Bambini rapiti. Narrativa talebana e similitudini con le teorie del complotto – by Franco Iacch

L’Emirato islamico continua la sua abile opera di indottrinamento ad uso interno così da garantire un supporto narrativo alternativo alle azioni fisiche sul campo. Media ed account collegati ai talebani ed al Qaeda, poche ore fa, hanno diffuso un video di ringraziamento di un bimbo, rapito da sconosciuti, salvato da “agenti dell’intelligence dell’Emirato islamico”. Nella clip si vede il drammatico momento del rapimento, ripreso da una telecamera di sorveglianza, seguito dal ringraziamento del piccolo e del padre agli agenti dei servizi segreti talebani. Nessuna immagine dell’operazione dell’intelligence talebana che avrebbe portato alla liberazione del bambino. Arrestati i rapitori. Analizziamo il breve testo a corredo del video pubblicato sui social: “I servizi segreti dell’Emirato islamico hanno arrestato in poche ore i rapitori del bambino Ahmed Ali che è stato riconsegnato alla sua famiglia”. L’essenza dell’Information Warfare è nella strategia linguistica adottata: quest’ultima sarà determinante nel generare effetti cognitivi a cascata nel mondo reale.

Il bimbo (ovviamente maschio, le donne sono oggetti domestici di consumo nell’Emirato islamico e per al Qaeda) non è stato salvato genericamente dai mujahideen, ma da “agenti dell’intelligence”. Cioè quello strumento, l’intelligence, concepito per la tutela della sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e delle imprese. Il bimbo è stato salvato “in poche ore”. Una frase inserita per sottolineare agli occhi del popolo dell’Afghanistan l’efficacia del governo talebano, instillare la fiducia nella comunità (l’intervento del padre del bimbo rapito è un moltiplicatore di forze in ottica reclutamento) e la capacità di reazione e controllo del territorio. La parola “famiglia” è concepita per instillare un senso di appartenenza a garanzia degli stessi valori condivisi (oltraggiati da Kabul). Il video diffuso sui social sarebbe stato realizzato dal servizio segreto talebano, probabilmente con un cellulare (si percepisce il respiro di chi sta effettuando materialmente quelle immagini, visibile l’oscillazione del braccio). A distanza di poche ore dalla prima liberazione, i canali collegati alla propaganda talebana e di al Qaeda annunciano una nuova operazione contro una banda di trafficanti di bambini. Salvato il piccolo. Pubblicate anche tre foto ed una breve clip video che mostra il bimbo rapito in catene. Arrestati i rapitori. Si legge: “I talebani hanno arrestato una banda criminale che ha rapito bambini a scopo di riscatto nella provincia di Helmand. Un bambino è stato restituito alla sua famiglia. I talebani dicono che i criminali arrestati saranno puniti da un tribunale della Sharia”. La frase “saranno puniti da un tribunale della Sharia” è concepita per instillare nel target di riferimento il senso di giustizia e fiducia nelle implacabili istituzioni talebane. Garantire, cioè, la certezza della pena per chi ha commesso un reato. In base alla rigida interpretazione delle regole che derivano direttamente dal Corano ed alle sentenze degli studiosi islamici, i rapitori rischiano la pena di morte (ampiamente condivisa sui social). Nessun messaggio di ringraziamento nella clip rilasciata, solo la gioia di un padre che riabbraccia il proprio bambino immortalata in una foto diffusa sui social. Tali arresti sembrerebbero operazioni IW ad uso interno concepite per screditare il governo di Kabul e legittimare l’Emirato islamico.

