Il gruppo di lavoro che coordino nell’ambito di un progetto internazionale più ampio, si intitola Covid-19 e Viral Violence: violenza virale, proprio quella alla quale siamo assistendo da inizio pandemia, con le prime manifestazioni no lockdown.
Il mondo dei NO si è poi diffuso in conseguenza, e grazie all’opportunità, che per certi ambienti è la pandemia e, soprattutto, la sua gestione.
A differenza di altri, chi scrive non si stupisce di tale situazione. Per esempio, nello specifico delle proteste No Green Pass di Sabato 09 Ottobre, nelle chat e sui social di certi gruppi già si leggevano settimane prima i segnali di sentimenti e propositi che non sarebbero rimasti tali, ma che erano pronti ad esplodere negli eventi che poi si sono visti: l’assalto alla sede delle Cgil e ai blindati della Polizia.
Ci sono alcuni elementi, fuori da ideologie anacronistiche e miopi di una situazione già sul limite dell’estremo prima della pandemia, che sono passati inosservati, tra questi il ruolo dell’estrema destra in Italia: considerata in maggior parte come un fenomeno virtuale (e perciò forse pensato “relegato e controllabile”) e sottovalutata nella sua portata di minaccia interna. Alcune analisi sottolineano la dimensione europea e internazionale di tale fenomeno, dimenticando la peculiarità italiana, che dovrebbe essere analizzata nel periodo storico-sociale vigente, senza preconcetti ideologici decontestualizzati.
Conosci il tuo nemico è la prima massima per poter valutare il rischio che potenziali entità eversive si radicalizzino concretamente: in questo momento si può dire che si conosceva il proprio nemico, che però non possiede più le caratteristiche stereotipate alle quali si era abituati.
Per chiarire: l’estrema destra italiana è una minaccia reale alla sicurezza nazionale, nel momento in cui però la valutazione del rischio possa essere contestualizzata rispetto alle caratteristiche sociali, politiche, culturali del Paese, come per esempio le connessioni di movimenti eversivi neri con alcuni gangli di altro tipo di criminalità, che rappresenta drammaticamente un elemento distintivo della realtà italiana.
E’ certo che alcune azioni sarebbero state utili per il contenimento di questa minaccia: un monitoraggio attento del fenomeno sociale, oltre che della sua componente quantitativa legata soprattutto all’analisi del mondo digitale; la previsione di scenari opportunistici legati alla gestione della pandemia, che potevano essere considerati attrattivi da parte di certi gruppi; un’inversione di tendenza nelle analisi che per quanto concerne l’estrema destra, portano a considerarla come una minaccia che può espletarsi solo in relazione ad un contesto internazionale; la comprensione che certe teorie del complotto che animano la retorica di alcuni gruppi di estrema destra, ma non solo, si fondano in realtà sul fallimento di alcune pratiche di gestione della pandemia. Eco[1] sottolineava un’importante riflessione generale a questo proposito: Perché le bufale hanno successo? Perché promettono un sapere negato agli altri e recentemente su “Le Monde Diplomatique” Frédéric Lordon ha avanzato l’ipotesi che la sindrome del complotto sia la reazione di una popolazione che vorrebbe capire quello che sta succedendo, ma avverte che spesso le viene rifiutato l’acceso a una informazione completa.
Il vuoto cognitivo e comunicativo, che ha accompagnato le prime fasi della diffusione dell’epidemia nel febbraio 2020 hanno ripercussioni su lungo periodo, una delle quali è quella che stiamo vivendo in questi ultimi mesi.
Le domande impegnative ma oneste da fare sono molteplici: quanto spazio è stato creato dalla gestione improvvisata, senza tempi e con continui dibattiti contradditori e spesso violenti fra esperti e politici, affinché estremisti di varia natura potessero approfittarsi della crisi in corso e delle vulnerabilità pregresse del Paese? Quanto l’estremismo di varie matrici si è alimentato e sta usando le paure, le ansie, i vuoti multidimensionali pre e post pandemici, l’inadeguatezza della risposta pandemica? Quanto ancora si procederà senza riflessione sulla crisi di fiducia fra cittadini, politica e istituzioni, che pur ben è emersa dalle ultime elezioni apparse sempre più come un rituale da preservare e non come strumento di partecipazione democratica?
Infine, è opportuno ricordare che non tutti i presenti alle manifestazioni dell’ultimo anno e mezzo sono violenti e di estrema destra o di estrema sinistra o anarchici: per questo diventa sempre più necessario che le analisi si fondino sulla più ampia comprensione di fenomeni sociali di una natura ibrida e variegata che possono produrre qualche cosa di nuovo e diverso dalle aspettative ricorrenti degli ultimi anni: soprattutto al di là da aspetti storicistici o identitari.
Ora si è in ritardo e con una situazione, che se non dovesse esplodere durante gli appuntamenti dei prossimi giorni tra le nuove manifestazioni proclamate da varie parti e il G20 a fine mese, certamente avrà lasciti per quanto concerne il clima di tensione sociale e conflittualità diffusa: quanta rabbia e violenza ancora dovrà essere strumentalizzata e agita prima che la prospettiva di comprensione e analisi della minaccia si alimenti di nuove visioni, che provengono congiuntamente dal settore di intelligence e da quello del crisis management? Si spera poca di entrambe per la sicurezza di tutti.
[1] Eco, U. (2017), Sulle spalle dei giganti, La nave di Teseo Editore, Milano.