Il governo giapponese ha investito circa 8 milioni di euro per un progetto sperimentale in 20 regioni del paese. Nei prossimi anni saranno installati dei lettori Rfid (Radio Frequency Identification) sui cancelli delle scuole, ai semafori e sui lampioni dei parchi per “salvaguardare” i minori. Gli Rfid sono in grado di interagire con i tag Wi-fi portati in tasca dagli scolari: in questo modo i genitori saranno informati via sms o su un sito web degli spostamenti dei propri figli.
Ho già espresso alcune considerazioni riguardanti il delicato rapporto tra il bisogno di sicurezza e il diritto alla privacy (https://www.itstime.it/Approfondimenti/Tra%20bisogno%20di%20sicurezza%20e%20diritto %20alla%20riservatezza.pdf), tuttavia mi pare che le potenzialità del controllo elettronico si stiano ulteriormente dilatando. I guinzagli elettronici non rappresentano di certo una novità. Il mercato americano si è accorto da tempo delle nuove paure dei genitori ed ha proposto degli accessori in grado di localizzare con precisione i bambini. Uno dei più celebri è il Wherify Gps Child Locators (http://www.childlocator.com/), un orologio che può essere rimosso unicamente dagli adulti grazie a un’apposita chiusura di sicurezza. Collegandosi a un sito Internet e immettendo una password, è possibile visualizzare su una mappa la posizione dei figli. Le onde radio a corta distanza, i Gps e le reti cellulari Gsm offrono l’opportunità di sapere con esattezza la posizione di una persona in qualsiasi momento. I cospicui investimenti nipponici, però, legittimano agli occhi dell’opinione pubblica la necessità e il diritto di sorvegliare costantemente i propri figli affinché siano “al sicuro”: in alcuni casi, è infatti possibile stabilire preventivamente un percorso associato a un allarme elettronico in caso di un eventuale “cambio di rotta”. Riproponiamo la domanda posta nell’articolo sopra citato: fino a che punto è lecito controllare? Non tutto ciò che consentono di fare gli ultimi ritrovati tecnologici è aprioristicamente buono, auspicabile e possibile. Lo scenario che si prospetta in Giappone è preoccupante perché sancito a livello istituzionale attraverso il primo esperimento al mondo di questo genere. Costituisce un precedente importante e si inserisce nel più generale dibattito sui labili confini tra sicurezza, sorveglianza e dignità dell’uomo. Inoltre ci chiediamo se i sistemi di localizzazione, ciò che gli americani definiscono “local awareness”, siano davvero efficaci in termini di prevenzione e quali effetti abbiano sui bambini. In altri termini, seguire gli spostamenti su una mappa è sinonimo di sicurezza? Ci pare che le distopie di orwelliana memoria si stiano puntualmente realizzando senza per altro garantire degli effettivi miglioramenti nell’ambito della sicurezza personale. L’unica certezza sembra essere costituita dal pericolo di andare “oltre”, affidandosi ciecamente a invenzioni tecnologiche non prive di rischi nei confronti della sfera personale.
Chiara Fonio