostra delle immagini contro la popolazione da parte della coalizione, insistendo soprattutto sui bambini che sono vittime della guerra; una parte di transizione con interviste ai prigionieri in tuta arancione; la terza parte conclusiva in cui avvengono le esecuzioni. In questo caso tre esecuzioni di otto, sei e due prigionieri con la chiusura su un ultimo in attesa, nella gabbia in cui è rinchiuso. I bambini tornano protagonisti in questa terza parte: vittime nella prima e carnefici delle esecuzioni nella terza: un messaggio evidente di motivazione e reclutamento. In particolare, due bambini sono coinvolti nella esecuzione – con pistola – dei sei prigionieri. E ancora più terribile, nel finale, un bambino biondo (sete o otto anni) che con un tutor uccide un prigioniero con un colpo alla nuca: il tutor alle sue spalle carica l’arma pesante, tiene tra le sue mani quelle del bambino armato, insieme puntano la pistola alla nuca del prigioniero uomo in ginocchio, il dito dell’uomo aiuta a premere il grilletto al piccolo dito.
Assistiamo a una drammatica “prima volta” che lascia il bambino sbigottito.
Daesh sta rinforzando la sua comunicazione che mette al centro “piccole vittime assassine”, ha rinnovato la sua campagna mediatica del terrore colpendo nella pancia l’occidente, sensibile alla giovane età dei nuovi jihadisti. Ma soprattutto Daesh, originale per essere il primo gruppo ad avere avuto il controllo di un territorio, quindi dello spazio, sta cercando di assumere il controllo del tempo: il reclutamento di questi bambini minaccia il mondo al massimo grado perché impatta sul futuro che è nelle mani delle nuove generazioni.