L’attentato estremista di lunedì 16 Ottobre a Bruxelles che vede la morte di due turisti svedesi ha riacceso l’attenzione sulla questione sicurezza e rischi attentati in Europa.
Ci sono degli aspetti peculiari, in un quadro di dinamiche ancora vaghe, che a questo riguardo è bene considerare e che vengono posti in essere da un articolo di AGI pubblicato il 16 Ottobre stesso e aggiornato il giorno successivo.
Nello specifico, l’affermazione da parte del ministro della Giustizia belga, Vincent Van Quickenborne permette di avviare una riflessione sullo stato metodologico dei TRA-Is – Terrorism Risk Assessment Instruments che da parte di chi scrive sono stati ampiamente studiati ed analizzati: “Nel 2016, informazioni non confermate trasmesse da un servizio di polizia straniero indicavano che l’uomo aveva un profilo radicalizzato e che voleva partire per una zona di conflitto per la jihad. Le informazioni sono state verificate ma non è stato possibile fare nulla: non vi era alcuna indicazione concreta di radicalizzazione.”
I punti chiave di questo passaggio sono due: “aveva un profilo radicalizzato” e “non vi era alcuna indicazione concreta di radicalizzazione”.
Il primo sottende che un’attività di monitoraggio e analisi sia stata condotta sul soggetto e come risultato abbia prodotto una valutazione relativa ad un profilo radicalizzato.
Una valutazione, però, che non risulta essere stata poi tradotta in pratiche preventive e di monitoraggio, considerato il fatto che l’attentatore sembra essere scomparso dopo che nel 2019 gli era stata rifiutata la richiesta di asilo.
A questo riguardo è essenziale riflettere in termini di policy di sicurezza sull’utilizzo dell’approccio multiagency, imperante in Europa dagli anni 2000 in seguito all’attentato alle Torri Gemelle ma che mostra vulnerabilità in termini di condivisione delle informazioni e monitoraggio delle possibili minacce.
Un tema questo certamente sensibile e delicato, in quanto si riferisce all’ambito della sicurezza nazionale dei singoli Stati ma che dovrebbe essere opportunamente argomentato, per comprenderne possibilità di evoluzione in funzione di un contesto storico, sociale e politico profondamente cambiato.
Un altro aspetto da considerare da una prospettiva metodologica è la capacità di predittività degli strumenti utilizzati, per la valutazione del profilo e il giudizio radicalizzato che si esplicita nella differenza chiara fra la valutazione della minaccia e la valutazione del rischio che nel crisis management risultano essere efficacemente identificati, permettendo di meglio definire il quadro di analisi in cui è possible operare.
Infatti, la valutazione della minaccia significa procedere nell’accumulazione di informazioni per meglio conoscere e definire la natura dell’agente e le sue caratteristiche specifiche, ponendolo in grado di intercettare opportunisticamente le vulnerabilità di un sistema nel quale è inserito.
La valutazione del rischio invece indica la traduzione operativa della potenziale minaccia, andando a definire quali possono essere le ricadute pratiche e l’impatto che una minaccia agita potrebbe avere sul sistema considerato.
Due attività distinte temporalmente ma complementari metodologicamente che dovrebbero essere considerate in modo unitario, per una valutazione globale della minaccia ampiamente intesa.
Un simile orientamento darebbe adito a un livello di predittività maggiormente affidabile ma non infallibile come forse vorrebbe una componente tecnicistica alla quale negli ultimi anni, molte visioni si stanno sottomettendo.
In questo contesto storico così complesso e conflittuale, certamente un approccio predittivo beneficerebbe di una conoscenza della minaccia posta in relazione ai contesti possibili vulnerabili, come per esempio è l’Europa, considerando i lasciti della pandemia, la guerra russo-ucraina, l’estremismo nazionale e internazionale. Questi ultimi sempre più variegati e che troveranno di certo giovamento da policy di valutazione orientate in prevalenza ad un approccio al singolo individuo e al suo livello di radicalizzazione avulse, pertanto, da una più ampia visione e interpretazione delle minacce interdipendenti attuali e prossime future.
Il secondo passaggio della dichiarazione sopra riportata “non vi era alcuna indicazione concreta di radicalizzazione” è profondamente legato ad una visione di nesso causale fra la valutazione del rischio e la predittività, dimenticando che un margine di vulnerabilità alla minaccia sarà sempre presente.
Con questo detto non significa che la valutazione della minaccia e del rischio non debbano continuare ad essere pratiche vitali di un sistema di sicurezza nazionale e internazionale, quanto che gli strumenti utilizzati, le visioni sulle quali sono stati costruiti e le persone formate per utilizzarli necessitano, alla luce di una minaccia che cambia sempre più rapidamente e si esplicita in molteplici modalità e domini – online, offline, digitale -, di un adeguamento al contesto in evoluzione.
I maggiori TRA-Is – Terrorism Risk Assessment Instruments attualmente in uso mostrano livelli di analisi orientati al solo individuo, completamente decontestualizzato dalle sue relazioni e comunicazioni, in grado di intercettare attitudini ma non atteggiamenti contestualizzati, dimenticando che le singole biografie incontrano la Storia: come l’attuale contesto stretto fra una guerra nel cuore dell’Europa e un’altra – quella israelo – palestinese – fuori controllo.
La ripresa degli attentati in Europa ha riportato l’attenzione su questi temi comunque fondamentali per la valutazione di tutte quelle minacce estremiste collaterali – ecoestremismo, accelerazionismo, mix di estrema destra e sinistra – delle quali si parla solo a seguito di eventuali accadimenti violenti.
La necessità reale e concreta ora è quella di rivedere l’approccio agli strumenti di valutazione della minaccia e del rischio estremista considerando gli aspetti relazionali, le comunicazioni digitali, l’evoluzione della minaccia stessa e il contesto socio – politico nel quale potrebbe manifestarsi.
L’Europa in questo momento, crocevia di interessi e conflitti molteplici, si mostra particolarmente vulnerabile ad attentati estremisti considerando anche che il prossimo anno a Giugno si terranno le elezioni europee e gli attentati sono un buon modo per orientare le scelte dei cittadini in fase elettorale, senza dimenticare poi il conseguente inasprimento dell’estremismo di destra e le possibilità di doppia radicalizzazione come emerse negli ultimi anni. Tutto questo in un clima sociale estremamente conflittuale e violento a prescindere da attentati terroristici o estremismo di varia natura, profondamente provato dalle cosiddette scelte politiche che nel corso di questi ultimi anni hanno sempre più incrinato i rapporti sociali, per favorire spesso la difesa di ideologie cristallizzate.
Nota: Barbara Lucini (2022), I TRA-I e i processi di radicalizzazione: considerazioni attuali e prospettive future, #ReaCT2022 – 3° Rapporto dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo