Gli arresti dei tre palestinesi a L’Aquila, membri dell’unità “Tulkarem-Risposta Rapida” delle Brigate al-Aqsa risvegliano l’attivismo del terrorismo palestinese legato all’organizzazione al-Fatah, quando tutti gli occhi erano puntati su Hamas in seguito all’eccidio perpetrato dall’organizzazione terrorista di stampo islamista lo scorso 7 ottobre nel sud d’Israele.
Le Brigate al-Aqsa, organizzazione presente anche nella black list di UE, Stati Uniti e Canada, erano risultate attive in Cisgiordania per tutto il 2023, in particolare con un caso, quello dello scontro a fuoco avvenuto il 6 novembre a Tulkarem con l’esercito israeliano, che aveva portato all’eliminazione di quattro terroristi, uno dei quali in costante contatto con la cellula arrestata in Italia, come si vedrà.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta italiana, allo stato attuale, la cellula risulta composta da tre individui con a capo Anan Yaeesh (1987), soggetto con un lungo passato di militanza e oggetto di richiesta di estradizione da parte delle autorità israeliane.
Entrato nel 2002 a far parte dei servizi segreti di al-Fatah, nel 2005 veniva estromesso su pressioni israeliane in quanto indicato come precedentemente coinvolto in attacchi contro Israele. Nel settembre del 2005 Anan veniva arrestato dalla polizia palestinese affiancata da militari statunitensi e rinchiuso nel carcere di Gerico dove fuggiva sei mesi dopo. In seguito all’evasione, Anan restava nascosto a Tulkarem fino al dicembre 2006 quando veniva ferito in uno scontro a fuoco con unità Duvdevan dell’esercito israeliano e arrestato. Anan restava in carcere in Israele fino all’aprile 2010 quando veniva scarcerato. Nel 2013 otteneva un visto dal consolato norvegese di Ramallah e si recava prima in Norvegia dove restava per alcuni anni, poi per pochi mesi in Svezia tentando invano di ottenere la protezione internazionale. Le autorità norvegesi gli consegnavano però un foglio di via in quanto ricercato in Israele e nell’ottobre del 2017 Anan arrivava in Italia.
Yaesh Anan risulta non soltanto leader della cellula attiva in Italia ma anche anello di congiunzione con il comandante in capo delle Brigate al-Aqsa, Mounir al-Maqdah (con cui comunica frequentemente) e con Shehadeh Maharaj Ibrahim, anch’egli membro dell’unità “Tulkarem” nonchè uno dei terroristi uccisi dall’IDF il 6 novembre 2023.
Tra il 18 e il 21 maggio 2023, intercettazioni telefoniche documentano conversazioni tra Anan e Shehadeh sulla distribuzione di denaro a soggetti in Cisgiordania. Altre conversazioni tra Anan e al-Maqdah espongono invece, oltre alla distribuzione di fondi, anche acquisti di armi e la pianificazione di attentati.
Come target vengono indicati principali esponenti politici israeliani, con tanto di immagini da predisporre su carte da gioco, come fecero i militari statunitensi con gli esponenti del regime iracheno durante la seconda Guerra del Golfo:
“”…Se il tuo amico fa delle foto a tutti quelli del gabinetto di guerra, a Netanyauh e la sua banda… come le carte da gioco… qualcuno come jolly, allo stesso modo come fanno loro e fai un elenco di loro”)”.
La cellula pianificava anche un assalto armato contro l’insediamento israeliano di Avnei Hefetz, da perpetrate con modalità simili a quello lanciato da Hamas lo scorso 7 ottobre, ovvero con videocamere su cappello e fucili in modo da documentare tutto per fini propagandistici.
Il “vice” di Anan risulta essere Irar Ali Saji Ribhi (1994), anch’egli profondamente coinvolto nelle attività, mentre il terzo individuo, Doghmosh Mansour (1995) è indicato come coinvolto prevalentemente in attività di propaganda e proselitismo, ma anche nel procacciare armi.