 

Il regime teocratico continua la sua vitale opera di indottrinamento interno, alimentando diverse linee narrative, così da garantire un costante supporto mediatico alle azioni fisiche sul campo. Le storie dei bambini rapiti sono un tentativo di dimostrare al popolo la legittimità, l’efficacia e la rettitudine dei talebani. L’Information Warfare mira ad influenzare il flusso delle informazioni rivolte alle popolazioni per ottenere il dominio cognitivo di massa. Alterando il processo intellettuale si determina la propagazione di effetti funzionali ed operativi a qualsiasi livello. Si determina, cioè, una predisposizione emotiva e psicologica ad un’immagine reale distorta alterando le regole del gioco nei due mondi. Tattiche ingannevoli e manipolative concepite per attirare le persone e nutrirle con messaggi che attivano determinate emozioni in un distopico senso della realtà. L’efficacia di un attacco IW dipende dalla capacità di trasferire concetti pratici in una logica fondamentale sottostante per creare, controllare e manipolare in modo aggressivo le informazioni. I crimini contro i bambini, riconosciuti come universalmente spregevoli e terrificanti, sono alla base di molte narrazioni complottiste. Narrazioni che possono esplodere anche in ossessioni nazionali. Il diffuso sostegno alle teorie del complotto non è semplicemente un sintomo della nostra moderna società digitale. La caccia alle streghe si basava sulla convinzione che le giovani donne si riunissero nei boschi per cospirare con il diavolo. La paura che le forze del male cospirino per colpirci è profondamente radicata nella psiche umana. Senza mai dimenticare che l’incertezza può essere manipolata. Storicamente, le teorie del complotto e la disinformazione sono armi politiche estremamente pericolose utilizzate per manipolare il popolo.

Il rebranding della narrativa talebana di queste ore, infatti, presenta similitudini con le principali teorie del complotto. Dipingendo sé stessi come difensori dei bambini e persecutori di crimini indicibili, i talebani puntano al primato morale. Una narrativa che tra ispirazione dai protocolli immensamente distruttivi nell’identificare i nemici come malvagi, non riconoscendoli come esseri umani. Presentare gli avversari come mostruosamente malvagi li disumanizza, rende remota ogni possibile risoluzione pacifica e giustifica l’utilizzo della violenza estrema. L’utilizzo della narrativa demoniaca per disumanizzare un nemico percepito non è una novità. Storia insegna che quando un movimento inquadra la sua causa in un discorso cosmico di lotta del bene contro il male, possono seguire delle atrocità. Secondo la narrativa di Qanon, ad esempio, il mondo sarebbe governato da una cabala di pedo-satanisti dediti al traffico sessuale di bambini. Donald Trump sarebbe impegnato in una battaglia di portata cosmica ed agirebbe in una realtà multidimensionale per smantellare le reti pedofile che rapiscono i bambini per compiere riti satanici. Le storie sul rapimento e lo sfruttamento dei bambini e la tratta di esseri umani sono tra le più condivise dai complottisti. Qanon non ritrae gli avversari politici percepiti come semplicemente aventi una differenza di opinione, ma come malvagi. I talebani, utilizzano la medesima strategia narrativa nelle storie dei bambini rapiti per screditare il governo di Kabul. Riscrivendo la percezione di un nemico lo si colloca al di fuori di un gruppo. Non riconoscendo nell’avversario alcun tipo di diritto, si elimina qualsiasi tipo di preoccupazione e rimorso nel compiere azioni efferate contro soggetti che non dispongono di caratteristiche umane. La retorica delle organizzazioni terroristiche utilizza spesso linguaggi ed immagini per ritrarre i nemici con spiccate caratteristiche negative a svariati livelli (affettivi, culturali, intellettivi). Enfatizzando la percezione di un nemico non umano infine, si annulla qualsiasi tipo di negoziazione pacifica. Emirato islamico ed al Qaeda continuano a conquistare metodicamente i distretti remoti che fungeranno da basi operative per la proiezione nei distretti vicini e per reclutare, addestrare ed indottrinare i futuri combattenti. La strategia militare dei jihadisti è integrata nella sua strategia politica. L’obiettivo finale dei talebani è riprendere il controllo del Paese e ripristinare l’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Al Qaeda, mai sconfitta in Afghanistan, ha un ruolo chiave nel successo dei talebani.