Anan aveva ben otto conti bancari e Irar nove. In una Poste Pay sono stati rinvenuto piu di 95 mila euro, nonostante i due risultassero disoccupati.
Per quanto riguarda Anan, sono molti gli aspetti da chiarire. La DIGOS dell’Aquila era al corrente del trascorso del personaggio in seguito a un interrogatorio datato 31 ottobre 2017 (poche settimane dopo il suo arrivo in Italia) nel quale aveva raccontato tutto il suo passato.
Anan era arrivato in Italia senza documenti, soltanto con la foto del passaporto sul telefonino e copia di documenti della Croce Rossa. Nel 2019 aveva ricevuto la protezione speciale mentre nel settembre del 2022 il Tribunale di Bari gli aveva rifiutato la protezione internazionale (richiesta fatta nel 2018) per motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico.
Nonostante le difficoltà legate ai documenti e il notevole “curriculum”, Anan aveva viaggiato in diversi Paesi tra cui la Malesia, gli Emirati, Malta, la Germania e la Giordania, dove si reca nel maggio 2023 per rimanervi fino a novembre. E’ proprio in Giordania che il soggetto in questione viene arrestato e successivamente rilasciato in base a dinamiche ancora da chiarire.
Tra l’altro nelle carte si legge che il permesso di soggiorno di Anan sarebbe scaduto l’11 novembre e non risulta presentata domanda di rinnovo. Il 7 gennaio 2024 Anan prendeva un appartamento in affitto all’Aquila assieme a uno degli altri indagati, Irar Ali Saji Ribhi. A fine mese viene arrestato in base a una richiesta di estradizione avanzata dalle autorità israeliane e poco dopo finiscono in carcere anche gli altri due soggetti.
Al di là delle dinamiche poco chiare riguardo all’arrivo e la permanenza di Anan in Italia, quando le autorità svedesi e norvegesi avevano preferito mandarlo via, ci sono diversi aspetti interessanti.
In primis, il gran flusso di denaro su un elevato numero di conti correnti, aspetto di non poco conto dati i controlli severissimi sui movimenti bancari solitamente effettuati dalle autorità competenti.
In secondo luogo è interessante notare come i soggetti in questione, nonostante facessero parte di un’organizzazione terrorista di lunga storia (Brigate al-Aqsa/al-Fatah) nella black list europea, non si facessero grossi problemi a comunicare con mezzi facilmente intercettabili come Telegram, Whatsapp e Facebook. Anan parlava apertamente addirittura con il leader di al-Aqsa, Mounir al-Maqdah.
In una conversazione con un utente in Veneto, Anan riferisce di sapere di “essere monitorato dal governo” e di preferire dunque il contante.
Le stesse carte processuali indicano come Anan e colleghi utilizzassero l’Italia come luogo da dove operare onde evitare di sfuggire alle autorità israeliane. Dinamiche molto simili a quelle degli anni ’60 e ’70, quando le formazioni palestinesi come OLP e FPLP erano vivacemente attive in Europa da dove coordinavano attacchi in territorio israeliano e contro obiettivi israeliani all’estero.
Va poi evidenziato come Anan abbia ricevuto ampio sostegno, fin dal suo arresto avvenuto a fine gennaio, da parte di alcuni esponenti politici della sinistra italiana e dalle formazioni di estrema sinistra e anarchiche che hanno anche organizzato dei presidi fuori dei tribunali a L’Aquila e Terni (dove è rinchiuso Anan). Ciò ricostituisce un legame, quello tra sinistra radicale e movimenti palestinesi, anch’esso caratteristico degli anni ’60 e ’70. Un aspetto assolutamente da non sottovalutare.
C’è poi da chiedersi se Anan fosse presente nel SIS, il sistema informativo per la sicurezza Shengen, aspetto di non poco conto. Ora non resta che attendere, perché non si può escludere che la rete sia più ampia.